Luglio fa sempre rima con Bambino. Un festival di teatro ragazzi, partito e ideato a Campi Bisenzio (dai due direttori artistici Manola Nifosì e Sergio Aguirre), e adesso esteso a tutta la Piana Fiorentina con spettacoli e appuntamenti a Signa, Sesto Fiorentino, Calenzano, Lastra a Signa, Scandicci e ovviamente il clou proprio a Campi con una settimana di pièce ma soprattutto con il Premio Luglio Bambino, quattro giorni con quattro diverse compagnie che presentano i propri lavori a due giurie (oltre al pubblico), quella dei bambini e quella dei giornalisti.
Di volo e amicizia parla il primo spettacolo in gara, Con la testa fra le nuvole del gruppo Fratelli Caproni che parte con la leggerezza e la tipica cialtroneria di molti b-movie di casa nostra riguardanti le forze armate, dai vari Pompieri alle pellicole in divisa anni ’60 con protagonisti Gianni Morandi e i cantanti dell’epoca, fino ad arrivare alla profondità del sentimento più alto. Due letti-brandine, che prima erano una torre di controllo e una sorta di trincea, unendosi a castello, con l’aggiunta di una sedia capovolta, un ventilatore al posto dell’elica e di una scala posizionata orizzontalmente sul materasso più alto, formano un vero e proprio aereo. Qui inevitabilmente la mente vola (è proprio il caso di dirlo) a Snoopy con gli occhiali da aviatore sulla sua cuccia dal tetto rosso, o al Barone Rampante di Italo Calvino o ancora a D’Annunzio e alla sua cavalcata-trasvolata su Fiume. Forse stiamo volando troppo in alto. I rumori degli aerei ci ricordano purtroppo anche la guerra tra gli assalitori russi e gli aggrediti ucraini, un conflitto del quale non vediamo la fine. Altri riferimenti che la scena ci ha suggerito: la serie tv Catch 22 con George Clooney e la famigerata Enola Gay, il bombardiere B-29 che nel ’45 sganciò la bomba atomica su Hiroshima nome poi consacrato con la celebre ballata elettronica degli anni ’80 degli Orchestral Manoeuvres In The Dark. Hanno tute da meccanici e mettono in atto tutto il mito e la metafora e la retorica della naia, del caporalato, del nonnismo (qui ovviamente velato e brillante) delle caserme (ci è sovvenuto anche 365 all’alba con un giovane Claudio Amendola e un cattivissimo Massimo D’Apporto). Ma il loro riferimento, al quale fanno esplicito sfoggio, è Lindbergh capace della prima trasvolata atlantica in solitaria. A noi, dalla platea, lampante è stato l’aggancio visivo al Piccolo Principe. Ed anche qui si parla di sogni, di desideri (di stelle e di cielo infatti si tratta). In un momento dello spettacolo, un aereo passa sulle loro teste e l’effetto è raddoppiato e la realtà entra nel teatro e il teatro si fa concreto e tangibile, quasi a poterlo prendere, come King Kong sull’Empire State Building. Un plauso per la colonna musicale e per il tappeto sonoro, entrambi curate e ben scelte. Quando i due scoprono che sono stati inseriti, per il loro primo volo, in due gruppi differenti e che quindi non saranno insieme in questo momento fondamentale e iconico delle loro esistenze decidono di rimanere giù, con i piedi ben piantati a terra ma continuando a sognare l’uno con l’altro. La coppia non si vuole dividere, non si vuole separare: se non possiamo volare insieme allora rinunciamo. L’abbraccio, con le teste molto vicine, apre lo sguardo più all’amore che all’amicizia e quando i due prendono un aereo e se ne vanno non è così difficile pensare ad un Brokeback Mountain in salsa aviaria: un delicato Brokeback Flight.
Ha pretese estetiche di alto intellettualismo, di formalismo concettuale e minimalismo invece Oh! (prod. Factory TAC e Catalyst) che si presenta con un grande libro-sarcofago che si apre, bianco sul bianco dei costumi futuristi da astronauti dei due protagonisti in scena. Quando una musichetta da jingle rimbalza sul palco il ritmo è brioso, gioioso, spensierato, o quantomeno è spigliato e scandito, quando invece, inspiegabilmente il soundtrack si fa muto e silenzioso si sente tutta l’immobilità, il vuoto fino, purtroppo al tedio, e la piece si svuota, si inaridisce, si sgonfia come un palloncino al sole, si sfalda, si sciupa, vira nel mimo. Siamo nel campo del surreale, dell’assurdo, del non-sense con gli infiniti sollazzi con un quaderno che adesso diventa gabbiano ora un cappello. Ma si sente stanchezza solida e una lentezza disarmante del progredire verso una degna chiusura, senza grip, senza mordente, risultando soft e blando. Spuntano un disco rosso e uno blu e premendo il primo uno urla “Ah”, spingendo il secondo l’altro grida “Oh” (entrambi stonati sulle note alte), come clacson impazziti nel traffico del Grande Raccordo Anulare. Ecco adesso potrebbero osare con il pubblico ma nicchiano e tutto si sgrana e si dissolve in corposi e solidi silenzi tra una scena e l’altra, tra una gag e l’altra, tra un numero e l’altro. Lo spettacolo sarebbe concluso ampiamente dopo neanche mezz’ora ma il brodo deve essere allungato. Un fuoco di paglia.
Se Ivano Fossati cantava straziato La costruzione di un amore, qui invece siamo di fronte a Il costruttore di storie (prod. La Baracca – Teatro Testoni) un bel racconto carico di pathos ed empatia sulla potenza, la comunicatività, la vicinanza che possono creare le storie, i racconti, le parole, gli scambi narrativi tra le persone. In poche parole: se esiste dialogo non può esserci guerra e violenza. Parlarsi è sempre capirsi, avere la voglia di scendere su uno stesso terreno e tendersi una mano. E costruire le storie (e questo è uno dei compiti primari della scuola, il saper passare conoscenza) è importante come costruire armadi o treni o ponti. E questo racconto è tutto basato sulla metafora del ponte, reale per attraversare fiumi, e simbolico come raggiungimento dell’altro, abbraccio, unione. Nella narrazione calda dell’affabulatore (bellissima voce avvolgente, ammaliante, coinvolgente, affascinante e intrigante la sua) si mischiano e si intrecciano più vicende “perché le storie sono cose successe messe insieme a cose che potrebbero succedere ed a cose che non sono mai successe”. E ancora: “A raccontare storie nessuno si fa male”. Con l’ondata di fake news su quest’ultima affermazione potremmo anche dissentire. Con pochi elementi poveri riesce a creare un immaginario poetico e tangibile: due martelli sono gli eserciti che si fronteggiano e ancora pezzi di legno che diventano soldati e poi la costruzione di un ponte che subito ci ha portato a San Francisco, al Ponte all’Indiano fiorentino o al nostro, purtroppo famigerato, Morandi a Genova. Fabio Galanti ci porta nei campi della delicatezza, della gentilezza, della tenerezza, della sensibilità, della fragilità per raccontarci dell’importanza della diversità, non da combattere ma da abbracciare, che sono importanti i costruttori di ponti tra i popoli perché portano ricchezza di spirito e d’animo e che, se ci chiudiamo a riccio nelle nostre certezze, ci impoveriamo, ci inaridiamo, abbiamo più paura del domani: “Ci vogliono ponti per liberare le storie rimaste bloccate”. I buoni Maestri esistono. Un gran bell’insegnamento per gli uomini e le donne di domani.
Spenderemo invece davvero poche parole per l’ultimo Alla ricerca di Kaidara, della compagnia Il Mutamento, che, al di là di costumi, maschere e delle belle e colorate scenografie africane, complice anche il fatto che gli strani nomi dei protagonisti del racconto difficilmente rendevano fluida la narrazione e ricordabili i ruoli, non ha saputo far breccia nel pubblico data la complicatezza e i continui intrecci che hanno reso il tutto confusionario, nebuloso ed oscuro, faticoso nel suo incedere in queste vicende del continente nero molto simili alle traversie di Ulisse.
Alla fine delle quattro giornate la Giuria dei bambini ha scelto come vincitore lo spettacolo Con la testa tra le nuvole dei Fratelli Caproni mentre la Giuria dei Giornalisti ha votato per Il Costruttore di Storie de La Baracca – Teatro Testoni con Fabio Galanti in scena con la seguente motivazione: “Per il messaggio simbolico e metaforico di pace e contro ogni forma di guerra e di violenza. Per la perizia e la manualità nella manipolazione degli oggetti poveri. Per la capacità di costruire una storia composita ricca di segni e significati con un’idea profonda e strutturata di teatro. Per aver trasmesso il messaggio con semplicità ma in maniera non banale”. L’anno prossimo saranno trenta gli anni di questa importante manifestazione di teatro ragazzi.