Quando si visita un museo dedicato all’arte pittorica o scultorea, di qualsiasi epoca o stile, si ha la possibilità di leggerne la storia, approfondirne i significati e i loro autori ponendosi di fronte all’opera stessa. Quando si visita invece un museo del cinema questo è possibile solo in parte: la durata dei film nella loro interezza infatti non si sposa con la costruzione di un percorso museale a livello temporale, motivo per cui vengono selezionate particolari sequenze emblematiche che offrano ai visitatori una sorta di sineddoche, una parte per il tutto. Tuttavia, per quanto rappresentativa una scena possa essere, per comprendere pienamente un film bisogna osservalo nella sua completezza. Ed è proprio questa la possibilità offerta dal Fellini Museum di Rimini che organizza una rassegna riservata ai suoi visitatori e dedicata ad alcune delle grandi opere del cinema italiano, ospitate nella sala del Palazzo del Fulgor.
Trattandosi di un museo dedicato al Maestro riminese, gran parte della programmazione è chiaramente incentrata sul suo cinema. Si parte così dai suoi primi successi, come I vitelloni del 1953 (in programma il 18 gennaio) e Il bidone del 1955 (in sala il 25 gennaio), per arrivare poi ai titoli centrali del suo percorso artistico: La dolce vita (1955), 8 ½ (1963), Giulietta degli spiriti (1965) e Fellini Satyricon (1969), in programma dall’1 al 22 febbraio. La rassegna propone tuttavia anche altri capolavori di altri registi, come Vittorio De Sica, presente con il suo Il giardino dei Finzi Contini (1970) il 27 gennaio, Marco Ferreri e la sua Una storia moderna – L’ape regina (1963) in programma il 10 febbraio, fino al doveroso omaggio a Lina Wertmüller, recentemente scomparsa, con uno dei suoi più grandi successi, Film d’amore e d’anarchia (1973) in sala il 24 febbraio. L’operazione di analisi e contestualizzazione di questi ultimi titoli messa in campo dalla kermesse è particolarmente interessante: mancando infatti quel peculiare supporto alla visione offerto dal museo per i film di Fellini, si decide di affiancare ai film d’autore tre documentari ad essi dedicati, rispettivamente Vittorio D di Mario Canale e Annarosa Morri (20 gennaio), La lucida follia di Marco Ferreri di Selma Dell’Olio (3 febbraio) e Dietro gli occhiali bianchi ore 16 di Valerio Ruiz (17 febbraio).
Se si osserva la scelta dei titoli ci si rende conto che non si tratta di una selezione casuale, sulla base della semplice notorietà dei film, bensì di una ben architettata successione di proposte di visione in grado di costruire un percorso storico e artistico nei meandri del cinema italiano tra la seconda metà degli anni Cinquanta e gli anni Settanta. In questi anni, il cinema neorealista sta cominciando a vacillare e a perdere quella forza che aveva portato i suoi esponenti all’apice del successo. Fellini – ed altri insieme a lui – cominciano a tracciare nuove direzioni di ricerca per il cinema italiano, dove la corrispondenza tra reale e visibile viene via via sbiadendosi fino a saltare del tutto. Questo percorso è perfettamente delineato dai film scelti per la programmazione: l’immaginario felliniano comincia a tratteggiarsi già nei suoi primi film per poi esplodere negli anni Sessanta con La dolce vita e 8 ½, con il quale il regista fa precipitare il mondo nel caos, creando sullo schermo un intrecciarsi di storie e flussi temporali. Due titoli che valgono al regista il titolo di autore visionario. Con Giulietta degli spiriti e Fellini Satyricon il regista riminese si immergerà sempre di più in questa visionarietà, per accedere all’inconscio e a un mondo fatto di fantasmi e di presenze spettrali.
Marco Ferreri è un altro grande nome del nostro cinema degli anni Sessanta: i suoi primi successi si concretizzano in Spagna, mentre è proprio con Una storia moderna – L’ape regina che il caso Ferreri esploderà finalmente anche in Italia. Un film che ha subito numerose censure, sequestrato per 8 mesi, bocciato in prima e seconda istanza e per il quale Ferreri è finito anche sotto processo. Dopo la sua assoluzione, diversi tagli e correzioni, il film riesce ad arrivare in sala per essere poi letteralmente massacrato dalla critica, considerato scandaloso e di cattivo gusto. La verità è che gli stilemi utilizzati per valutare la commedia all’italiana del tempo non potevano essere applicati anche al suo cinema, caratterizzato da una risata più macabra che accompagna gli orrori della quotidianità. Nel portare sul grande schermo i problemi che riguardano la vita matrimoniale, Una storia moderna – L’ape regina offre una critica a un intero sistema di valori che coinvolge la società e le sue istituzioni, comprese quelle religiose. A guidare meglio lo spettatore in questo universo cinematografico sarà il documentario di Selma Dell’Olio, La lucida follia di Marco Ferreri: un film che mette insieme materiali di repertorio, interviste e testimonianze degli attori cari al regista, nonché backstage dei film.
Quello di Lina Wertmüller è un altro nome che comincia ad affacciarsi proprio in questi anni e Film d’amore e d’anarchia, ovvero stamattina alle 10 in Via dei Fiori nella nostra casa di tolleranza è sicuramente uno dei suoi primi grandi successi, con il quale comincerà a mettere a punto quel particolare pastiche di generi che diventerà la sua cifra stilistica distintiva. Film d’amore e d’anarchia rappresenta anche l’inizio della fortunata collaborazione con il duo Giancarlo Giannini-Mariangela Melato, che saranno i protagonisti dei suoi film successivi, e la continuazione di un percorso di critica sociale iniziato con Mimì metallurgico ferito nell’onore. Anche in questo caso, la visione del film sarà anticipata da un documentario, Dietro gli occhiali bianchi ore 16 di Valerio Ruiz, un’indagine approfondita sulla vita e sull’opera della regista che unisce ricordi personali e voci di artisti sui colleghi che hanno collaborato con lei a vario titolo.
Questa ventata di aria fresca portata dai nuovi nomi del cinema italiano non significa che i grandi autori del neorealismo siano completamente scomparsi dai grandi schermi e non continuino in qualche modo a dettare una linea di gusto. Ed è qui che entra in gioco il nome di Vittorio De Sica che con Il giardino dei Finzi Contini si aggiudica anche la sua ultima statuetta agli Oscar del 1972. Tratto dall’omonimo romanzo di Bassani, il film è una coproduzione italo-tedesca che narra le vicende di una famiglia ebrea ferrarese, i Finzi Contini, all’epoca del fascismo. La visione di questo film sarà affiancata a quella del documentario Vittorio D di Mario Canale e Annarosa Morri, realizzato a trentacinque anni dalla morte del regista e volto ad offrirne un ritratto che mette in luce la sua umanità, la sua autorialità e il suo percorso artistico ambivalente, talvolta tanto celebrato altre volte quasi dimenticato.
Una scelta dunque ben ponderata di titoli che, uniti alla visita al museo, aiutano i visitatori e immergersi in un immaginario cinematografico in costante evoluzione, passando attraverso stili, gusti e tematiche differenti che, come a ondate, vanno e vengono continuamente dentro e fuori dai nostri grandi schermi.
info: fellinimuseum.it