Breve premessa forse utile sulla (in)utilità della critica, oggi.
Detto in sintesi: a cosa serve questo lavoro che non è un lavoro, in quanto nessuno ci paga per farlo?
Non certo a saldare le bollette.
Nemmeno a promuovere questo o quell’artista.
Un po’ perché in Italia non esistono più (per fortuna) critici che abbiano il potere di far la differenza rispetto alle sorti di chicchessia.
Un po’ perché, nello specifico del presente articoletto, si tratterà di ensemble dall’identità ben consolidata, che non han certo bisogno dei nostri pensierini. Non in senso promozionale, almeno.
Forse -e questo è il motivo per cui nonostante tutto ci ostiniamo a fare questo lavoro che non è un lavoro- la funzione che ci compete è creare ponti, ipotizzare connessioni e parallelismi, etici più che poetici, tra percorsi affini ma, spesso, reciprocamente ignoti.
Questo è ciò che proviamo a fare.
Curando convegni tematici, a volte.
Dialogando pubblicamente con artisti e studiosi.
O scrivendo articoli che, sideralmente distanti dall’attitudine del “(non) ci è piaciuto e vi spieghiamo perché”, quando possibile propongono agganci, confidando che da tali incontri imprevisti possa nascere, talvolta, una scintilla inaspettata.
Fine della breve premessa.
Nel nostro vagare e divagare per Festival e rassegne, negli ultimi giorni ci siamo imbattuti in due proposizioni “così lontane, così vicine”, potremmo dire con Wenders, a cui vorremmo ora accennare.
Il 15 giugno abbiamo camminato con Roberta Bosetti e Renato Cuocolo nel Parco Ducale di Parma in occasione della loro Dickinson’s Walk, che ha aperto la rassegna estiva Arena Teatro al Parco a cura del Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti (ventuno appuntamenti molto diversi fra loro che proseguiranno fino a inizio agosto).
A pochi giorni di distanza ieri sera, 21 giugno, abbiamo attraversato a piedi parti dell’ex città manicomio di San Salvi, a Firenze, per La passeggiata dei Chille de la balanza.
Tantissimo, giustamente, si è detto e scritto su questi artisti: lungi da noi, ora, fare il riassuntino.
Restiamo, dunque, sulle opere incontrate.
Grossolanamente, dispositivi simili: attori dicono testi in uno spazio extra teatrale che si pone come significante, drammaturgicamente attivo. E il pubblico, camminando, li segue.
Alcuni punti di contatto.
Letteratura.
Entrambe le creazioni mettono in voce e in azione testi di grandi autori: diverse poesie e lettere di Emily Dickinson per Cuocolo/Bosetti, La Passeggiata (del ’17) intrecciata a I fratelli Tanner (di dieci anni prima) di Robert Walser per i Chille de la balanza.
Realtà.
La Walk nel Parco Ducale fa incontrare l’alta Poesia e l’immondizia sui prati, le grandi domande sul vivere e le urla sguaiate, in sottofondo, dei ragazzi che giocano. La passeggiata dei Chille, iniziata nella loro sala teatrale, termina fuori da San Salvi, su un marciapiede, con le automobili che passano: “attraversare il mondo come mondo” direbbe, appunto, Walser.
Poesia.
In connessione a quanto appena scritto, pare opportuno ricordare la Dickinson, per la quale la poesia è la possibilità di “distillare un senso stupefacente dai significati ordinari” (Bosetti docet). Questo pare essere, in definitiva, il punctum di entrambe le creazioni: parole semplici, ancorché composte con maestria, oggetti d’uso comune, ambienti quotidiani guidano verso un altrove, ora cupo ora luminoso, ma sempre denso di vita.
Alea.
Attraversare un grande parco cittadino in orari di apertura porta ad imbattersi, inevitabilmente, in persone e situazioni non prevedibili, che entrano a gamba tesa, direbbero i commentatori sportivi, nell’opera.
Vien da pensare al celebre dipinto Danzatrice in blu di Gino Severini (1912): le paillettes applicate sulla gonna della figura fanno sì che sulla superficie dell’opera si impongano, ancorché per minimali frammenti, i colori e le forme che, fortuitamente, vi si trovano di fronte.
Serve una grande fiducia, a concepire un’opera in cui il mondo non sia solo un potenziale disturbo al progetto dell’artista ma, al contrario, essenziale nutrimento.
Individualità.
Il microfono di Roberta Bosetti capta minimi rumori, fruscii delle pagine del libro che tiene in mano: suoni che giungono alle orecchie degli spettatori, muniti di radio cuffie, a comporre una sinfonia personale e singolarmente fruita. Le parole della Dickinson sembrano rivolgersi intimamente a ciascun camminatore, il tono con cui vengono pronunciate è, anche grazie all’ausilio tecnologico che lo permette, intimo, meditabondo, a tratti finanche sommesso. Vien da pensare a Marion del Cielo sopra Berlino (Wenders, ancora).
A un certo punto, nell’esperienza proposta dai Chille, si viene divisi in due gruppi, che compiranno separatamente la parte centrale della passeggiata. Le coppie di amici o congiunti vengono il più possibile intenzionalmente separate, affinché ciò che si sperimenta sia (anche) faccenda di ciascuno.
In entrambi i casi: si ha a che fare con un fondo incomunicabile, indicibile, non condivisibile. Senza sentimentalismo si sta, semplicemente e concretamente, di fronte a questo fatto (Deleuze docet).
Coralità.
Una comunità temporanea di camminanti si costituisce e segue, in rispettoso silenzio, un’officiante che si fa veicolo di Poesia. Tanto si potrebbe o forse dovrebbe dire su ciò che muove un manipolo di umani a compiere un gesto tanto antico.
In parallelo, la dimensione corale dell’esperienza dei Chille (oltre venti persone impegnate nella performance, tra attori e altre figure di supporto) si rifrange anche nella modalità pervicacemente relazionale con cui le scene stesse sono esplicitamente montate. Esemplare, nella prima parte de La passeggiata, un frammento in cui uno degli attori, il giovane Alessio Biblioteca, dà vita a una partitura in cui un oggetto-libro viene senza posa porto e sottratto ad alcuni spettatori, creando un effetto à la Buster Keaton affatto commovente.
Io canto per consumare l’attesa,
allacciare la cuffia, chiudere la porta di casa.
Non mi resta nient’altro da fare,
fin quando, all’avvicinarsi del passo finale
viaggeremo verso il giorno
raccontandoci di come abbiamo cantato
per tenere lontana la notte.
[Emily Dickinson]
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‘A spasso’ risposi ‘ci devo assolutamente andare, per ravvivarmi e per mantenere il contatto col mondo; se mi mancasse il sentimento del mondo, non potrei più scrivere nemmeno mezza lettera dell’alfabeto, né comporre alcunché in versi o prosa. Senza passeggiate sarei morto e da tempo avrei dovuto rinunciare alla mia professione, che amo appassionatamente. Senza passeggiate, senza andare a caccia di notizie, non sarei in grado di stendere il minimo rapporto, e tanto meno un articolo, non parliamo poi di scrivere un racconto.
[Robert Walser]
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