Edoardo Erba è un drammaturgo di notevole successo, pubblicato, tradotto in molte lingue e rappresentato in Italia e in numerosi altri paesi in Europa e nel mondo. Maria Dolores Pesce, raffinata critica e attenta studiosa di teatro, ha appena pubblicato un denso saggio (Il testo e la scena, con Editoria & Spettacolo) dedicato al suo lavoro.
Quali attenzioni è necessario avere, nel raccontare l’opera di un raccontatore di storie come Edoardo Erba?
“Edoardo Erba è, come dici giustamente tu, un bravissimo raccontatore di storie, ma è soprattutto un raccontatore di storie assai particolare. Infatti, a prima vista, sembra occuparsi e soffermarsi, quasi in modo naturalistico, sulla realtà quale ci appare ma solo per meglio avviarsi a e meglio investigare sulla verità che, sotto quella apparenza, si cela. Non è solo una modalità letteraria ma è anche una modalità scenica che il testo custodisce e mette a disposizione di attori e registi e, direi soprattutto, del pubblico. È necessario dunque avere, per il critico e lo studioso, la sensibilità di percepire il progressivo slittamento di realtà che la narrazione e la sua messa in scena consentono, in direzione di quella sincerità significativa e percettiva che costituisce a mio avviso la preoccupazione principale di questo drammaturgo. Nelle sue scritture si realizza così una sorta di “metafisica” della realtà, come ho definito la loro intrinseca capacità di mostrare ciò che sta dietro all’apparenza di realtà che circonda noi e il mondo, spesso nascondendoci a noi stessi. Drammaturgicamente ed esteticamente questa sua particolare qualità si manifesta nella capacità di preparare, anticipare e coltivare, nella narrazione prima e nel transito scenico poi, quella sorpresa e quel ribaltamento che il colpo di scena palesa improvvisamente”.
Quali caratteristiche hanno determinato, a tuo avviso, il suo successo internazionale?
“Direi proprio quelle che ho descritto prima, la sua particolare capacità, cioè, di raccontare che appare in sintonia con le qualità di tanta drammaturgia contemporanea, anglosassone e tedesca in particolare, e rende dunque i suoi testi più immediatamente apprezzabili dal pubblico internazionale. Inoltre io rilevo nelle drammaturgie di Erba una inusuale sensibilità per il presente che però non dimentica quella essenzialità e irriducibilità della condizione umana che va spesso oltre l’oggi, così da renderle capaci di un respiro meno limitato e limitante. C’è poi l’aspetto della lingua, della scrittura e della sintassi la cui limpidezza consente, io credo, una resa notevole nelle traduzioni che preservano così e trasmettono, meglio di altre scritture, lo spirito delle drammaturgie e ne consentono una più efficace resa scenica anche fuori d’Italia”.
Quasi due decenni fa, nel 2003, è stato pubblicato un tuo primo saggio dedicato a Edoardo Erba. Potresti sintetizzare un elemento di continuità e un netto cambiamento nella sua scrittura, nel corso degli anni?
Come ho avuto modo di sottolineare in chiusura del mio volume, ci sono due elementi di continuità importanti nel complesso dell’ormai trentennale attività di scrittore per il teatro di Edoardo Erba. Entrambi all’insegna non della ripetitività o sovrapponibilità degli esiti letterari e teatrali, bensì della coerenza. Una straordinaria coerenza che segna sia le modalità dell’approccio narrativo, che ho cercato di descrivere nei suoi elementi linguistici, sia quelle dal punto di vista stilistico, capace di dare ordine alla estrema varietà delle sintassi utilizzate, dal noir, al grottesco, dal dramma metafisico alla commedia di costume, di cui ho tentato di mettere in evidenza l’aspetto estetico che rende le sue scritture sceniche immediatamente riconoscibili. Tutti i cambiamenti, inevitabili in tanti anni, quindi sono stati ricondotti e interpretati all’interno di quella straordinaria, anche nel senso di essere non comune, coerenza”.
Il tuo libro si chiude con un suo folgorante testo inedito, L’onesto fantasma, che procede guizzante tra documentazione del (più prosaico) reale e costruzione di lirico immaginario. Sai quando verrà messo in scena?
“È stato un vero regalo da parte di Edoardo Erba, di cui lo ringrazio. È un testo, come scrive il suo autore nella nota che lo presenta e precede, dedicato ad un amico scomparso. Come di consueto Erba racconta ciò che sta dietro, in questo caso racconta una assenza ma mostrandola, paradossalmente ma neanche tanto, non come un vuoto piuttosto come un pieno, metafisico, di realtà. Un testo che non è indulgente, né allo psicologismo né tanto meno alla retorica, ma è, come spesso accade in Edoardo, commovente ed affettivo oltre le sue stesse apparenze. Per quanto riguarda la sua messa in scena, inizialmente prevista per la stagione in corso, causa l’accumularsi di ritardi da pandemia, probabilmente sarà per la prossima”.
Hai scritto, tra gli altri, saggi su Edoardo Sanguineti, Massimo Bontempelli, Marco Martinelli e, ora, Edoardo Erba. È possibile individuare un elemento che accomuna questi autori, così diversi tra loro, o che almeno li unisce nella tua motivazione a occupartene?
“Come studiosa e dunque da una visuale più strettamente estetica, ho avuto modo di sottolineare spesso una notevole sintonia tra Massimo Bontempelli ed Edoardo Erba, all’insegna del realismo magico e dell’ingenuità del primo, di cui ho trovato riscontro nell’approccio narrativo della metafisica della realtà e nell’idea di sincerità del secondo, elementi che trovano poi espressione nell’utilizzo, comune nella loro dinamica rappresentativa, del “colpo di scena”. Inoltre i due mi appaiono simili nella qualità di una scrittura sintatticamente ben strutturata, dai toni classici, ma insieme metamorfica e adattabile. Per quanto riguarda gli altri da te citati, cui aggiungerei Rosso di San Secondo oggetto anch’esso di un mio studio, li accomuna il mio interesse per il rapporto tra scrittura e scena. Ciascuno di questi autori infatti ha elaborato questo rapporto con modalità personali e singolari, talora contrapposte ma sempre, a mio avviso, di straordinaria efficacia, a partire dal travestimento sanguinetiano”.
Anche come vice direttrice della rivista dramma.it, ti imbatti nell’opera di molti drammaturghi di ogni età e provenienza. Quali consigli ti sentiresti di dare, a chi desiderasse avvicinarsi oggi a questa antica pratica artistica?
“È sempre molto difficile come critica e studiosa, e forse non è neanche appropriato, dare consigli agli artisti se non cercando di avvicinarmi alle loro opere anche per sottolineare qualcosa che magari non hanno visto. Pertanto mi limiterò a citare Edoardo Erba che ha così definito il suo operare: Mi ricordo una bella poesia di Bukowski, che invito tutti a leggere. Comincia così: ‘Se non ti esplode dentro a dispetto di tutto, non farlo’. Ho cercato di scrivere testi necessari. Non che fossero necessari al mercato, anzi. Il mercato è saturo da almeno tre, quattrocento anni. Ho cercato di scrivere cose necessarie per me. Per sentirmi vivo’. Da parte mia, mi auguro che la società possa continuare o ritornare ad essere consapevole e accogliente, capace cioè di ascoltare e di costruire le condizioni per cui la cultura, l’arte in generale e l’arte teatrale in particolare possano esprimere al massimo le loro potenzialità e quella efficacia di cui abbiamo bisogno”.
Grazie.