Posando l’occhio sull’orizzonte sconfinato della pianura padana di Crevalcore, ci si imbatte in quattro enormi silos. Apparentemente viene difficile dar loro un valore estetico, almeno fino a quando ai piedi della struttura viene costruito il teatro di paglia che ospita la rassegna estiva organizzata dalle Sementerie artistiche che in quel contesto ha costruito la propria sede. Allora quella enorme costruzione diventa un fondale imponente e suggestivo, quasi come l’antico edificio architettonico dei teatri romani (scaenae frons) diffusi fino alle periferie dell’Impero. Si crea, così, una particolare commistione tra forza creativa (il teatro) e produttiva (l’industria agricola) uno degli elementi qualificanti di questa realtà che opera anche come residenza artistica.
Quest’anno il festival Notti delle Sementerie, giunto alla sua sesta edizione, si è aperto con il Sogno d’una notte di mezza estate di William Shakespeare, in replica anche il 24, 29 e 31 luglio. Lo spettacolo è autoprodotto dalla realtà della provincia emiliana, diretta da Manuela De Meo e Pietro Traldi, per la regia di Federico Grazzini. La scelta, assai chiara, è quella di creare una performance itinerante poggiando sull’organizzazione temporale e scenica del dramma e, in questo modo, sfruttare pienamente le caratteristiche, strutturali più che naturali, del luogo.
Così, durante il crepuscolo, seduti di fronte al magazzino con la porta semichiusa, assistiamo agli amori difficili del quartetto di amanti (Ermia, Elena, Demetrio e Lisandro) che hanno combattuto contro il padre, Egeo, e Teseo, ovvero il ‘potere’. Mentre poco dopo lo scalcagnatissimo ensemble di attori-artigiani fa il suo rumoroso e scombinato ingresso richiamando i gruppi dialettali dei piccoli paesini italiani, inserendo pure l’elemento multiculturale nel segno di una realtà di periferia sempre più meticcia.
Mentre i grilli friniscono e la sera si infittisce, ci immergiamo nel vivo del “sogno”, generato scenicamente nel luogo chiuso e sospeso della Sala Archi. Davanti agli spettatori si spalanca un fondale di materiale trasparente ripiegato a balze che tratteggia quella linea di confine tra reale e onirico, visibile e invisibile. Uno spazio creatore di presenze magiche: Titania e l’esercito danzante di fate che l’accompagnano, Oberon e il suo smaliziato e dispettoso servitore Puck. Il doppio ruolo interpretato da Manuela De Meo (Ippolita/Titania) e da Julio Dante Greco (Teseo/Oberon) è una delle aderenze più significative della regia di Grazzini al contesto scenico elisabettiano che ha prodotto questo classico del teatro. Infatti, l’amore del regnante e della sua futura consorte deve necessariamente passare – come per gli amanti – nella crisi rituale, insieme violenta, erotica e grottesca, della notte di mezza estate attraverso le mentite spoglie, o le maschere, di re e regina delle fate, attorniati dal contesto di spiriti e folletti. L’elemento magico funge, così, da acceleratore drammatico della vicenda per poi condurci al suo scioglimento.
Sotto le stelle di una notte inoltrata, la luce dell’anfiteatro di paglia annuncia, infine, la festa dello sposalizio di Teseo, Ippolita e della doppia coppia di amanti, culminata con lo spassosissimo momento metateatrale della vicenda ovidiana di Piramo e Tisbe interpretato da: i bolognesissimi Nicola Botto e Comodini, il senegalese Erbarame, Tinozza e Flautino sotto la direzione di Piera Cinquetti.
La conclusione forse dà adito a qualche riflessione più ampia rispetto al carattere dell’evento a cui abbiamo assistito a Crevalcore. La recita della compagnia si colloca nel contesto delle nozze di Ippolita e Teseo e degli amanti: il teatro è uno degli elementi della festa. Allo stesso modo il Sogno delle Sementerie inizia molto prima dello spettacolo: dal breve (o lungo) viaggio che si percorre per arrivare nel loro spazio incastonato nei campi per poi accomodarsi al bar all’aperto, mangiare, bere qualcosa e ascoltare dal vivo la diretta radio di CUT, curata da Altre Velocità, che introduce allo spettacolo con interviste e riflessioni dedicate.
Insomma si tratta di un’esperienza spettatoriale che viene stimolata da più punti di vista e non solo legata alla fruizione di un’opera artistica ma che poggia sul contesto in cui essa prende vita. In questo modo azione e situazione sono strettamente connesse in quello che diventa un evento “festivo” complesso e sfaccettato.
Una tendenza che, specialmente oggi, incontra sempre maggiori sostenitori, soprattutto negli spazi naturali dove è molto difficile improvvisare. C’è la necessità di prestare attenzione al territorio, alle sue esigenze ed essere consapevoli sia per quel che riguarda il suo tessuto sociale che per la valorizzazione e sostenibilità degli elementi paesaggistici. Questi ingredienti Sementerie artistiche li ha ben dosati nel corso degli anni e un potente segno di ciò è certamente l’effimero teatro di paglia che ogni estate compare all’ombra dei giganteschi silos e, una volta finita la rassegna, scompare per rimanere saldamente agganciato alla memoria degli spettatori, come capita per alcuni sogni.