Maid, la forza della speranza in una nuova serie Netflix

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Alex, la protagonista di Maid, serie tv recentemente uscita su Netflix, è una ragazza madre che vive in una roulotte nello stato di Washington con la figlia Maddy di tre anni e il compagno Sean, aggressivo e alcolista. Sua madre Paula, una donna di cui Alex si è presa cura fin da bambina, affetta da un disturbo bipolare e con fallaci aspirazioni artistiche, non è in grado di darle l’aiuto di cui avrebbe bisogno. Dopo una sfuriata da parte di Sean, la giovane donna decide di prendere la figlia e andarsene definitivamente, scontrandosi con una serie di ostacoli burocratici e sociali che le impediranno di ottenere in breve tempo la possibilità di affrancarsi dal misero contesto di provenienza. Per questo motivo accetta il primo lavoro che le capita e diventa donna delle pulizie per un’impresa condotta da una signora dispotica e del tutto indifferente ai drammi della ragazza e interessata unicamente a sfruttare al massimo i propri dipendenti, dando loro il minimo. Alex inizia a pulire una serie di case che diventano specchio della sua condizione interiore, ad esempio quella di un’accumulatrice seriale: quale miglior metafora per una persona che vuole liberarsi della sua vita precedente e ha bisogno di buttare tante, inutili scorie del suo passato?

Il tema attorno a cui tutta Maid ruota è quello delle relazioni disfunzionali e degli abusi che queste comportano, pur non traducendosi sempre nella violenza fisica: con grande intelligenza, infatti, viene descritto il rapporto tra Alex e il compagno, che le impedisce di fatto una piena emancipazione, senza però mai alzare le mani contro di lei. Quanto questo tipo di abusi possa essere una “zona d’ombra” per lo Stato che dovrebbe tutelare le vittime, lo si vede chiaramente quando Alex va a chiedere una forma di assistenza e si trova impelagata in cervellotici e perversi vincoli burocratici. La rappresentazione di certe dinamiche viene amplificata e approfondita puntata per puntata, sviscerando l’argomento attraverso i personaggi che Alex incontrerà, ma soprattutto grazie alle numerose storie, tutte identiche nel loro svolgersi, che Paula si trova a vivere, in un loop apparentemente senza uscita. Non solo Maid riesce a rappresentare con grande efficacia dei meccanismi molto complessi, ma fa lo stesso anche con i sentimenti vissuti da chi si trova in determinate situazioni. Ben riuscite sono infatti le immagini che restituiscono l’alienazione vissuta da Alex all’interno della sua relazione, come quando viene inghiottita dal divano sopra il quale è seduta.

Altro asse portante è quello della maternità. Il rapporto tra Maddy e la madre è il motore di tutta l’azione, quello che permette alla vicenda di iniziare e svilupparsi, superando gli ostacoli che di volta in volta si presentano sul cammino della ragazza. Quello che Alex fa non è mai solo per se stessa ma anche e prima di tutto per sua figlia. C’è, poi, la maternità di Paula, che non è mai riuscita a essere un guscio protettivo nei confronti di Alex. Questo rapporto a ruoli invertiti è particolarmente frustrante e l’affetto molto forte che le unisce è contrastato da un’incapacità di fondo di capirsi e di stare sulla stessa lunghezza d’onda. Un legame complesso da decifrare – reso credibile dalle due attrici: la bravissima Margaret Qualley e Andie McDowell, che sono madre e figlia anche nella vita reale – e che non è possibile interpretare a senso unico, come dimostra la decisione a doppia lettura di Paula nel finale di stagione.  Regina, da cui Alex va spesso a fare le pulizie, è l’ultimo tassello del mosaico: nonostante abbia deciso di fare ricorso alla maternità surrogata, fatica a riconoscere il figlio come il proprio, mostrando un’incapacità iniziale di sentirsi davvero madre.

Maid risulta essere, dunque, una serie ben scritta e recitata. Gli elementi drammatici certo non mancano, ma la virtù vincitrice è la speranza: non il vacuo ottimismo degli arcobaleni “Andrà tutto bene” bensì quella forza che, anche se sei in fondo a un pozzo, ti permette di riemergere. Non c’è alcuna certezza, neanche illusoria, nella speranza, sembra dirci Maid, ma essa è un carburante che spinge a provarci sempre e comunque, nonostante le volte in cui riuscirci sembra impossibile.

Infine, una considerazione di carattere più generale. Dopo gli anni ’90 e i primi anni 2000, in cui l’immaginario collettivo era stato plasmato da una narrazione televisiva americana tutta incentrata su giovani abitanti newyorkesi e relative vite (testimonianza ne sono le sitcom leggere come Friends, Sex and the City, Will&Grace ma anche la più recente How I met your mother), a farla da padrone negli anni ’10 sono stati prodotti improntati a un realismo duro e a tratti cinico, usato per descrivere i meccanismi del potere centrale (House of Cards) ma anche la vita dei dimenticati delle periferie (Breaking Bad). Con Maid siamo sempre di fronte a una periferia – geografica e dell’esistenza – che viene però superata grazie alle capacità individuali della protagonista. Non più il sogno americano che prevede il successo per chiunque lavori con impegno e dedizione, ormai morto e sepolto: qui c’è una ragazza che lotta contro il sistema e trionfa nonostante il sistema. Se Maid ha aperto una nuova strada che verrà poi battuta da altri si vedrà, sicuramente è una strada che merita di essere presa in considerazione.