Libertà e malinconia. Intervista alla cantautrice Paola Sabbatani

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Paola Sabbatani - ph Massimo Golfieri

 

Un nuovo progetto musicale, con un disco in uscita a febbraio e un tour in partenza il 6 marzo dal Teatro Verdi di Cesena.

Libertà e malinconia: perché questo titolo?

“Libertà è l’ideale che tutti amiamo e inseguiamo. È la stella polare che indica una direzione, che dà senso all’impegno per la giustizia sociale e alla lotta contro la sfortuna. Questa lotta però, così necessaria e spesso anche vittoriosa, è comunque impari e non può non lasciare nel cuore un fondo di malinconia”.

Nel disco sono tratteggiate figure di donne, tra forza e fragilità. È edito da Una città, rivista con cui collabori da molti anni che si caratterizza per le ampie, rigorose interviste a esponenti della società civile e del mondo politico e culturale. Quali affinità e quali divergenze compositive vi sono, nel tradurre una biografia o un suo frammento in intervista e in canzone?

“Queste canzoni non sono, se non in piccola parte, autobiografiche. Sono nate dalla collaborazione con la rivista Una città e dalla pratica della intervista “lunga”, quella che non ha una scaletta preparata e incalzante, ma che può concedersi tempi dilatati. L’intervista diventa una sorta di racconto orale, dove l’intervistatore quasi scompare, ha una funzione maieutica, per permettere che il racconto scorra libero e magari si arricchisca di momenti non previsti. Così ho incontrato tante storie di vita e proprio da queste sono nate la maggior parte delle tracce che compongono questo disco e questo concerto. L’intervista certo è molto prosaica, molto lunga e mantiene, anche nell’editing che viene fatto, la peculiarità della lingua parlata. Nei testi che ho scritto, che nascono attorno all’idea di un tema e sono solo bozze di possibili strutture e poi vengono sviluppati insieme alla composizione della melodia, ho cercato di mantenere, anche se in una organizzazione metrica molto diversa, l’immediatezza della lingua parlata. Ovviamente nello scrivere canzoni c’è un respiro musicale che la prosa non ha, e la necessità di una scelta di poche, essenziali parole che esprimano un significato preciso e abbiano al contempo un suono giusto”.

 

 

Dal punto di vista dell’interpretazione vocale quali elementi delle tue molte esperienze teatrali affiorano in questi ritratti, o racconti, cantati?

“Vengo da molti anni di militanza nel Teatro Due Mondi, quindi anche dal teatro di strada, dal canto popolare, tradizionale, politico e sociale. Questo è un disco di musica d’autore, che non rinnega la musica popolare, di cui si sentono qua e là gli echi, ma in cui rinuncio ad esempio all’uso della potenza della voce per un canto più intimo, più dolce. Il teatro credo sia presente proprio nell’interpretazione e nel racconto, insieme a certi andamenti quasi da cantastorie, a narrare i passaggi della vita, la descrizione dei momenti cruciali e nel fatto che questo è quasi un concept-album, raccoglie canzoni con una loro autonomia ma che prendono senso nel loro insieme”.

Per quanto riguarda la scrittura e gli arrangiamenti musicali quali peculiarità presenta, Libertà e malinconia?

“Daniele Santimone, un musicista straordinario con cui collaboro da anni, ha vestito tutti i brani con arrangiamenti misurati, a volte con andamenti quasi classici. Gli avevo parlato di questa mia idea di avere due contrabbassi, e che venissero suonati spesso con gli archi per ottenere un suono grave, anche se non cupo, e che portassero la melodia. Così lui ha scritto per una formazione con due contrabbassi (Roberto Bartoli e Tiziano Negrello, che suona anche le percussioni), una chitarra a sette corde (Daniele Santimone) e una voce. Io conosco tutti questi musicisti, ci lavoro insieme da anni, siamo legati da stima e amicizia vera. Questa cosa per me è molto importante, che ci sia un sentire comune e un piacere nel suonare insieme, che ci si voglia bene. Abbiamo poi registrato al Duna Studio, con mille ostacoli per via delle continue zone arancioni e rosse che si susseguivano. Però è stato un tempo molto bello, ricco di momenti di gioia ed emozione, grazie anche a Andrea “Duna” Scardovi. A lui sono grata per la grande professionalità e umanità con cui ha seguito e realizzato questo disco”.

 

Libertà e malinconia – ph Massimo Golfieri

 

Quali cantautrici hanno nutrito il tuo percorso artistico e quali peculiarità femminili trattieni, del loro lavoro?

“Tutta la mia vita è stata accompagnata dalla musica d’autore, ho sempre sentito molto interesse per l’unione delle parole e della musica: i testi sono per me molto importanti. Oltre agli autori uomini, tra le autrici che ho seguito vi sono Giovanna Marini, Margot, Lucilla Galeazzi, Violeta Parra, Maria Elena Walsh, Emmylou Harris e Cristina Donà. Le peculiarità femminili non saprei descriverle, non so se sono ascrivibili al genere, o semplicemente alle interpretazioni personali. Mi viene da portare l’esempio di Io come persona di Giorgio Gaber, una canzone bellissima che trova nella versione di Patty Smith As a person una interpretazione incredibile: con la sua voce dolente e scorticata trasforma questo brano in una sorta di invettiva al mondo, a difesa della dignità. Non so, forse le donne hanno meno paura di mostrare la propria emotività. Poi però mi vengono in mente i testi per esempio di Jacques Brel e allora le cose che ho appena detto perdono di senso”.

Per molti anni hai condotto corsi e seminari di canto presso varie realtà, tra cui l’Università di Ferrara e la Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli. Cosa non è possibile insegnare, nell’arte del canto?

“La tecnica del canto si può imparare e insegnare. Forse è più difficile farlo per la musicalità, la passione e l’autenticità. Non si insegna una necessità, la si prova solo quando c’è”.

A tal proposito, per concludere e al contempo allargare il discorso: nella tua pratica artistica quale rapporto vi è -per dirla con Jankélévitch- tra musica e ineffabile?

“Guarda, non so bene. Io parto da una tonalità, da una successione iniziale di accordi, a volte più gioiosi, a volte più inquieti e melanconici, lasciando che il canto scivoli su questa base armonica e contemporaneamente la provochi e la cambi, attraverso momenti improvvisativi. Così da lasciarsi sorprendere anche da percorsi non usuali, accettare una possibilità altra, superando lo schema consueto delle strofe e dei ritornelli per strutture più aperte e libere”.

Grazie.

 

MICHELE PASCARELLA

 

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