Dziga Vertov sulle note di Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti

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Un’enorme cinepresa in primo piano. In confronto, l’essere umano è minuscolo e si arrampica su di essa, prima di scomparire dietro un sipario. La bobina è sistemata, il pubblico comincia a prendere posto in sala, le luci si spengono: che la magia abbia inizio. Questo è lo splendido incipit de L’uomo con la macchina da presa, la pellicola diretta da Dziga Vertov e divenuta monumento del cinema costruttivista sovietico. Questa brillante lettera d’amore al cinema che celebra la potenza della macchina e la rivoluzione tecnologica portata dal cinematografo sarà protagonista della serata di venerdì 25 marzo al Salone Snaporaz di Cattolica nell’ambito del circuito BIGLIA – palchi in pista, il circuito ATER Fondazione dedicato alla musica dal vivo. Le immagini del 1929 saranno accompagnate dalla musica di Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti: un dialogo tra due talentuosi musicisti che ridà vita a una pietra miliare della storia del cinema.

“Il tutto è nato da un’idea di Stefano Pilia”, racconta Paolo Spaccamonti. “Dopo esserci trovati a sonorizzare C’era una volta di C.T. Dreyer, insieme anche a Julia Kent, si è consolidata in noi l’idea di continuare questo percorso, perché ci siamo trovati bene a dialogare con le immagini. Da lì abbiamo quindi sonorizzato Greed di Erich von Stroheim e, dopo questa esperienza, abbiamo pensato che sarebbe stato bello scegliere un film con una trama meno strutturata. Nel caso di Greed infatti si rischiava di diventare anche troppo didascalici a volte, motivo per cui avevamo scritto nel dettaglio tutte le musiche. Questa volta con L’uomo con la macchina da presa ci piaceva l’idea di non strutturare le partiture, ma di improvvisare ogni volta. Il fattore interessante è quindi che ogni esecuzione è diversa”.

Sull’onda di questa improvvisazione, come si svolge il processo di realizzazione del suono?

“Quello che facciamo è cercare ogni volta un dialogo con le immagini. Chiaramente abbiamo visto e rivisto più volte la pellicola: ci interessava in particolare l’idea della ciclicità del film che percorre l’arco di un’intera giornata. Nella pratica, Stefano processa elettronicamente un mio suono e lo modifica in base alle immagini, in una sorta di dialogo tra noi che poi sfocia nel dialogo sonoro con le immagini. Attraverso l’utilizzo di synth modulari quindi Stefano prende il mio suono, lo modella e lo modifica in tempo reale. Anche per me dunque è ogni volta una cosa diversa. In alcuni casi distrugge il mio suono, in altri decide di lasciarlo fedele, in altri ancora utilizza la chitarra quindi diventa una musica più ordinaria. Poi in alcune scene c’è solo rumore bianco o addirittura nulla. Ci sembrava questo il modo più adatto per non rovinare un film che comunque di per sé è già perfetto anche con le sole immagini”.

Come raccontavi prima, questa non è la tua prima esperienza di sonorizzazione cinematografica. Ci sono dei criteri per scegliere il ‘genere’ musicale su cui costruire un accompagnamento?

“Personalmente seguo dei criteri che hanno a che fare con il mio gusto personale. Ad esempio, nel caso di Vampyr di Carl Theodor Dreyer che ho sonorizzato con Ramon Moro, ci sembrava più sensato restituire una musica più cupa, più notturna. In quel caso abbiamo dunque attinto al genere doom, un genere più distorto, più sporco, se vuoi anche metal, gotico. Nel caso di Greed invece, con tutti quegli spazi aperti, ci siamo fatti più influenzare dal folk e abbiamo quindi utilizzato molto le chitarre acustiche. Non sono regole scritte, me le sono sostanzialmente inventate e ho imparato lavorandoci. Nel passato si usavano le partiture già scritte, poi successivamente si è iniziato a comporre per il film, però la matrice era più classica. Ciò che è interessante in questi ultimi anni è che i film si possono modernizzare – nonostante siano già moderni nello stile – associandoli a un suono dei giorni nostri”.

È un modo quindi per dargli una nuova vita…

“Sì esatto, anche se bisogna sempre stare attenti non solo a non diventare troppo didascalici ma anche a non fuorviare troppo quello che il regista voleva dire. È un equilibrio molto delicato. La regola è di non coprire il film, stare sempre e comunque a disposizione delle immagini. Non è un concerto: la musica deve essere un elemento, ma non può sovrastare il film”.

L’uomo con la macchina da presa rinasce così a nuova vita e ogni esecuzione è la scoperta di una nuova esperienza cinematografica e musicale. Il valore di operazione come questa è infatti anche la capacità “di unire due pubblici”, afferma il musicista. “Da un lato quello più interessato alla parte musicale e dall’altro quello più interessato alla parte cinematografica. Ognuno dei due scopre o il musicista o il film. Inoltre è un modo per invitare tante persone ad andare al cinema a vedere cose che altrimenti non sarebbero mai andate a vedere, perché si pensa sempre, erroneamente, che questo tipo di film siano un po’ noiosi”.

Venerdì 25 marzo, L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, ore 21.15, Salone Snaporaz – circuito BIGLIA – palchi in pista, Piazza del Mercato, 14 Cattolica – info:  0541/960456