Supercamper, l’ultimo libro di Matteo Cavezzali

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Matteo Cavezzali
Matteo Cavezzali

Quando si incontra Matteo Cavezzali, scrittore e direttore artistico dello ScrittuRa Festival di Ravenna, una cosa salta subito all’occhio: Cavezzali ha il sorriso affabile di un gatto. Lo incontriamo al terzo appuntamento di Scritture di frontiera, rassegna sempre curata da Cavezzali e che Zandoli (Lega) ha definito “una scuola della sinistra”: quel giorno decide di non rispondere nel merito, ma con ironia pacata e il sorriso sornione, come a dire che non userà le sue energie al servizio di una scaramuccia elettorale, preferendo la sedia del moderatore negli incontri culturali. Cavezzali  lavora anche in Trentino-Alto Adige per Scrittura sulle Dolomiti e in Campania per Salerno Letteratura; il suo primo romanzo – Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini – è stato pubblicato da Minimum Fax, poi è passato a Mondadori con Nero d’inferno e il 17 giugno uscirà Supercamper. Un viaggio nella saggezza del mondo per la casa editrice Laterza. Non proprio quisquiglie. Il giorno dell’intervista è impossibile non notare un’altra sua caratteristica: nonostante non abbia ancora raggiunto la soglia degli -anta, Cavezzali sembra ancor più giovane dei suoi trentotto anni. Non tanto per il viso liscio e la capigliatura riccioluta, piuttosto per l’aria scanzonata con cui racconta le sue esperienze come fossero solo frutto del caso unito al suo entusiasmo: «Io agisco con passione, organizzo festival che non so se si faranno mai e scrivo libri che non so se si pubblicheranno mai» dice.

Qual è stato il percorso personale e professionale che ti ha portato alla direzione di eventi culturali di questa portata?

«In quegli anni lavoravo come giornalista e collaboravo con alcune realtà teatrali, un po’ come drammaturgo, a volte anche come attore. A un certo punto avevo una storia che secondo me non era adatta a questa forma di narrazione, quindi ho iniziato a scrivere quello che sarebbe diventato il mio primo libro. Ho iniziato a mandarlo in giro e alla fine Minimum Fax mi ha risposto positivamente. È stata un’avventura: mi scrisse uno dicendomi che il racconto gli era piaciuto molto, ma non c’era la frase “ti pubblico”, quindi io non avevo capito. Gli chiesi se fosse interessato a pubblicarlo, e lui, un po’ seccato: “Io faccio l’editore, quando un libro mi piace vuol dire lo pubblico”! Dopodiché gli dissi “Se vuoi potrei venire domani, dopodomani” ma era molto impegnato e chiese di rimandare al mese prossimo. A un certo punto inizio a scrivergli tutti i giorni per organizzare, ma questo non risponde più. Aspetto l’inizio del mese, non risponde, passano due settimane, poi due mesi. Allora comincio a farmi delle domande e cerco il suo nome su internet: aveva litigato con i proprietari della casa editrice e se n’era andato. E lì ho pensato “Ecco, la mia storia è finita prima ancora di cominciare”, scrivevo e-mail che non leggeva nessuno, finivano nell’iperspazio. Dopo altri due mesi mi arriva un’e-mail dalla casa editrice: con un lungo preambolo si scusavano e dicevano di voler cambiare completamente la linea editoriale, dei dodici libri in programma, avevano deciso di tenerne solo due, tra cui il mio. Mi sono detto “Ma cominciala così la mail, che mi è venuto un colpo”! Ho sempre fatto tutte le cose in contemporanea, poi però il libro è andato bene, dopo ho firmato con Mondadori e  sono diventato più riconoscibile. A quel punto l’invito per gli incontri letterari non veniva più dal ragazzino del bagno al mare».

Quindi, di non essere più quel ragazzino lo sa. In effetti, alla richiesta di esprimere la sua opinione riguardo lo stato di salute della scena culturale ravennate, si muove sulla sedia – neanche a dirlo, con  un aplomb felino – rimane un po’ in silenzio e poi tira fuori la risposta diplomatica che ci si aspetta da chi in quella realtà culturale ci lavora da un pezzo e non può permettersi di fare passi falsi.

«Il fiore all’occhiello della città è il Ravenna Festival, che al centro ha la musica classica e sinfonica, e assorbe gran parte dell’economia e dell’offerta; c’è Ravenna Teatro, che è molto produttivo e fa tanti laboratori con i ragazzi. Queste sono realtà che gestiscono spazi istituzionali e, sebbene siano una fondazione e una cooperativa, diciamo che sono istituzionalizzate. Poi ci siamo noi indipendenti, che  proviamo ad aiutarci  tra di noi, per esempio Bronson Produzioni organizza il Beaches Brew, che è un appuntamento molto seguito da chi è appassionato di musica alternativa, e le mostre di Bonobolabo sono conosciute da chi è interessato alla street art. Forse, però,  sono tante realtà che fanno un po’ fatica a farsi conoscere per una serie di problemi, è un tema che si sta dibattendo qui in città: c’è una cosa molto grossa e gli altri devono un po’ ritagliarsi il loro spazio. È chiaro che si potrebbe creare ancora di più una rete tra di noi. Noi di Onnivoro (associazione culturale di cui fa parte Cavezzali e che partecipa alla preparazione di ScrittuRa Festival, n.d.r.) insieme a quelli del Beaches Brew volevamo fare una “Notte d’inferno” per l’anno dantesco, una specie di Notte d’oro tra poesia e musica contemporanea. È un progetto nato nel 2019, prima della fine del mondo, speriamo che dopo le elezioni la nuova amministrazione ci permetterà di metterla in pratica nel 2022 e negli anni a venire, visto che i margini ci sarebbero».

Super camper
La copertina dell’ultimo libro di Matteo Cavezzali in uscita il 17 giugno per Laterza

Tra poco Supercamper. Un viaggio nella saggezza del mondo sarà in libreria: sembra che per te il viaggio abbia una duplice valenza, conoscere e conoscersi, che si fondono bene in questo libro.

«È un libro nato in un momento in cui non si poteva viaggiare. Ho sempre viaggiato tantissimo e mi sono messo a ragionare sul perché fosse così importante per me. Racconto una modalità di viaggio lenta e che, secondo me, verrà riscoperta in questo momento di ripartenza. Un viaggio in cui si osservano le cose da vicino, si conoscono le persone e non si punta al monumento per fare la foto e la crocetta sulla guida. Sono partito dal ricordo di questo camper di famiglia con cui ci muovevamo io, i miei genitori e mia sorella, molto scalcagnato, di fatto era un furgone Volkswaghen riadattato. Ogni tanto ci fermavamo in posti improbabili, ci perdevamo, però succedevano sempre cose memorabili: durante gli imprevisti succedono le cose che poi ti ricordi e per questo non programmare troppo e vedere che succede è diventata la mia filosofia di viaggio. Ho messo insieme una serie di aneddoti divertenti e poi ho raccolto tante storie, storie di paesi, tradizioni particolari. Volevo mostrare come persone diverse in luoghi diversi hanno un approccio diverso alla vita, non abbiamo la stessa concezione di cosa voglia dire essere felici, di cos’è l’amore, il senso di famiglia. Nel libro ci sono l’Europa, gli Stati Uniti, l’estremo Oriente, il Sudamerica. Volevo dare un po’ l’idea delle persone che ho conosciuto e delle storie che mi hanno raccontato loro. In fondo, è un libro corale, sono tanti viaggi dentro a un viaggio».

Dici che la filosofia del viaggio è mutata al cambiare dei mezzi e delle tempistiche?

«Il viaggio aveva preso una dimensione globale molto spinta, di velocità, si andava tutti nelle stesse due-tre città. Adesso che non si può più stare in tanti nello stesso posto, secondo me molti ricominceranno a viaggiare con altri mezzi, non solo con l’aereo che ti catapulta in un luogo specifico. In macchina, in camper o in bicicletta  è più facile vedere qualcosa che ti attira e prendere una deviazione, fermarsi e scoprire un luogo diverso da quei tre-quattro in cui vanno tutti».

Nei libri precedenti la storia gira attorno alla vita di persone realmente esistite e di origine romagnola. Questo, invece, è (anche) un memoriale: hai avvertito l’esigenza di raccontarti solo nell’ultimo periodo o ci lavoravi da tempo?

 «La cosa strana è quella. È un libro che avevo iniziato a scrivere prima del Covid, l’idea era quella di farlo itinerante, cioè di stare via per tutto un anno e continuarlo durante il viaggio. Avevo già una serie di biglietti aerei (che non mi sono ancora stati rimborsati)… Ho scelto l’anno giusto. La pandemia mi ha posto diametralmente dall’altra parte».

Quindi hai concepito il libro in un modo ma è diventato tutt’altro.

 «Sì, un po’ come i miei viaggi: noi partivamo credendo di andare da una parte e poi per strada incontravamo della gente e arrivavamo da tutt’altra. O come l’interrail che racconto, che andava molto quando ero ragazzo. In stazione salivamo su un treno senza guardare dove andava. È un modo assurdo di viaggiare, che però ti obbliga a metterti in discussione, in difficoltà, a scoprire dove sei finito».