Analizzando il lavoro di una serie di eccellenti artisti internazionali, la mostra vuole affrontare la sfida di rendere popolare un tema apparentemente distante dall’interesse quotidiano: il rapporto tra il linguaggio e la realtà. Terreno scivoloso, in quanto la nostra cultura è ormai abbastanza matura e smaliziata per considerare il linguaggio immagine della realtà e persino la realtà stessa come esistente in assoluto. Allo stesso tempo, però, la pratica produttiva ed economica della nostra società, concentrata sul fare, finisce per tralasciare queste questioni, senza considerare quanto invece il linguaggio influenzi la nostra possibilità di comunicazione e i contenuti che vogliamo esprimere.
L’arte, come qualsiasi altro strumento di interpretazione, parte dalla realtà, che oggi, sia chiaro, non è necessariamente “natura”, ma ormai principalmente artificio. Osservandola, la interpreta e la traspone in codici. Ma poi questi codici si diffondono e influenzano la nostra percezione della realtà stessa, che vediamo filtrata attraverso di essi. Meccanismo singolare, poco osservato, ma che riconosce all’arte lo statuto di potente strumento di interpretazione e di comunicazione del mondo.
Come dire che la realtà sarebbe una massa informe, un caos inestricabile, se nel tempo non fosse stata setacciata e raccontata dagli artisti (insieme, beninteso, agli scrittori, ai musicisti, ai registi e così via), i quali poi, a loro volta, decostruiscono i vecchi modelli per introdurne dei nuovi, in un processo di continua evoluzione. E anche oggi, sebbene la trasposizione digitale e i sistemi di comunicazione di massa aumentino la possibilità di partecipazione da parte del pubblico, gli artisti, anche se con più difficoltà, mantengono la sorprendente facoltà di generare immagini che formano il linguaggio estetico della nostra contemporaneità.
Con una profonda differenza rispetto al passato: che se una volta i codici erano simili, appartenevano alle stesse famiglie stilistiche, oggi sono tanti quanti gli artisti, per cui conviene parlare, appunto, di linguaggi. Gli artisti in mostra – Maurizio Cattelan, Maurizio Mochetti, Maurizio Nannucci, Giulio Paolini, Agnieszka Polska, Rafaël Rozendaal, Tomás Saraceno, Nedko Solakov – offrono un ventaglio assai largo di interpretazioni della realtà e di conseguenti modelli linguistici. Tomás Saraceno, prendendo ispirazione dalla natura – le nuvole, le bolle, le tele di ragno – sviluppa un linguaggio con il quale dà risposte creative alle problematiche del mondo attuale, dalla crisi ecologica alla globalizzazione. Maurizio Mochetti riporta in immagini e opere i concetti scientifici che stanno alla base dell’universo: dalle leggi della velocità alla meccanica quantistica. Maurizio Nannucci adotta il linguaggio apparentemente più comune, quello con la minor possibilità di ambiguità: la parola scritta. Se non fosse che il colore e l’energia sprigionata dal neon spostano la parola dal concetto all’immagine, toccando i nostri sensi prima ancora della mente. Per Giulio Paolini il linguaggio è storia, anzi storia dell’arte: nulla esiste al di là di un mondo di segni e di icone che nel tempo si è stratificato nel nostro archivio culturale e che forma la base del nostro modo di pensare e di creare. Nedko Solakov, con verve ironica, trasforma le sue esperienze e l’immaginazione in
narrazione, come uno storyteller che mescola oggettività e finzione. Maurizio Cattelan sembra voler eliminare la barriera tra linguaggio e mondo, e come i professori che Gulliver incontra all’Accademia di Lagado utilizza gli oggetti stessi, che divengono così strumenti per intervenire nella realtà, piuttosto che commentarla. Agnieszka Polska sviluppa una gran parte della sua pratica nella dimensione digitale, dove le immagini e le parole divengono alter ego del mondo, mescolando sogni, immaginazione e ricordi, ma insinuandosi in strade sempre meno battute dagli umani e sempre più guidate dall’intelligenza artificiale, lo strumento che parrebbe conquistare la gestione dei linguaggi del futuro. “Che spazio resterà agli uomini?”: è la domanda che pare sorgere dal lavoro di Rafaël Rozendaal, il quale sfrutta tutte le combinazioni delle tecnologie digitali per produrre forme astratte, piacevoli, attraenti che poi, in linea con le nuovissime metodologie delle blockchain, mette in vendita su piattaforme NFT.
Tutto sommato pare ci troviamo bene nel delegare alle macchine la facoltà di creare il linguaggio di domani. Ma converrà comunque prestare attenzione al fatto che il linguaggio non è indifferente, che interviene sulla nostra visione della realtà e sullo sviluppo del nostro futuro, se non vogliamo trovarci in un universo magari splendido e affascinante, ma in cui siamo solo servomeccanismi di un sistema su cui non potremo intervenire.
Fino al 27.02.2022
Bologna, GALLERIA ENRICO ASTUNI, Via Iacopo Barozzi, 3. Info & Orari: www.galleriaastuni.net