Già in passato ci siamo occupati, su queste pagine del lavoro di Teatro Nucleo: nel 2017 abbiamo recensito il loro Tenebra, visto a Rovigo negli spazi di Teatro Studio curati dal Teatro del Lemming, nel 2019 abbiamo intervistato Natasha Czertok in merito a Domino, spettacolo da lei diretto, in occasione del Festival Europeo del Teatro di Strada Mauerspringer voluto dal Teatro Due Mondi (qui l’audio di quell’incontro); abbiamo dialogato con la co-fondatrice Cora Herrendorf a partire da Il tempo del canto e, pochi mesi fa, abbiamo recensito il folgorante Kashimashi, presentato nella sede del gruppo a Pontelagoscuro (FE), il Teatro Julio Cortazar.
Questo breve elenco di luoghi e nomi a introdurre una geografia di senso, una idea e una pratica di teatro che accomuna realtà diverse dal lungo percorso. Da qui il titolo di queste poche righe, Il teatro è l’arte di lottare, preso in prestito dal denso saggio di Ferdinando Taviani che apre il volume Teatro in esilio di Horacio Czertok, padre di Natasha ma anche e soprattutto uno dei Padri fondatori del teatro politico (e) di strada che, se non suonasse ridondante l’aggettivo, potremmo a buona ragione definire mondiale.
Il citato articolo del compianto Nando Taviani, altro riferimento imprescindibile per chi si occupa di questo tipo di teatro militante, è stato per la prima volta pubblicato più di venti anni fa, nel 2020, sull’autorevole rivista culturale L’indice.
Specifichiamo tutto questo non per mero gusto enciclopedico, ma perché convinti che la dimensione storica sia imprescindibile a uno sguardo etico su Qinà Shemor. Ester, la regina del ghetto, spettacolo presentato in prima assoluta nel maestoso Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara il 17 febbraio 2022.
Per sintesi e chiarezza riportiamo, dal sito web della Compagnia, la sinossi ed il contesto produttivo: “Lo spettacolo teatrale è prodotto da Teatro Nucleo in collaborazione con il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS ed è stato ideato e scritto in occasione della mostra Oltre il ghetto. Dentro&Fuori, ospitata al MEIS fino al 15 maggio 2022. Teatro, circo contemporaneo, danza e musica dal vivo sono i linguaggi scelti da Teatro Nucleo per rendere omaggio – attraverso il meccanismo scenico del “teatro nel teatro” – all’L’Ester, tragedia tratta dalla Sacra Scrittura, scritta da Leone da Modena, celebre rabbino ed intellettuale vissuto nel ghetto di Venezia tra Cinque e Seicento. Lo spettacolo crea un cortocircuito dai risultati sorprendenti e fa dialogare l’opera dedicata a Ester, grande eroina della Bibbia, con le avventurose vicende dell’autore della trasposizione teatrale. La tragedia di Leone da Modena è infatti ispirata alla saga della regina di Persia Ester, importantissimo personaggio della tradizione ebraica, che con il suo coraggio riuscì a salvare il popolo ebraico, imponendosi in un mondo governato da uomini. Le sue gesta vengono celebrate durante la festa di Purim, attraverso la lettura della Meghillah, il rotolo di pergamena finemente illustrato che racchiude la sua storia. La donna, celando la sua identità ebraica e sposando il re Assuero, strappò dalla morte certa il suo popolo, sul quale pendeva la condanna a morte ordita dal perfido consigliere del sovrano, Aman”.
Il legame con la Storia e con la Tradizione sono, dunque, espliciti e imprescindibili.
Per circoscrivere il discorso, della Storia e della Tradizione di Teatro Nucleo ritroviamo in Qinà Shemor alcuni elementi costitutivi: il femminile guerriero, tòpos e stilema (o meglio: attitudine) che da sempre accompagna il lavoro e caratterizza le produzioni dell’ensemble; il teatro di strada, in questo caso evocato con il prologo e l’epilogo agito in proscenio, a sipario chiuso, da una banda, sconclusionata e poetica, di musici-imbonitori-saltimbanchi; l’immaginario popolare, che si realizza in grandi scene e composizioni corali (in Qinà Shemor ben diciannove persone di tutte le età agiscono in scena – come non pensare all’avventura utopica del loro Gruppo Teatro Comunitario di Pontelagoscuro e alle sue molte diramazioni?), all’arte affabulatoria (che in questo spettacolo ha spazio in primis attraverso il già citato Horacio Czertok di cui ricordiamo il donchisciottesco Contra Gigantes, che attraverso l’arte della parola fa rivivere e trasforma uno spettacolo di strada fondativo per noi e per una intera generazione di guardanti, Quijote!); l’ibridazione di lingue sceniche diverse (qui circo contemporaneo, danza, musica dal vivo, canto, teatro fisico e di parola), un’attitudine che nell’attività curatoriale della Compagnia si manifesta anche nel loro Totem Arti Festival, poi divenuto Totem Scene Urbane, a significare -tra plurali fenomenologicamente significanti e peculiarità degli spazi attraversati- il rapporto biunivoco con la Storia e le storie che, dall’arrivo di Teatro Nucleo a Ferrara per lavorare nel manicomio della città fino a questo allestimento, emerge con nettezza. Su tutto (e a render tutto plausibile): il pervicace posizionamento al centro del fatto teatrale dell’energia dell’attore in scena, affinata in anni di rigoroso training e pratica dell’attenzione al mondo circostante, della scena et ultra.
Una produzione pienamente ascrivibile all’universo di segni e di significati della Compagnia, con il correttivo -scaturito dall’universo culturale di riferimento- di una più marcata traduzione scenica del livello simbolico e allegorico della fabula.
In queste brevi note non entreremo nel merito di specifici “pregi e difetti” che questo allestimento di Ester, la regina del ghetto possa eventualmente avere: sembrerebbe riduttivo e a suo modo inutile.
Su alcuni elementi forse da registrare (inevitabile, in un dispositivo scenico così popolato e stratificato, che non si può che affinare nel contatto con il pubblico) abbiamo dialogato con gli artisti, a cena e davanti a un caffè.
Al di là dell’aneddoto personale: in una società, quella teatrale, popolata di vanità e vacuità non è cosa da poco, potersi confrontare con franchezza attorno alle creazioni e ai processi creativi, nel reciproco rispetto di ruoli e prospettive.
È roba da giganti.