Fedeltà, la serie tv tratta dal romanzo di Missiroli

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Il 14 febbraio è uscita su Netflix la serie tv Fedeltà, tratta dall’omonimo libro dello scrittore riminese Marco Missiroli, pubblicato tre anni fa. Cosa significa essere fedeli all’altro e a se stessi? Dove mettiamo il confine tra la fedeltà a noi stessi e alle nostre aspirazioni e quella che dobbiamo a chi fa parte della nostra vita? Queste domande sono il punto di partenza per entrambe le storie ma la serie tv intraprende una strada che si allontana molto dalla storia originaria, diventando un prodotto autonomo, solo in parte paragonabile al lavoro di Missiroli. La trama è presto detta: al centro della narrazione ci sono i coniugi Carlo Pentecoste e Margherita Verna, scrittore e insegnante universitario lui, agente immobiliare lei. Un giorno una studentessa di Carlo, Sofia, durante un’esercitazione in aula si sente male e va in bagno; Carlo la soccorre, reggendola mentre lei sta per avere un mancamento. I due vengono visti da un’altra studentessa, che denuncia al rettore di averli colti in un abbraccio ambiguo. L’episodio incrina il rapporto tra Carlo e Margherita, che non crede alla versione data dal marito, di conseguenza il loro matrimonio entra in crisi. Ed è proprio l’ambiguità, l’erosione mentale che solo il dubbio può provocare, a mettere in moto tutta la vicenda. Accanto a questo tema, certamente più intellettuale, c’è anche un aspetto più concreto che innesca il cambiamento: Margherita infatti soffre di una fastidiosa pubalgia che le impedisce di fare jogging e per questo si rivolge a un fisioterapista che, toccandola nei punti giusti, la sblocca, e non solo sotto l’aspetto fisico.

Fedeltà rappresenta certamente un tentativo da parte di Netflix Italia di dare vita a un progetto ambizioso e di alto livello. Lo si capisce dalla colonna sonora che inquadra i momenti più significativi con musiche azzeccate e varie, che spaziano dalla voce di Arisa alle ballad di Lewis Capaldi, fino a suoni elettronici e sperimentali. Ottime sono anche la fotografia e la scenografia, che fanno di Milano una metropolitana internazionale più che una città italiana: i luoghi scelti infatti sono quasi sempre locali glamour che si trovano grossomodo identici a Londra, New York, Honk Kong. La città è in movimento e piena di energia, così come i protagonisti, ben scritti dagli sceneggiatori e ben interpretati da Michele Riondino e da un’ottima Lucrezia Guidone: quest’ultima porta in scena una figura dinamica, il vero elemento trainante di una coppia niente affatto simmetrica. I due si trovano in una fase di stallo, a livello individuale più che di coppia, ma lo rendono un momento trasformativo, grazie soprattutto all’elemento femminile. A fare da contraltare, però, ci sono i personaggi secondari che, nonostante il buon casting, faticano a trovare uno spazio adeguato all’interno della serie, finendo per essere quasi sempre schiacciati dal triangolo Carlo – Margherita – Sofia. Infatti, mentre nel romanzo il dualismo fedeltà a se stessi/fedeltà agli altri si rifletteva anche in chi aveva un ruolo minore, questo nella serie avviene meno. Forse, in soli sei episodi era difficile fare meglio. Inoltre, sono interessanti i confronti tra Carlo e Margherita e le rispettive famiglie d’origine: ne emergono due visioni diverse della vita e del modo di vivere l’amore e l’infedeltà. Si mettono così, una di fronte all’altra, una generazione rigida e una con meno vincoli, liquida, per usare un termine un po’ inflazionato.

Se le vicende iniziano nel segno del dubbio anche per gli spettatori, sotto lo stesso segno si chiudono. I due protagonisti affrontano un percorso che li porta ad allontanarsi, per poi a riavvicinarsi: ma quanto è effettivo questo riavvicinamento? È questa la domanda aperta lasciata da un finale che fa pensare alla possibilità di una seconda stagione.