Se al Franco Parenti, teatro che produce Filippo Timi, era andato in scena Mrs Fairytale, il positivo, il visibile, quello che c’è, al Teatro della Pergola di Firenze la stessa pièce è diventata L’uomo invisibile, come il guardare il negativo della fotografia in controluce, dando spazio nel titolo a quello che non c’è, come cantava, sempre arrabbiato, Manuel Agnelli.
Dopo Skianto, una drammaturgia d’alta qualità, commovente e coinvolgente, l’attesa era molta. Dopo un iniziale poetico attacco toccante, che ben prometteva, su solitudine ed emarginazione, sulla mancanza d’amore, “non esistono cerotti per un cuore infranto”, in questo salotto anni ’50 dove un marito incellofanato stava seduto e immobile sul divano a leggere, un cane di pezza e tanti palloncini che avrebbero voluto volare liberi e leggeri e felici se non fossero stati piombati a terra dalle ansie, dal controllo sociale, dalle pesantezze della vita, si è scivolati lentamente e inesorabilmente ma drasticamente verso futili banalità, dentro un cabaret trito e insipido, in un varietà ovvio, superficiale e piatto, senza guizzi.
Filippo Timi (con la parrucca rossa è un’accattivante miscela tra Javier Bardem e Miriam Leone) è un grande artista ma, spesso, proprio perché vuole strafare generoso, innamorato del suo pubblico così acritico, esonda e perde di vista il teatro per lanciarsi con tutto il corpo tra le braccia della sua platea che lo adora qualunque cosa faccia sul palco, il che diventa dequalificante per l’attore e sminuente per le persone sulle poltroncine rosse che applaudono forsennate e dogmaticamente a qualsiasi cosa gli venga proposta. I due lati della vicenda si autoalimentano non facendo un buon servizio al protagonista da una parte, all’arte del teatro e alla riflessione dall’altra. In definitiva “L’uomo invisibile” è uno spettacolo che non c’è, che non esiste, basato sul niente, come direbbe Thom Pain.
Invece, purtroppo, lo abbiamo visto, ed abbiamo assistito al vacuo e fatuo, certo colorato e variopinto e immerso in grandi scenografie e costumi luccicanti, sentendo un grande freddo dentro per l’eco vuota che ci stava annichilendo e soverchiando, ammantando e accerchiando. Tutti i possibili temi ed argomenti che potevano emergere dal personaggio principale en travestì di Favola, spettacolo di Timi del 2014, la finta felicità di facciata delle donne americane nel dopoguerra, quel sorriso falso a tutti denti sempre sovraesposto negli spot e al cinema (da Happy Days fino ad arrivare a Morte di un commesso viaggiatore), i silenzi e le soap opera come unico svago plausibile, soprattutto l’alcool ingoiato e gli psicofarmaci ingurgitati a manciate per sopportare la pressione e la noia, l’emarginazione sociale, il confinamento casalingo, il problema dell’emancipazione e della condizione femminile, ecco tutto questo si è sciolto in qualche battuta, alcune barzellette, poche canzonette, improvvisazioni e un tête-à-tête con il pubblico come fossimo in uno stand up comedy, in un botta e risposta tra storiella insensata e risata telefonata e garantita.
Nessuno del pubblico ha osato mettere in dubbio la sovranità del mattatore: anche questo è lo specchio dei tempi. Una platea adorante che sottolinea in maniera grossolana e con grasse risa ogni minima facezia del monologhista non fa altro che avallare la piega facile e semplicistica della pièce. Del Timi autoriale di Skianto nessuna traccia, qui siamo nell’abisso, come fare un tuffo dalle Cascate del Niagara, un tonfo sordo, un lancio senza paracadute.
Ci ha dato in pasto una telefonata lunghissima (erano meglio quelle di Franca Valeri) tra gorgheggi e francesismi, la reiterata scenetta appellando e battezzando i palloncini candidi con il nome di Blanco e intonando anche la hit sanremese Brividi; e poi Timi che fa la foca e il pubblico che batte le mani, Timi che fa il picchio dei cartoni animati della Universal Pictures e il pubblico va in visibilio, Timi che fa il geco-mimo e il pubblico si straccia le vesti urlando al genio, gemendo al capolavoro, Timi che balla la beatlesiana Twist and shout e il pubblico che lo osanna, Timi che canta Apri tutte le porte di Morandi e il pubblico lo idolatra, Timi balla scatenato Can’t touch this e il pubblico ulula di giubilo, Timi fa la Callas in playback e il pubblico gongola, Timi fa la scimmia e il pubblico gioisce come davanti all’apparizione della Madonna di Medugorje. Nel tritacarne entra anche un comizio sul Ddl Zan con dietro le immagini della folla oceanica al celebre discorso “I have a dream” pronunciato da Martin Luther King al Lincoln Memorial a Washington, quindi paragonando la segregazione razziale degli afroamericani negli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti alla vita degli omosessuali oggi in Italia: eccessivo e oltremodo esagerato.
L’uomo invisibile manca di cura drammaturgica ma ha attizzato gli istinti e stimolato e stuzzicato la pancia di una sala sovreccitata che ad ogni parola o sussulto si sganasciava e come automa imbeccato sghignazzava a crepapelle. Ci sarebbe da pensare ad uno studio sociologico e antropologico ad hoc.
Dopo i sorcini di Renato Zero adesso è ufficiale: esistono, e sono in mezzo a noi, i “timini”. Difenderebbero il loro guru da ogni critica, lo innalzerebbero davanti a qualsiasi evidenza, lo proteggerebbero da ogni biasimo, lo salvaguardarderebbero come fa il WWF con il panda in via d’estinzione, lo custodirebbero gelosamente come un dio pagano, lo tutelerebbero come fede incrollabile, lo preserverebbero dalle insidie di chi osa parlarne in toni non entusiastici, lo vorrebbero riparare sotto una campana di vetro chiuso nel loro mix di adorazione, esaltazione e fanatismo.
Possiamo anche arrivare a “salvare” Timi (che, ovviamente, si salva da solo) ma non il suo pubblico esagitato.
Buongiorno. C’ero, tra quel pubblico, anche se ero delusa e a tratti stizzita per gli applausi a scena aperta e tanto altro – che lei ha ben detto e argomentato. Ho visto Favola e Skianto…non posso che condividere la sua recensione. Le chiedo però di non “sparare” sul pubblico, questo sì, glielo chiedo. Il pubblico non è solo la parte più accesa e “rumorosa” della platea. E comunque il pubblico merita maggior rispetto. Inoltre, se Timi si salva da solo, chi salverà il pubblico?
Cordialmente
Antonella
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