Anello Passo dell’Eremo – Grotta del Romito – Passo dell’Eremo

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Una necessaria premessa

Questo terzo Giretto proposto, con tappa protagonista la cosiddetta Grotta del Romito, si veste di spiritualità e ci porta alla scoperta di un luogo di cui pochi sono a conoscenza. Un luogo che si potrebbe definire la “Lourdes romagnola”, il quale attira diversi pellegrini dalle zone limitrofe e che sicuramente gode di un fascino che va aldilà della fede spirituale, contornandosi di un alone mistico capace di catturare la curiosità anche di atei e agnostici. Ma, come ogni Giretto, la priorità rimane la ricerca di una rilassante passeggiata in natura e l’esenzione da argomentazioni pesanti, e dunque mi limiterò a classificare la meta di oggi come l’ennesima prova di che magnifico caleidoscopio di realtà diverse tra loro sia la Romagna.

Ad essere precisi, oggi ci troviamo poco oltre il confine con la Toscana. Nelle terre di confine si fa sempre fatica a definire l’appartenenza della gente che le vive, e spesso l’identità culturale è una questione soggettiva: io nel Marradese mi sento sempre a casa, e questo mi basta per considerarlo in parte romagnolo. Questa è la necessaria premessa che mi sento di fare in virtù anche dei prossimi Giretti che verranno.

 

 

Dal Passo dell’Eremo alla Grotta del Romito 

Si parte dal Passo dell’Eremo, poco sopra Marradi. Il sentiero comincia alle pendici del maestoso albero che domina la punta del tornante dove, se troviamo posto, possiamo parcheggiare la macchina: addentrandoci nel bosco, comincia il percorso.

Dopo qualche minuto di piacevole camminata ci troviamo di fronte al tipico cancello che racchiude il pascolo del bestiame locale: lo si apre e si continua a camminare sul sentiero, godendosi il primo e soddisfacente scorcio che incroceremo lungo questo Giretto.

Dopo qualche altro minuto di camminata si arriva all’inizio di una discesa, che percorrendola ci porta ad uno spiazzo (località chiamata Montemaggiore) al cui centro vi è una tenuta con tanto di cavalli che vi pascolano attorno; come per ogni proprietà privata le giriamo attorno e non ci addentriamo. Guardare ma non toccare.

Il nostro obiettivo è collegarci a una strada sterrata che su Google Maps è segnata con il nome Località Parrocchia di Albero, strada che i pellegrini della Grotta usano per arrivare alla loro meta; una nota in più che non fa sicuramente male e che ripeterò poco più avanti, dal momento che questo Giretto affronta sentieri più rustici del solito e per la maggior parte non segnati. La strada è in linea d’aria di fronte a noi, dietro la casa, e la si può raggiungere girando attorno alla casa tenendosela sulla destra, o sulla sinistra passando dal vasto prato in cui girano i cavalli e che ci fa fare un altro po’ di bosco; quest’ultima è l’alternativa più complicata che passa tra qualche siepe selvaggia di rovi, perciò suggerisco la prima alternativa.

La strada si traduce in una rilassante discesa, e tra una curva e l’altra dopo circa 750 metri si incontra una deviazione secca a sinistra: ad aiutarci vi è il primo cartello con una freccia rossa ad indicarci che siamo sulla strada giusta. Da qui, andando sempre dritto, il sentiero ci porterà alla Grotta del Romito. Da qui in poi vi sono più cartelli sulla strada con su scritto il nome di quest’ultima, perciò sarà facile arrivare. Così, tra un paio di ponticelli in legno e un vecchio mulino diroccato, il sentiero ci porta dritti alla meta, affiancando il corso di un fiumiciattolo che rende ancor più suggestivo il bosco in cui ci addentriamo.

 

 

La Grotta del Romito

Se c’è una cosa che mi ha lasciato la visita a questo luogo, posso dire che è un ulteriore stimolo a non categorizzare per stereotipi e impegnarmi a comprendere ciò che ho davanti, soprattutto se totalmente dissociato dalla mia quotidianità.

Il gruppo di pellegrini che si possono incontrare circa una volta al mese in questo luogo, o meglio la loro fervida e salda fede, possono magari spiazzare in un primo momento chi, per caso o solo per curiosità, si è recato alla grotta giusto per farsi una piacevole passeggiata nei boschi marradesi. Ma c’è una loro caratteristica che non si può mettere in discussione: la calorosa accoglienza che riservano a chiunque metta piede qui. Caffè, carne alla griglia, dolci e bevande varie: se volete vivervi a pieno la Grotta del Romito, fate in modo di esserci quando effettuano queste rimpatriate. Come saperlo? Chiedere a Massimo Spada, coordinatore di queste domeniche che riuniscono decine di pellegrini e nientemeno che il Cicerone di questo Giretto; con un semplice messaggio, si può essere inseriti nella lista contatti a cui lui invia per WhatsApp tutte le informazioni del caso.

La Grotta si presenta subito con una statuetta raffigurante l’eremita che si dice l’abbia abitata: parliamo di Beato Pietro da Portico, che leggenda vuole sia stato un francescano che ha lasciato Assisi e, recandosi in questi luoghi, abbia visto nella grotta il luogo ideale dove fermarsi. Il motivo? L’acqua miracolosa che sgorga dalla sorgente al suo interno. E di questa permanenza del frate c’è chi dice di sentirne ancora gli odori quando sosta nei pressi del sito: sono molte le testimonianze di chi sente un forte odore di incenso in questo luogo.

Ma chi lo ha scoperto? O meglio, chi ha dato il via a questo folto pellegrinaggio? La storia me l’ha introdotta Massimo, poi successivamente approfondita da Corinna, sua partner nel gestire quest’interessante realtà. E’ a Sergio Rogai – originario di Marradi e ultimo abitante del Molino abbandonato incrociato poco prima della grotta – che dobbiamo tutto questo: Sergio, che a fine anni ‘80 sostenne di essergli apparso in sogno Gesù stesso ad affidargli il compito di costruire il sentiero verso la grotta e la cura poi di essa, è il punto di partenza di una storia che sicuramente non lascia impassibili. Un onere oggi passato proprio a Corinna e Massimo, che consiglio di contattare se si vogliono informazioni più dettagliate su questa storia; la passione con cui narrano queste vicende non è replicabile su carta (o meglio, sullo schermo).

Perché loro? In breve, Sergio per tempo non trovò nessuno che diede credito alla sua storia, fino al suo incontro con Corinna e suo marito, amico di Massimo. Alla costruzione del sentiero si unirono altre persone chiamate alla causa, prima pietra posata per la costruzione di una comunità che oggi, circa 30 anni dopo, è ben salda – e questo grazie anche ai tanti miracoli a cui quest’ultima racconta di aver assistito.

Viene da chiedersi, che tipo di miracoli? Mali fisici curati in primis, ma anche crisi spirituali che vengono risolte al contatto con quest’acqua: è lei la vera protagonista. Ma cosa porta quest’acqua ad essere miracolosa? Corinna e Massimo ci spiegano che una spiegazione è stata fornita dalla dottoressa Ciccolo di Milano, la cui teoria sostiene che le vibrazioni insolite di quest’acqua la portano ad avere caratteristiche simili a quella di Lourdes (per non lasciare informazioni poco precise, potere trovare i dettagli delle sue teorie qui). A cosa sono dovute queste vibrazioni? Altro mito affascinante: la Grotta del Romito non sarebbe altro che la punta di un asteroide caduto chissà quanti anni fa, che qui spunta fuori; crederci o no è una questione soggettiva, ed io mi limito a dire che è comunque stuzzicante abbandonarsi a questo motivo dato per l’anomalia estetica che tutto sommato questa roccia ha in confronto all’ambiente circostante, oltre che all’anomalia dell’acqua.

Dunque, è veramente miracolosa questa grotta? Non sta sicuramente a me decretare la veridicità di una realtà del genere, che preferisco lasciarla nella sua intrigante e sicuramente coinvolgente opacità. Oltre a referenze e dati su Internet, per i più curiosi aggiungo che si possono leggere anche i libri di Sergio Rogai (La Grotta del Romito e dintorni) e Corinna (Luce del nostro essere).

Nella giusta neutralità di cui mi devo vestire mi ritrovo molto nelle parole di Lorenzo, compagno di questo insolito Giretto: se c’è una cosa sicura, è che il miracolo in primis lo fa l’esperienza stessa, ciò che essa ti smuove internamente; il coraggio di mettersi alla ricerca di un posto, un motivo o semplicemente persone con cui ognuno si possa sentire a suo agio senza sentirsi giudicato per ciò che lo fa stare bene. E farlo riscoprendosi in natura ha di certo una marcia in più.

 

 

Ritorno alla macchina

Il titolo di questo paragrafo, come si può notare, suggerisce due opzioni per concludere questo Giretto. La chiusura dell’anello può risultare difficile dal momento che, prima di ricollegarsi a un sicuro (e segnato!) sentiero targato CAI, bisogna attraversare una porzione di bosco che può disorientare un poco. Dunque, per chi non se la sentisse, suggerisco un ritorno alla macchina con un semplice percorrere a ritroso il sentiero che ci ha portato alla grotta. Questo non è un incentivo a rinunciare alla chiusura dell’anello, ma una semplice alternativa. Detto ciò, per chi volesse continuare, procediamo con le indicazioni; se riusciste a scaricare la traccia del percorso dal link alla fine dell’articolo – in modo da tenerla sotto mano durante questa tratta – sarebbe l’ideale.  Se si volesse usare le mappe sul telefono per orientarsi meglio, bisogna tenere conto che il “check-point” da raggiungere è segnato come “Bocchetta del Vento”, posto su una strada che sfortunatamente è senza nome.

Scendendo dalle scalinate che ci hanno portato alla grotta, superato l’improvvisato attraversamento di tronchi appoggiati sul terreno alla fine di esse, il nostro obiettivo è introdursi nella parte di bosco che sta alla nostra destra: quando il sentiero principale effettua una tenue curva a sinistra, ecco sulla destra iniziare un sentierino che si immerge tra gli alberi (da intraprendere come se tirassimo dritto a scapito di questa curva); bisogna aguzzare bene la vista, e son dispiaciuto se si perderà tempo a cercarlo.

Ad ogni modo, metro dopo metro questo sentiero prende una forma degna per appropriarsi di tale definizione: salendo qualche minuto, per sapere che si è sulla strada giusta bisogna incontrare una grezza staccionata formata da quattro pali verticali tenuti assieme da tre fili spinati orizzontali. Da qui andiamo avanti, e ci troveremo in uno spiazzo d’erba sul cui lato opposto potremo vedere (e sentire) il corso d’acqua che più in basso ci ha affiancato sul sentiero che porta alla grotta. In linea d’aria, sul crinale del versante alla nostra destra – e quindi dal lato opposto dello spiazzo su cui siamo appena arrivati, teniamo conto che c’è la Bocchetta del Vento; giusto per orientarsi, dal momento che, anche qui, perdere il senso della propria posizione non è difficile. Tenendola all’orizzonte del nostro campo visivo, andiamo dritto verso il lato opposto del prato fino a trovarci su una mulattiera che, salendo, ci porterà al nostro check-point.

Arrivati qui incrociamo una strada asfaltata alla nostra sinistra che sale: la percorriamo fino a che non sfumerà in una strada sterrata che, a un certo punto, sulla sinistra presenterà il cartello CAI che ci indicherà il sentiero in discesa da prendere. Questa tratta dura poco meno di un chilometro, e come punti di riferimento possiamo prendere due centraline – rispettivamente la prima del gas e la seconda elettrica. La strada presenta una salita decisamente ripida, alla fine della quale possiamo però ammirare un panorama stupendo sia alla nostra destra che alla nostra sinistra.

La chiusura dell’anello continua con una deviazione sul lato sinistro della strada, segnalata da un cartello CAI che al mio passaggio ho trovato a terra; spero lo rimettano in piedi a breve, nel caso prestate un minimo d’attenzione. Il sentiero è il 521 AM, e sul cartello troviamo le indicazioni Canove (45m), Gamogna (2h15m) e Marradi (4h45m). Il sentiero procede in discesa e, passata l’ennesima staccionata di pali in legno e filo spinato, ci porterà alla strada provinciale. Quando sbucheremo su di essa, la percorriamo andando a sinistra e dopo qualche minuto di camminata l’anello si concluderà al Passo dell’Eremo.

 

 

MAGNÊ

La sosta per rimpinzarci lo stomaco questa volta non passa da un ristorante, ma da un bar-alimentari lungo la Marradese – all’altezza di Popolano – molto noto per i suoi panini: Mughini.

Locale storico della zona, in passato è stato più di un bar-alimentari: uno dei tre titolari (sono due fratelli e una sorella) mi ha spiegato che agli inizi qui si vendeva di tutto, facendomi l’esempio anche del cherosene; insomma, un punto di riferimento del paesino per prodotti di ogni tipo. Ma di che anni parliamo? La sua storia ha avuto inizio nel 1921 – ma ottenne la licenza nel 1927, motivo per cui i 100 anni sono rimandati -, una storia ora portata avanti dalla terza (!) generazione della famiglia, particolarità ben rara al giorno d’oggi, e che mi ha lasciato un sapore nostalgico in bocca non indifferente. Sapore subito corretto con quello che per me è un must quando mi fermo da Mughini: un semplice ma sempre disarmante panino pecorino e finocchiona, accompagnato da birra o spritz. Dei sapori della Toscana montanara qui potete trovare ogni cosa, e di ottima qualità: i salumi e i formaggi che vengono presentati al banco sono peggio delle sirene di Ulisse, se si ha fame.

Figli e portavoci della tradizione, sì, ma di certo non senza inventiva: qui si può gustare il Marron Caffè, cocktail a base di caffè, crema di marroni, panna montata e marron glacés (in onore del famoso Marrone di Marradi).

E’ sempre bello imbattersi nei titolari di questi particolari esercizi commerciali, che combattono la voracità dei tempi moderni e cercano di mantenere vive realtà cardine per questi paesini appenninici. Come mi è stato detto, è la strada a mantenerli vivi: chiunque passi di qui non può non notare Mughini, e chi si ferma si prometterà di ritornare sia per ciò che ha gustato, sia per la cortesia con cui viene sempre effettuato il servizio. “E’ stata la nostra capacità di crearci un’identità ben precisa a mantenerci vivi”: beh, a mio dire ci siete riusciti benissimo.

Consigliatissimo!

Link per consultare il percorso qui.

Cicerone: Massimo Spada (contatto telefonico solo su richiesta)

 

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Sono ragazzo faentino di 25 anni fortemente innamorato della propria terra, la Romagna. Le mie passioni principali sono viaggiare praticando trekking, cucinare e scrivere, ma soprattutto la costante ricerca dello stupore: è proprio quest’ultima mia tendenza ad essere la brace ardente che tiene viva la fiamma delle altre. Tutto ciò si traduce in una vita dinamica – a volte troppo – in cui cerco di voler scoprire sempre di più, di passare ininterrottamente da un’esperienza all’altra; e documentare ciò che scopro, cercando di trovare sempre il miglior modo possibile per esprimere le sensazioni che ho provato.