Aliytoumi, ovvero Aliy Soltan Toumi, ventidue anni, inizia molto presto ad interessarsi alla fotografia.
Due sono gli aspetti del suo lavoro che mi hanno incuriosita: l’utilizzo della pellicola e la capacità di raccontare una Ravenna, città in cui vive, ancora sconosciuta a molti.
Utilizzare la fotocamera analogica è cosa rara, di questi tempi, per un artista così giovane. Nelle sue fotografie ho riconosciuto le caratteristiche cromatiche del negativo: lo scanner ha in qualche modo sostituito la camera oscura ma non ha potuto rimpiazzare la materialità della pellicola, la peculiarità del colore, le piccole imperfezioni: tutti quei dettagli che il digitale ha rimosso dalla nostra memoria sono invece presenti nel lavoro di Aliy, che apprezza queste caratteristiche come se con l’analogico ci fosse cresciuto e non si preoccupa troppo per la polvere sul negativo, ma insiste sul “vorrei riuscire a far vedere quello che io vedo”. In dialogo con l’ambiente circostante, non si stanca di osservare la vita attraverso il medium fotografico.
La città raccontata da Aliy è una Ravenna che nel tempo si è trasformata da provincia isolata a luogo cosmopolita, diventando contenitore di culture differenti che si intrecciano – non sempre senza problemi – ma che sono il vero valore aggiunto delle società contemporanee, almeno potenzialmente. Tutto questo, raccontato da dentro, è molto più interessante.
Legato alla scena musicale della città, principalmente quella della musica rap, fotografa giovani artisti, amici, amici degli artisti, cameramen, comparse, strade, palazzi. Ovviamente tutto succede come nella migliore tradizione, ossia nel quartiere, “the hood”, come si diceva alle origini della cultura hip hop, verso fine degli anni settanta, nelle periferie americane. Nel caso di Aliy il quartiere in questione è quello che sorge attorno a Via Tommaso Gulli, ovvero le leggendarie case popolari di Ravenna.
Le fotografie di Soltan Toumy sono, o perlomeno lo sono quelle che io prediligo, degli snapshots (an informal photograph taken quickly, typically with a small handheld camera), cioè delle riprese veloci; Aliy è nella scena e da dentro ci racconta quello che vive: nelle sue fotografie si respira il presente. Quello stile un po’ retorico, tipico delle storie cosiddette marginali è qui totalmente assente per lasciare spazio alla volontà di raccontare e all’energia di uno sguardo in cerca di riscatto, capace di rilevare momenti altamente narrativi, con approccio istintivo ma preciso. E’ sempre un piacere imbattersi in una visione non ancora dominata da sovrastrutture, una vera epifania per chi guarda. Soltan Toumi deve crescere, ma promette bene.
“Sono nato in Italia da padre tunisino e madre ungherese, cosa non sempre facile da gestire, ma che mi fa sentire ‘cittadino del mondo’; non sento di appartenere, almeno in buona parte, a nessuno di questi tre luoghi ma penso che la fotografia saprà darmi delle risposte, col tempo; forse è proprio attraverso questa pratica che cerco di comprendere me stesso e il mondo che mi circonda.
Il fatto di provenire da mondi distanti tra loro, sia a livello architettonico che culturale che geografico, mi ha costretto ad adattarmi; ho avuto l’opportunità di conoscere l’infanzia dei miei genitori attraverso i loro luoghi di provenienza e di immaginarli nelle loro vite passate. La mia fotografia è un po’ questo: oltre a raccontare la mia realtà, tendo ad immedesimarmi e a fare parte dei mondi che sto esplorando”.
Il suo linguaggio ricorda quello di importanti e celebrati autori della fotografia internazionale, come Boris Michajlov e Bertien van Mannen. Lui indica Daido Moryiama e la sorella, fotografa a sua volta, come prime fonti di ispirazione. Gli auguro e gli consiglio di coltivare il suo talento, quello di saper vedere e saperci mostrare “le cose come sono, le cose come le vediamo”.