Al via una nuova rassegna della Casa del Teatro di Faenza, ideata per continuare a condividere con il pubblico -nonostante tutto- uno spazio d’arte. Di questo e dei molti progetti a venire abbiamo parlato con il regista del Teatro Due Mondi.
Il 3 febbraio alla Casa del Teatro di Faenza inizia KABARETT ’22: la sala si trasformerà in un luogo dove ci si può ritrovare in piccoli gruppi e ascoltare parole e musica che le attrici e gli attori del Teatro Due Mondi condivideranno con gli ospiti. Come cambierà la fruizione dello spazio, rispetto alla consueta programmazione?
La scorsa estate abbiamo anticipato, per ragioni legate alla pandemia, grande parte della programmazione che normalmente proponiamo al nostro pubblico nei mesi invernali. Ora i teatri sono aperti, anche se con limitazioni che non ci danno la completa libertà di agire, e avevamo voglia di creare comunque un tempo di incontro con le persone. Abbiamo così ideato questo nuovo progetto, KABARETT ’22, per riempire un vuoto di relazione con le persone: la sala del teatro sarà allestita con tavolini e sedie per creare un piccolo spazio intimo, insolito. Il sottotitolo del progetto è in compagnia del Teatro Due Mondi: vorremmo che le persone venissero alla Casa del Teatro proprio per questo, non per un titolo o per un particolare interprete, ma per passare con noi un po’ di tempo, per riattivare condivisione, per stare vicini e ascoltare racconti, parole, musica, sentendosi a casa.
Quali peculiari caratteristiche avranno le performance in programma, rispetto ai vostri spettacoli?
Il programma è in fase di costruzione, ci siamo presi la libertà, se non di improvvisare, di andare avanti per piccoli passi, programmando appuntamenti poco per volta, di mese in mese. Le attrici e gli attori del gruppo stanno preparando letture e canzoni, ognuno seguendo i propri interessi e le proprie passioni, non saranno interventi lunghi ma daremo anche spazio e tempo al silenzio, o alle chiacchiere. Non saranno quindi spettacoli ma proposte di riflessione, piccoli viaggi ogni volta diversi e soprattutto, a sorpresa. Ogni serata avrà un titolo, ma non sveliamo prima il contenuto. Chiediamo questo al pubblico, una sorta di rischio, non si andrà a teatro, ma piuttosto a rincontrare persone che abitano, col loro lavoro e con la loro arte, la Casa del Teatro. E potranno esserci anche ospiti a sorpresa, qualcuno che comunque ha o ha avuto un ruolo o un senso per la nostra storia di gruppo.
La Casa del Teatro accoglierà, nel mese di marzo, il lavoro di Mario Biagini, una delle due anime centrali del Workcenter di Jerzy Grotowski. Quale rapporto con la Tradizione e con i Maestri istituisce, oggi, il vostro lavoro? Com’è cambiato, rispetto al passato?
Abbiamo conosciuto Mario e il Workcenter credo nel1989, o forse era 1990. Mario e Thomas Richards ci chiesero di passare una settimana a Faenza, con il loro gruppo di attori, nella nostra piccola sala di allora. Osservammo il loro lavoro più segreto, e viceversa, poi ci chiesero di incontrare attori dilettanti della città, fu un momento molto intenso e ci suggerì direzioni di lavoro. Poi andai io a Pontedera, invitato dal Workcenter, a passare una settimana sotto la guida di Jerzy Grotowski. Il maestro conosciuto sui libri mi parlava, mi diede consigli – ero allora un giovane regista – tornai a casa felice ma non sapevo bene come sarebbe stato il frutto di quell’incontro. È passato molto tempo, ma ancora posso riconoscere cosa è rimasto nel mio fare delle parole di Grotowski e dei suoi collaboratori. Da pochi giorni Mario ha lasciato, per vari motivi, il Workcenter, incontrarlo ora è importante per noi per capire quale direzione sta prendendo il suo cammino di artista, ci sono molte domande da fargli e molte riflessioni da scambiare. Invitarlo a Faenza ha il sapore dell’omaggio a una grande e fondamentale esperienza del teatro degli ultimi decenni, ma è soprattutto uno sguardo su un momento di svolta, su una fase di cambiamento che guarda al futuro, a nuove ipotesi e a nuovi obiettivi.
A proposito di passato e di futuro: in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile realizzerete, con studenti e studentesse di tutte le scuole superiori di Faenza, il progetto Eredi. Giovani generazioni e Resistenza. In che modo è possibile, secondo te, far percepire agli adolescenti di oggi che quei fatti storici li riguardano?
Non è la prima volta che mettiamo la nostra esperienza al servizio di giovani studenti per portare il loro punto di vista nella Piazza di Faenza proprio il 25 aprile. Ci sono date, ricorrenze, memorie, storie ma anche parole importanti che vanno continuamente curate e rinnovate, tenute in vita per farle crescere e non appassire. Credo che siamo noi “adulti” ad avere bisogno dei giovani per non dimenticare la Storia, per non abbandonarci a riti spenti e privi di vitalità. Far percepire agli adolescenti di oggi che quei fatti storici sarà possibile perché condivideremo spazio e tempo, perché staremo fisicamente vicini, perché potremo ascoltarci, “sentirci”. I ragazzi sono eredi di una storia di libertà ma sono anche l’eredità che lasciamo al futuro, li ascolteremo.
Insieme al Teatro Tascabile di Bergamo darete vita, in quella città, al progetto Il mantello di Arlecchino, titolo che si riferisce a un costume composto di pezzette di stoffa multicolore e di diversa fattura che assume, pensando alla storia vostra e del TTB, un forte valore simbolico: «Quello di Arlecchino è un costume che mischia, miscela, annoda, confonde, incrocia, ricuce brandelli di stoffa vecchi e nuovi» si legge nei materiali di presentazione del progetto «Frammenti di diverso colore, diversa tessitura, natura, ma anche cultura. D’altra parte, nella tradizione cristiana, il mantello è un indumento che accoglie, che può essere condiviso e sotto la cui ombra è possibile trovare riparo». Quali specifici saperi metterete al servizio delle persone che incontrerete?
Il Teatro Tascabile ci ha chiesto di lavorare nel quartiere Colognola, alla periferia di Bergamo, e di coordinare un coinvolgimento delle realtà associative, artistiche e non, cittadini e ragazzi, per creare un momento di rinnovata socialità. Il quartiere rischia di diventare un dormitorio, è assediato dall’aeroporto e dal traffico, le piccole attività commerciali stanno sparendo, la pandemia ha duramente colpito qui territori e isolato sempre di più le persone che ancora si muovono con diffidenza e paura, mancano momenti aggregativi che coinvolgano le diverse fasce di popolazione. Io e i miei compagni proveremo ad attivare energie e partecipazione, cercheremo di tessere fili e cucire collaborazioni per organizzare tutti assieme una settimana di attività e di festa nel prossimo giugno. Abbiamo fatto tanti progetti simili in passato, credo che una competenza specifica che ci appartiene sia quella di osservare, capire il ritmo e i modi del quotidiano di un determinato luogo e cercare di prendere lo stesso passo, entrare in sintonia, accordarci con la musica di fondo.
Nei prossimi mesi sarete anche in Norvegia, per realizzare un progetto sull’onda della vostra ricerca SENZA CONFINI. Quali peculiarità presenta, secondo la vostra diretta esperienza, lavorare su quelle tematiche nei Paesi nordeuropei?
L’Europa è più piccola di quello che pensiamo, gli stessi problemi galleggiano sotto diverse superfici. In tutto il nostro mondo occidentale, e ancora di più nei paesi dove il benessere economico non è sufficiente a imbrigliare tensioni e diffidenze, assistiamo agli stessi fenomeni: uno spostamento a destra della politica, una solitudine esistenziale dei giovani, la paura dell’altro diverso da noi, la richiesta di alzare muri e barriere. Il progetto ha questo titolo: Integrati e disintegrati e si rivolge ad operatori sociali e insegnanti che lavorano con giovani del luogo e immigrati. Racconteremo a loro, e poi metteremo in pratica con i ragazzi, il pensiero e le tecniche che sono l’identità forte del nostro SENZA CONFINI, un luogo dove il teatro si fa veicolo e strumento di inclusione e relazione.
Continuerete anche nel 2022 il progetto europeo TOTO – Teachers of tomorrow. Quali sorprese vi ha fino ad ora portato, questa esperienza?
La vera scoperta, ma penso avessimo già questa consapevolezza, è che l’insegnante del domani, quello che oggi deve affrontare la pandemia, le discussioni sull’efficacia e il senso della didattica a distanza, che deve confrontarsi con le nuove tecnologie, per ritrovare il proprio ruolo deve ritornare all’insegnante di ieri, quello che negli anni ’70 aveva contribuito a rinnovare in tanti modi e con tante pratiche creative la Scuola. Negli ultimi decenni si è perso molto, forse troppo, di quelle sperimentazioni e di quella energia che voleva rivitalizzare una vecchia istituzione: non credo si debba inventare nulla, ma ritrovare quello che in tempi recenti si è dimenticato. Per poi aggiornarlo e migliorarlo.
Infine -e in generale- dopo diversi decenni di lavoro, e nel mezzo di una pandemia che molto sta trasformando, quale funzione politica può o deve avere il teatro, oggi?
Penso che ogni esperienza artistica, e quindi anche il teatro, sia sempre e comunque un’azione politica, sia che parli direttamente di questa, sia che la neghi, la ignori o creda di non esserne parte. Stare dentro al sistema in maniera attiva o critica, fare scelte di campo, anche economiche, è un fatto politico.
Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, né s’interessa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è talmente somaro che si inorgoglisce e si gonfia il petto nel dire che odia la politica. Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi che è il politico disonesto, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.
[ Bertolt Brecht ]
Grazie.
MICHELE PASCARELLA
Info: https://teatroduemondi.it/