Warning: siamo tutti sotto lo stesso cielo, tra fede e tecnologia

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Warning: un titolo che risuona incessantemente nelle orecchie dello spettatore, dall’inizio alla fine.

Un fanta-thriller, una sorta di Black Mirror condensato, che esplora, tramite il tema del contrasto fra umanità/tecnologia e fede, il significato della vita attraverso sei esistenze molteplici. Vincitore sia del Premio “Méliès d’argent” che dell’”Audience Award” al Trieste Science + Fiction Festival 2021Warning è un film che rimane nel cuore e nella mente. Ironico, perturbante, impreziosito da una breve ma efficacissima performance di Rupert Everett.

Lo spettatore si sente protagonista a 360° perché son vite che scorrono parallelamente sulla timeline, interconnesse in maniera fatale allo scoccare dell’ora X, l’Apocalisse. Una sorprendente e piacevole novità nel genere Sci-fi capace di amalgamare creatività, originalità e topoi propri del genere.

 

 

In un futuro non molto distante, i progressi della tecnologia tendono ad annullare ogni contatto umano, risultando un’arma a doppio taglio: da un lato il progresso, dall’altro i ricordi digitali non permettono di elaborare in maniera sana i ricordi. Le cose sono destinate a peggiorare ulteriormente quando una tempesta globale manda fuori controllo ogni dispositivo elettronico, provocando conseguenze tanto terrificanti quanto letali. Un’astronauta è nello spazio durante un controllo di routine di una stazione meteorologica. Qualcosa va storto e l’uomo si ritrova separato dalla navicella, alla deriva nello spazio senza che nessuno possa recuperarlo. L’unica cosa che può fare è osservare l’imminente disastro: una giovane donna nevrotica la cui vita ruota attorno all’onnipresente dispositivo DIO (come Alexa, ma con seri problemi di controllo) che registra i peccati e ascolta le tue preghiere. Riuscirà a sbarazzarsi della dipendenza dal dispositivo onniveggente? Un robot programmato per aiutare e prendersi cura delle persone, ma è anziano e antiquato. Un segmento vede una donna perseguitata da un’ombra virtuale che osserva i momenti della sua vita attraverso video online. In un altro, una ricca famiglia è immortale grazie ai progressi tecnologici.

Infine, una baby squillo è alle prese con il sesso virtuale. Dopo aver confezionato videoclip per Marylin Manson e i Bloody Beetroots, la regista americana Agata Alexander ha deciso di mettersi alla prova con un lungometraggio, e il risultato è davvero straordinario. Il soggetto è nato in seguito della propria crisi esistenziale, svegliandosi ripetutamente alle quattro del mattino chiedendosi effettivamente come sarebbe andata a finire il tutto. Ma la sua non è una visione cupa, semmai realistica, legata alla realtà che stiamo vivendo. Senza smarrire l’approccio lieve, anche la dimensione apocalittica riesce ad avere un suo senso compiuto, metaforico, profetico. Sul piano squisitamente estetico Warning può vantare una confezione impeccabile. L’unico punto debole potrebbero essere le interconnessioni, anche flebili, tra le varie storie, ma il bello di questo film è proprio questo: una mappatura di piccole storie, tutti pezzi di un puzzle che ci portano verso il collasso di questo sistema futuro. Eppure, nonostante tutto, si ride in Warning.

 

 

Una risata cinica che si sposa a perfezione con i cromatismi della macchina da presa. La regista sa suggerire senza mostrare troppo, ma sa soprattutto come non lasciarsi prendere la mano e restare essenziale e funzionale alla narrazione. Guardando la disperata umanità all’interno del film lasciata isolata da una tempesta magnetica, viene da pensare ai numerosi e frequenti blackout a cui i social ci hanno ultimamente abituati. E se fossero avvisi di un’entità superiore? D’altronde, l’essere umano è insignificante rispetto al resto del creato. A questo punto, viene da domandarsi: “Stiamo davvero mettendo il mondo in uno smartphone, chiuso nelle app, nella realtà virtuale e identità digitale?”. Warning suggerisce di rimbalzo, tra una risata e un dramma, la possibilità che siamo il centro dell’Universo. Un film talmente anti-distopico da far pronunciare agli spettatori, dopo 85 minuti, le parole esatte con cui finisce il film, ovvero: “Are you fucking kidding me?!” (Mi stai prendendo per il c***o?!). Forse, in fondo, siamo solo piccoli esseri patetici e disperati, che ripetono lo stesso errore gioiosamente, capaci di ravvedersi solo ad un passo dal tracollo, dall’Apocalisse.

Alcune volte, allo spettatore non è richiesto di comprendere sempre tutto. Altrimenti dove si nasconde la bellezza del dubbio?

 

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Da quando ne ho memoria, questi sono i miei più grandi amori: canto, teatro, lettura e cinema. Sono una Studentessa del Corso di laurea DAMS presso l’Università degli Studi di Messina. Appassionata di storia dell’arte, letteratura, storia, musica, fotografia e di mummie, il palcoscenico ha fatto parte della mia vita dall'età di 6 anni e da allora non l’ho più lasciato, in qualsiasi veste. Allieva Regista per la Summer School alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, amo scrivere, in particolar modo poesie e racconti. Pratico volontariato dall’età di 10 anni e Gagarin è la mia prima collaborazione di scrittura come aspirante critica cinematografica.