La questione del tempo. Due casi teatrali

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Félix González-Torres, Untitled (Perfetct Lovers), 1991

 

Questa in apertura, dei due orologi, è un’opera d’arte.

E già, su questo, molti potrebbero obiettare.

Ma comunque.

È di un artista cubano, Félix González-Torres.

Si intitola -paradosso- Untitled (Perfetct Lovers).

L’ha realizzata nel 1991, cinque anni prima di morire per complicazioni dovute all’AIDS.

Al di là della forma (qualche critico ha letto il segno dell’infinito, nelle circonferenze dei due orologi accostati), pone due questioni fondamentali: quella del tempo. E quella del quasi.

La seconda: i due orologi sono quasi in sincrono. Come a dire, forse: l’essere pienamente insieme non è cosa data, a noi umani difettati. Nonostante l’amore (IL grande tema nei lavori di quel gigante di González-Torres). Nonostante la sincera volontà di chi è coinvolto.

«Fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto» ha scritto un altro gigante, Andrea Zanzotto.

E poi, tornando a noi: la prima questione, il tempo.

Centrale in due creazioni in cui ci siamo imbattuti nei giorni scorsi, Miracoli Metropolitani di Carrozzeria Orfeo e Peachum. Un’opera da tre soldi di Fausto Paravidino.

 

Miracoli metropolitani – ph Laila Pozzo

 

Tempo. Innanzi tutto: riferirsi all’oggi, per temi e stilemi.

L’auto-confinamento in una carrozzeria (nomen omen), la questione dei migranti, la malattia, la morte, l’uso compulsivo dei social, i soldi che mancano, il linguaggio ostentatamente basso, scurrile per Miracoli, nome che nell’etimo, vale forse ricordarlo, rimanda a cose da ammirare. E in questo allestimento, da ammirare, certo vi è molto: una macchina teatrale efficacissima, affatto oliata, finanche cristallina, che porta con sé per due ore e mezza -tra risate, applausi a ogni cambio scena e silenzi assorti- le centinaia di spettatori presenti (per la maggior parte ventenni o giù di lì – e non è certo cosa da poco).

Felpe, chitarre elettriche, anche in questo caso riferimenti ai migranti e ai bassifondi per Peachum, dando corpo a un discorso sul/col presente fino all’esilarante evocazione -letteralmente- di Papa Francesco sul finale.

Tempo, in entrambi i casi, è anche elemento connesso al ritmo.

Tutto è ritmo, direbbe il filosofo.

Ma noi, che filosofi non siamo, dobbiamo circoscrivere il nostro piccolo discorso.

Dunque: ritmo scenico, nella creazione di Carrozzeria Orfeo.

Che in questo, va detto, sono maestri.

Dialoghi arguti e serratissimi, scene e controscene, sproloqui e balbettii, furie cinetiche e semi-immobilità. Ma anche netti cambi di luce a ritagliare sezioni dello spazio, una scenografia semovente con avanzamenti e retrocessioni drammaticamente efficaci: un furioso baillame costruito ed eseguito con limpida sapienza. Chapeau.

 

Peachum. Un’opera da tre soldi – ph Luca Guadagnini

 

Brechtianamente: ritmo come alternanza tra finzione e rottura della quarta parete, nell’allestimento di Paravidino. Attirare il pubblico dentro la fabula e subito lasciarlo fuori dalla porta. Poi ancora e ancora, senza posa: «Scusate se interrompo un attimo l’azione per dirvi questa cosa, ma…». Rocco Papaleo che inizia e subito stoppa gli applausi del pubblico. Avvicendamento di registri: dialoghi, discorsi, sezioni in rima. Battute comiche a spezzare, letteralmente, l’immergersi in scene (melo)drammatiche. La maschera vocale di Papa Francesco che chiede agli spettatori se perdonare un assassino: «Sì? No?». E la domanda finale: «L’umanità vuole andare avanti», con la platea per un attimo illuminata da un lampo di luce bianca.

In entrambi i casi: maschere -o meglio funzioni sceniche- a dar corpo a questi imponenti quanto efficienti dispositivi.

Non vi è psicologismo.

Poco o niente moralismo.

Disillusione, forse.

Riso cinico, amaro, anche.

Mestiere, tanto.

Soprattutto (ed è il maggior limite individuato in queste due macchine teatrali sapienti, comprensibilmente di grande successo): non vi è pericolo.

Non si è messi in discussione.

Nessun disagio, per lo spettatore.

Vien da pensare a un altro esponente del mondo delle arti visive contemporanee, Richard Serra, al suo monumentale The Matter of Time, progetto in cui la percezione del fruitore era sfidata fino alla vertigine, fino alla perdita di riferimenti spaziali, fino -appunto- al pericolo.

 

Richard Serra, The Matter of Time, 2005

 

Opere in cui imbattersi «con quel senso di spaesamento che ogni incontro che si rispetti dovrebbe provocare», come direbbe la scrittrice ravennate Laura Gambi.

Tra pandemie e categorie dell’oggi (dal postmoderno al post-drammatico et ultra), l’arte della scena può (deve?) ancora assolvere a tale funzione?

 

MICHELE PASCARELLA

  

 

Miracoli Metropolitani, visto al Teatro Masini di Faenza (RA) il 10 febbraio 2022 nell’ambito della rassegna Teatri d’inverno a cura di Accademia Perduta / Romagna Teatri

Peachum. Un’opera da tre soldi, visto al Teatro Bonci di Cesena (FC) l’11 febbraio 2022 nell’ambito della Stagione 21/22 di ERT / Teatro Nazionale