[ Come annunciato in questa intervista poche settimane fa, al via la rubrica ART-IGLI a cura di Alessandra Carini | Magazzeno Art Gallery. Buona lettura! ]
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Si chiama SPAZIO AMATO, in omaggio all’opera dell’artista Massimo Uberti che lì aveva il suo studio.
Siamo a Milano in un ex rifugio antiaereo in zona Fondazione Prada: uno spazio sotterraneo composto da due stanze e una porta, anzi un portellone d’ingresso proprio di un bunker, che custodisce le opere di artist* emergenti, in mostra periodicamente.
Inaugurato pochi mesi fa, oggi ospita la mostra di Giulio Alvigini, un artista comunicatore, o un comunicatore artista, che ha fatto dell’irriverenza il punto di forza della sua ricerca.
Classe 1995, Giulio Alvigini nel 2018 crea una pagina Instagram dal nome Make Italian art great again, la quale diventa in pochi anni punto di riferimento di chi, dell’arte contemporanea, è pronto a ridere e criticare i princìpi (ma anche i prìncipi) ormai deceduti negli anni ’80. Alvigini, attraverso i meme, mette sotto al nostro naso quella puzza di morto che i conservatori dell’arte annusano ancora come fosse profumo di rose, gongolandosi nella loro nostalgia-un-tanto-al-Kilo, ma non solo: ci racconta parodicamente le fatiche immani che il giovane artista deve intraprendere nell’Italia di oggi (memorabile il video dove Alvigini salta fuori da un cespuglio a più riprese con sotto la scritta “artista emergente”).
Così l’online passa offline, il digitale si trasforma in fisico e il meme diventa oggetto da esposizione.
Una mostra che si chiama proprio Volevo fare una mostra, una dichiarazione d’intenti che, durante l’inaugurazione del 16 febbraio, l’artista ha spiegato di persona (a noi come a tutti quell* che entravano): “Ho fatto una mostra perché mi serviva: dovevo allungare il CV, produrre nuove opere per il portfolio e far girare un po’ la notizia”. Nessuna spiegazione pretenziosa e noiosissima delle opere, nessuno sproloquio di curatori o curatrici improvvisat*, nessuna frase fatta, confezionata. Certo, ci ricorda un po’ Cattelan agli inizi, ma non per questo la mostra ci piace meno: alcuni meme sono stati trasferiti su oggetti vari, come una tenda da doccia e degli asciugamani che recitano “Nasci criticando il mondo dell’arte, muori facendone parte”, che fanno sembrare la stanza una vera e propria toilette. Un tendone capeggia nell’ingresso, che poi è anche l’uscita, e riassume forse tutta la poetica dell’artista: “I don’t need sex, the art world fucks me every day”.
Unico difetto: troppe poche opere, ma vale la pena una visita, almeno al suo profilo Instagram!
Aggiornamento: apprendo che lo SPAZIO AMATO è stato sfrattato! L’articolo che avete appena letto era stato scritto una settimana fa ed era intitolato “Contro il vecchiume” ma ieri è uscita la notizia che, dopo l’opening e la grande affluenza, l’amministratore del condominio in via Vallarsa 20 ha letteralmente buttato fuori gli organizzatori e di conseguenza le opere di Alvigini.
Tre le considerazioni a caldo: 1) Milano alla fine si rivela provincialmente bigotta come ogni città italiana (ecco la parentesi aggiunta al titolo); 2) Alvigini dovrebbe cambiare il titolo della mostra sul CV e scrivere Volevo fare un’inaugurazione; 3) avrò forse partecipato ad uno di quegli eventi per i quali un giorno potrò dire “io c’ero”? (Mi viene in mente quando nel 2004, poco più che ventenne, andai all’inaugurazione in Piazza XXIV maggio e non immaginavo minimamente che quell’artista, che all’epoca non capivo e che aveva appeso tre bambini al ramo di un’albero, sarebbe arrivato dov’è oggi).
Lo SPAZIO AMATO intanto è già alla ricerca di una nuova sede, se avete voglia di ospitarli o aiutarli in qualche modo, contattateli subito!