Volevo scrivere di un disco leggero, estivo, e ho provato per settimane con “Promenade Blue”, l’album strepitoso di Nick Waterhouse, dove il soul e il rhythm’n’blues suonano autentici nonostante sia il 2021.
Ma a un certo punto mi blocco e cerco musica dove c’è malinconia, una voce narrante, delle storie. Quel tipo di musica che mi fa particolare compagnia quando mi sento smarrita, ingarbugliata e ho bisogno di una voce che mi tenga per mano.
Dopo l’amore per Lambchop e Bill Callahan, oggi è il momento di Adrian Crowley, cantautore irlandese che scrive un disco a partire da un’esperienza insolita: il fratello porta a casa un corvo ferito dal vento dell’Atlantico, grazie alle sue cure il corvo torna in forma e dopo qualche giorno riprende il volo. Crowley ci scrive una storia e da lì nascono gran parte delle canzoni contenute nell’album, prodotto da John Parish e pubblicato per l’etichetta scozzese degli Arab Strap, la Chemical Underground di Glasgow. “The Watchful Eye of the Stars”, l’occhio vigile delle stelle, è il titolo evocativo che tiene insieme come un manto stellato le canzoni dell’album, che scorrono gentili e profonde, a tratti ricordando Donovan, la tradizione folk inglese e i crooner più noir.
Le stelle che ci vigilano. Ascoltare musica cantata e malinconica è proprio come un lumino acceso nel buio della notte che mi indica le strisce bianche e rosse sul tronco di quel faggio.