Una donna “del tutto insignificante” decide di diventare vegetariana e sogna di trasformarsi in pianta, dopo una serie di incubi ricorrenti di sangue, boschi immersi nel buio e carcasse di animali. La sua scelta scatenerà il sadismo del marito e la perversione del cognato, attratto morbosamente dalla sua misteriosa voglia azzurra.
Han Kang è una scrittrice sudcoreana, nata nel 1970. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts. Ha pubblicato numerosi racconti, poesie, saggi e alcuni romanzi. Ha vinto il Man Booker International Prize nel 2016 con La vegetariana e il Premio Malaparte con Atti umani nel 2017. Han (cognome, che nell’onomastica coreana precede il nome) è anche musicista e ha un forte interesse per l’arte visiva, che trova spazio nei suoi scritti.
LA VEGETARIANA
La cultura coreana ha conosciuto negli ultimi decenni un’espansione inarrestabile nel mondo occidentale: la così detta K-culture è, oltre ai libri, al cinema, alla musica, un modo di essere. Ultimo successo mondiale è Squid Games, serie televisiva che per quanto cruda tocca in modo creativo e universale i temi dell’esistenza umana.
La Corea ha una organizzazione statale tra le più antiche al mondo, una civiltà raffinata che per secoli ha dovuto difendere dai paesi confinanti: mantenere i valori di una lunga tradizione culturale e allo stesso tempo renderli comprensibili al resto del mondo, ecco uno degli elementi del grande successo, anche di Han.
Nel romanzo La vegetariana, la remissiva e docile Yeong-hye dopo una serie di incubi ricorrenti decide di non mangiare più carne, si rifiuta inoltre di cucinarla e di tenerla in casa, nonostante la carne sia un ingrediente base di quasi tutti i piatti coreani.
Considerato che in Corea i vegetariani sono pochissimi e generalmente malvisti, la sua scelta crea molte tensioni, modificando in modo radicale le relazioni con il marito, con la famiglia e con la società.
La dieta sempre più stretta, che niente ha a che fare con l’anoressia, la indebolisce, ma le restituisce la consapevolezza assoluta della violenza degli esseri umani e la progressiva volontà di trasformarsi in pianta.
Esporre il petto nudo al sole per realizzare la fotosintesi è solo uno degli atti che andrà compiendo, dopo una crisi irrimediabile durante la quale il padre, un uomo violento reduce del Vietnam, nel tentativo congiunto a quello dei familiari di farle mangiare carne, la picchierà in modo brutale come quando era bambina.
Nonostante il deperimento fisico, Yeong-hye mantiene una forza d’animo incrollabile: abbandonati tutti i motivi di rimpianto, nemmeno la morte sembra più spaventarla.
La narrazione si divide in tre capitoli, in cui punti di vista diversi accompagnano in ordine cronologico lo snodarsi degli eventi.
Il marito racconta della scelta di sposare Yeong-hye proprio per la sua aria timida e giallognola e per la mancanza di fascino, che gli garantiscono di non essere giudicato per la propria mediocrità anche sessuale.
Della moglie descrive la passione per la lettura, la remissività, le capacità di cuoca, il vestire dimesso, l’abitudine imbarazzante di non usare il reggiseno, e infine il suo rifiuto di mangiare qualsiasi prodotto animale.
Un uomo gretto e opportunista che di fronte alla ribellione della moglie, causata dai dolorosi interrogativi sull’animo umano, non può far altro che abbandonarla.
Nel secondo capitolo il racconto procede dal punto di vista del cognato, un videoartista che non giudica Yeong-hye, anzi è attratto irrimediabilmente da una piccola voglia azzurra che si trova sopra la natica sinistra della donna, la macchia mongolica. Quel segno che in genere scompare in età adulta, raffigura per lui un petalo delicato, in perfetta sintonia con la scelta della cognata di non mangiare carne. Gli ispirerà un progetto artistico provocatorio, nato dal desiderio di dipingere di fiori colorati quel corpo e di filmarlo mentre si accoppia con un corpo maschile trasformato a sua volta dai colori e dalle forme di piante. Una visione estetica e mistica.
Della protagonista conosciamo solo le azioni e i sogni, nulla sappiamo dei suoi pensieri, ma se i due uomini non riescono a colmare i non detti, incapaci di uscire dalle loro convinzioni e necessità, la sorella è invece l’unica a coltivare la speranza, la sola ha provare empatia.
Sarà infatti In-Hye, nell’ultimo capitolo, ad accogliere il dolore di Yeong-hye, al di là di ogni sua azione sconsiderata, tentando di starle vicina, di comprendere il suo desiderio di essere pianta, e sarà sempre lei ad accompagnare la sua scelta fino al limite.
LA NATURA DEGLI UOMINI
Come un sādhu indiano alla ricerca dell’assoluto, che rinuncia a tutto ciò che è terreno tanto da essere capace di fermarsi in una posizione fino ad atrofizzare gli arti, anche Young-hye si spoglia dei vestiti, dei legami, dei desideri e pratica una forma di non-violenza estrema.
Il suo vegetarianesmo sembra coniugare l’antica radice spirituale asiatica, presente anche nel buddismo, all’idea ottocentesca nata in Inghilterra come forma di protesta contro lo sfruttamento di uomini e animali per saziare il bisogno di sprechi e lussi.
Della protagonista, la scrittrice ha detto: «Si ribella rinunciando fisicamente all’oscurità dell’animo umano. Per non fare male, per raggiungere la purezza, è convinta di potersi trasformare in un vegetale».
La vegetariana è un libro originale e disturbante dove l’interrogativo sulla natura umana portato alle estreme conseguenze rende labile anche il confine fra sanità e squilibrio mentale.
Non è un caso che uno dei romanzi successivi di Han Kang, Atti umani, ripercorra la tragedia del massacro di Gwangju, che ebbe inizio il 18 maggio del 1980, una violenta repressione militare costata la vita a più di mille cittadini sudcoreani, operai, giovani, studenti che manifestavano per abolire la legge marziale, nel tentativo di affermare i diritti umani e la libertà di espressione. La rivolta portò la Corea del Sud all’affermazione della democrazia, ponendo fine al lungo regime autoritario, ma fu anche la dimostrazione della violenza e della crudeltà dell’uomo sull’uomo.
La vegetariana è un romanzo altamente poetico, per il simbolismo che emerge dal continuo sconfinare tra immaginazione, realtà e mondo onirico. È su questo crinale che Han tenta di rintracciare il labile confine tra amore e violenza, con uno stile semplice, quasi classico, ma con parole che prendono vita e significato scavando a fondo nelle ferite dei personaggi.
Han Kang, La vegetariana, Adelphi, 2016, pp.176