“Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo”: l’ha detto Federico Fellini a proposito di felliniano, termine coniato dagli americani, pare.
Chissà quando è nato, invece, l’aggettivo pasoliniano.
Certo che PPP, a fine di questo 2022 dei cent’anni dalla nascita in cui viene infilato in tutti i brodetti, ce lo faranno venire a noia. Che quando è troppo è troppo, anche con i miti.
Ma l’esperienza Nightwalks with Teenagers, a cui abbiamo preso parte a Bologna, non possiamo che dirla pasoliniana, appunto.
E non solo perché lui, si sa, a Bologna c’è nato.
E non solo perché protagonisti sono un gruppo di ragazzini “delle classi popolari” si sarebbe detto una volta.
Ragazzini che l’Istituzione ascolta e valorizza (maiuscola non casuale: Nightwalks with Teenagers dà avvio a FUORI!, imponente progetto di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale curato da Silvia Bottiroli, promosso dal Comune di Bologna e finanziato dall’Unione europea – Fondo Sociale Europeo).
Nightwalks with Teenagers è un progetto pasoliniano per almeno altri due motivi.
Il primo: crea problemi.
Detto altrimenti: pone domande sulla questione dello sguardo.
Meglio: sulla posizione del soggetto che guarda.
Un gruppo di spettatori si spostano dal centro fino a una periferia socialmente complessa (il quartiere Pescarola in questo caso ma il progetto, a cura della Compagnia canadese Mammalian Diving Reflex che su questo genere di dispositivi è specializzata, prossimamente verrà ripetuto in altre zone liminali della città) e vanno a vedere l’esito di un percorso realizzato con un gruppo di adolescenti lì residenti.
Prima sorpresa (che sorpresa non dovrebbe essere, ma tant’è): i ragazzi sono quasi tutti di origine non italiana.
Seconda sorpresa: sono quasi tutti maschi.
Terza sorpresa: non c’è niente da vedere.
C’è da fare, questo sì, nella Nightwalk.
Tirare rigori, scrivere il proprio codice di avviamento postale sugli alberi di un’area verde, giocare a nascondino, fare una partita a calcetto.
I ragazzi, a piedi o in bicicletta, con microfono o megafono e musiche arabeggianti dal ritmo dance, guidano il corteo e incitano alla partecipazione, accendendo qui e là qualche fumogeno colorato.
Si riprendono modi e obiettivi del teatro di interazione sociale, ma con un’ulteriore radicalità: non vi è teatro in senso stretto. Non vi è rappresentazione, non si raccontano storie.
Vien piuttosto da pensare all’animazione sociale, pratica “indirizzata alla presa di coscienza ed allo sviluppo del potenziale represso, rimosso o latente di individui, piccoli gruppi e comunità”, come l’ha definita Guido Contessa ormai molti anni fa.
Una pratica in cui le diverse discipline sono strumento, quando utili e utilizzabili, in un orizzonte che accoglie e dà struttura ai contenuti dei destinatari quali essi siano.
Tirare rigori e giocare a nascondino, ad esempio: sorta di objets trouvés ludici e veraci che problematizzano la questione della posizione del soggetto che guarda, come si diceva.
Da molti anni realtà che afferiscono alle arti performative contemporanee, soprattutto nelle frange più radicali, trovano spazio e nutrimento del loro fare in contesti altri rispetto al teatro, che ne eccedono naturalmente (usiamo questo aggettivo sapendo che è scivoloso) rituali e le convenzioni.
FUORI!, appunto.
Nightwalks è teatro in senso etimologico: luogo di sguardi e visioni.
Un’occasione per scivolare, letteralmente, dal piano semantico a quello somatico, potremmo dire usando una felice sintesi tratta dal bel saggio di Carmen Pedullà Il teatro partecipativo. Paradigmi ed esperienze (Titivillus, 2021).
Ragionando di arte come esperienza estetica, dunque letteralmente conoscitiva, dunque occasione di attivazione, restando nell’alveo delle arti visive per circoscrivere il discorso si possono citare almeno tre celeberrimi casi: Franco Vaccari che alla Biennale del ’72 fa installare una cabina fotografica e invita le persone a “lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio”, andando così a comporre l’opera (ontologicamente aperta, direbbe Eco: che non esisterebbe senza l’apporto dei fruitori); Yoko Ono che nel ‘61 fornisce chiodi e martello e propone a chi passa davanti al suo Painting to hammer a nail di darsi liberamente da fare, nello stesso anno Allan Kaprow che in Yard fa spargere una quantità di copertoni nel cortile antistante uno spazio espositivo creando un accidentato territorio che le persone devono a fatica attraversare per poi scoprire che al di là non c’è nulla da ammirare. Tre esempi, fra moltissimi possibili, di arte che utilizza lo svuotamento come mezzo e la delega come strategia e che, al di là della comprensibile irritazione da “questo lo so fare anch’io”, trovano una giustificazione data dal luogo, o contesto, in cui è collocata. Come a dire: “Io non capisco nulla di arte, ma se si trova in un museo un valore l’avrà”. Come se il luogo, l’istituzione appunto, validasse l’esperienza di guardanti collocandola in un contesto noto.
In Nightwalks with Teenagers, non c’è il contenitore teatrale e non ci sono nemmeno gli stilemi o i tópos di quella disciplina: non siamo andati in periferia a vedere un gruppo di ragazzini che metteva in scena Amleto, o qualsiasi altro testo, né danza né canto erano offerti al nostro sguardo e alle nostre orecchie.
Siamo andati a vederli giocare a calcetto, o eventualmente a giocare con loro.
In un progetto sostenuto da un Teatro Nazionale.
Per uno spettatore ciò può costituire un salutare spiazzamento.
E non è finita qui.
Come è possibile decolonizzare lo sguardo, l’attitudine con cui un manipolo di spettatori (mediamente colti, curiosi e progressisti) possono incontrare una tale radicale alterità senza ridurla o, peggio, normalizzarla?
Senza che divenga un incontro autoassolvente?
Tale questione conduce all’ultimo elemento pasoliniano della Nightwalk, e alla parafrasi che abbiamo posto a titolo di queste poche righe.
Forse un’attitudine fenomenologica da “una cosa è una cosa è una cosa”, per proseguir con le parafrasi e la poesia, è ciò che questo progetto evoca e invoca, pretende e sottende.
Un minuscolo e smisurato, lirico e tragico, banale e vertiginoso theatrum mundi che, in barba alle convenzioni, semplicemente esiste, scalciante e accogliente.
Scalciante e accogliente.
Scalciante e accogliente.
Perché, come ha detto al megafono uno dei ragazzi nel passaggio tra una stazione e l’altra della Nightwalk, “Forza venite, che noi non vogliamo lasciare nessuno indietro, eh”.