“Poka e Mine. Al cinema” di Kitty Crowther

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immagine: courtesy Kitty Crowther e Topipittori

 

Kitty Crowther, tra le più brillanti artiste dell’albo illustrato contemporaneo, sceglie come incipit narrativo e visuale per questo libro una scena di noia: la dolce e risoluta piccola Mine, insetto non identificato nello specifico, siede su una chaise longue, elegante e sobria come l’abbigliamento dei personaggi protagonisti, e non sa cosa fare. Ha già ripetuto più volte vari giochi, letto un libro e bevuto una cioccolata; per fortuna, ad intervenire e cambiare il corso della serata e della storia è Poka, padre di Mine. Un padre però non nella sua accezione nominalista e definitoria, non quella rispondente ai canoni imposti dalla società, ma un padre in senso ampio, che, immaginiamo, a volte possa assolvere anche le funzioni di una madre o di un amico; un padre quindi non freudiano, ma sinonimo di riconoscimento, rispetto, attenzione: Poka si prende cura quotidianamente del piccolo insetto che a lui assomiglia con le dovute differenze di taglia.

Come le altre storie di Poka e Mine, a cui la Crowther si dedica da una quindicina d’anni, pubblicate in Italia da Topipittori e tradotte da Chandra Livia Candiani, questa mette in scena un evento semplice e magico, quotidiano e straordinario, vissuto dai protagonisti con un’intensità, freschezza ed autenticità senza pari. Poka propone a Mine di andare al cinema, programma che entusiasma molto la piccola, che però vuole portare con sé anche i suoi peluche.

immagine: courtesy Kitty Crowther e Topipittori

La Crowther è estremamente abile nel descrivere scene di vita vissuta, relazionando la fiction del libro al fatto reale e in qualche modo accorciando le distanze tra i due; i peluche di Mine qui sono oggetti transizionali, ciò che l’insetto/bambina ama avere con sé, in grado di creare una continuità tra il dentro, della casa, ad esempio, e il fuori del cinema, tra il chiuso e l’aperto, tra il conosciuto e lo sconosciuto, dandole sicurezza, facendola sentire il calore di una presenza non giudicante, a cui riservare le cure che i grandi dedicano a lei.

Come in Otto. Autobiografia di un orsacchiotto, di un Ungerer-faro-punto di riferimento per la Crowther, il peluche è una metonimia, un simbolo di quell’infanzia che crede con tutte le sue forze alla magia, che conferisce vitalità all’inanimato, un’infanzia che l’autrice suggerisce di imitare per lasciarsi ancora meravigliare.

Di nuovo, realtà e finzione si incontrano nel mondo dei bambini e degli artisti, di coloro che inventano, o meglio credono di inventare, ad esempio, nuovi esemplari di fiori e di insetti, per poi un giorno riconoscere le loro creazioni svolazzanti sopra un prato o stampate sulle pagine di un erbario scientifico.

Poka e Mine sono insetti volanti, vanno al cinema volando; nella loro sospensione c’è tutta la tensione verso un luogo entusiasmante ed emozionante, inebriante come l’achillea rosata che sorvolano durante il loro tragitto.

immagine: courtesy Kitty Crowther e Topipittori

Soffermiamoci ancora un attimo sugli esseri viventi con ali e prendiamo come riferimento un verbo inglese che ci può aiutare a riflettere per assurdo sul lavoro della Crowther; penso alla parola “pigeonhole”, un verbo che significa “classificare”, “etichettare” e che rinvia alla piccionaia, al luogo dove i piccioni nidificano, una nicchia, spesso strettissima, che gli uccelli si ricavano; esattamente ciò che evita Crowther. L’autrice non costringe, non incasella, non offre definizioni ma, una volta messi a disposizione vari dettagli, lascia a noi il margine interpretativo, per renderci parte attiva nella costruzione della storia.

Così come non esplicita la relazione tra Poka e Mine, almeno in questo libro – “Kitty Crowther non è affatto interessata a definire la tipologia di questo legame, ma ha molto a cuore la sua qualità” (Ilaria Tontardini, da “Oblò n. 5” a cura di Hamelin) – e non dice esattamente che tipo di insetti sono, similmente, non rivela quale film Poka e Mine siano andati a vedere. Già dalla copertina del libro li vediamo seduti sulle poltrone, ma non sappiamo cosa stiano guardando. L’unico indizio è la locandina del film affissa al botteghino dei biglietti; sappiamo che il protagonista è un insetto, forse una vespa, con un mantello, ma non molto altro.

Qui al cinema ritroviamo ancora scene di vita dal vero; Mine, inquieta probabilmente per essere in un posto insolito e allo stesso tempo elettrizzata per questa novità, non sa stare ferma sulla poltrona e finisce per trascorre il tempo al bar, lasciando Poka solo dentro la sala. Da un lato abbiamo il non conformarsi dell’infanzia, il suo disattendere le aspettative degli adulti, il suo divergere dalla norma per aprire un varco verso il mondo delle prime volte; dall’altro l’imbarazzo a tratti ridicolo di noi adulti, spiazzati dalla disinvoltura con cui i bambini non aderiscono all’immagine che abbiamo di loro.

Poka è un adulto raro; accompagna Mine giorno per giorno, ma attraverso una regia silenziosa, supportando la piccola, le regala la sua presenza non giudicante che crea le condizioni di possibilità per un rapporto non gerarchico, anche se non da pari.

immagine: courtesy Kitty Crowther e Topipittori

Al cinema fa parte di una serie pensata anche per bambini piccoli; la relazione tra testo e immagine dell’albo illustrato lo conferma. Questo è un libro essenziale, non barocco, che non eccede nei dettagli e negli ornamenti, dalla linearità universale. Sulla pagina a sinistra campeggia giusto qualche riga di testo; mentre la pagina a destra ospita un’illustrazione o a tutta pagina o dai contorni non netti, che sfumano nel bianco.

La semplicità del libro è un invito per approfondire le informazioni in esso; sarà facile perdersi nelle illustrazioni e ammirare l’abilità della Crowther nel differenziare la specie degli insetti con una naturalezza quasi incredibile; tra questi merita un’osservazione la bigliettaia, un insetto formoso con un vestito azzurro scollato, dall’aria annoiata e dallo sguardo spento, che ricorda in qualche modo la tabaccaia di Amarcord.

Mine mostra come riappropriarsi dei luoghi senza assoggettarsi alla loro funzione prestabilita; andiamo al cinema, ma se una volta lì, vogliamo intrattenerci con il barista, possiamo farlo. Chiaro, avremo perso i soldi del biglietto, ma forse avremo guadagnato una nuova amicizia.

Il suo è un gesto innocente e rivoluzionario allo stesso tempo, una di quelle azioni “magiche” dell’infanzia che se l’adulto osserva con pazienza e disinteresse si rivelano trasformative.

Questa magia è legata allo stupore o alla meraviglia che provi quando esci per una passeggiata in piena notte e ti imbatti in una trentina di lucciole, davanti alla caduta delle foglie, o quando senti qualcuno cantare per la strada”. Kitty Crowther, da “Oblò n.5” a cura di Hamelin