Una serie-podcast tra nebbia e mistero

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disegno di Federica Carioli

Villamara è un piccolo paese di campagna nel bel mezzo della bassa romagnola, uno di quei luoghi in cui l’umidità non ti abbandona mai: di inverno è nebbia, d’estate è afa. Un paesino apparentemente tranquillo, di quelli che non sono mai una meta e che anche quando ci passi attraverso, o vicino, non li noti. All’interno di questa piccola realtà di provincia accadono fatti a dir poco strani: cani che appaiono dalla nebbia, vecchietti indemoniati che insorgono e uccelli impazziti che attaccano pizza-boy indifesi e sfruttati. Soltanto un trio pittoresco armato di strumenti improbabili cerca di scoprire la verità che questo paese tenta di celare, e ognuno di loro conserva una domanda: c’è vita nel grande nulla agricolo?

È servito un podcast di dieci puntate per rispondere a questo dubbio ancestrale, ma non è finita qui.

Un gruppo di ragazzi lavoratori dello spettacolo, durante il Grande Lockdown, ha deciso di cambiare le regole del gioco intraprendendo un nuovo percorso di comunicazione: il podcast. Li ho incontrati virtualmente, incuriosito e colpito dal loro lavoro, per cercare di capire un po’ meglio cosa c’è dietro questa nuova forma comunicativa e per tentare di svelare alcuni dei misteri che aleggiano su Villamara.

Innanzitutto ve li presento: la voce del podcast è di Nicolò Valandro, alias Johnny Faina, che oltre ad essere la voce narrante è anche il creatore del podcast, Gianluca Dario Rota è invece il co-autore e l’uomo dietro le chitarre, Leonardo Passanti, aka Hollyspleef, si occupa delle colonne sonore, Federica Carioli, in arte Feduzzi, cura l’artwork degli episodi e del merchandising, e Gipo Gurrado dà il tocco finale, curando il master.

 

Il podcast, partiamo dalle basi, che forma comunicativa è un podcast? Qual è la forma tradizionale che più gli si avvicina (teatro, radio, televisione)?

Il podcast è un prodotto audio ascoltabile in streaming. La caratteristica del nostro podcast è quella di essere una fiction antologica, dove però ogni episodio condivide personaggi e situazioni comuni; in Italia non c’è molta roba come questa. Escludendo gli audiolibri, le serie che nascono come podcast sono circa una decina.

Il nostro podcast deve molto al teatro come regia, ma alla serialità televisiva come scrittura degli episodi. È un mix di cose. Diciamo che è un film per le orecchie, un film alla radio, come vuole il proverbio “set vest un film a la radio?!”.

La cosa che abbiamo scoperto è che anche nel podcast si ritrova quello scarto che c’è quando guardi un film: in un film non ci sono solo la trama o i dialoghi, ma ci sono anche le immagini, le inquadrature, la colonna sonora. Tutti elementi che servono a farti empatizzare con la storia. Con il podcast è uguale! E anche se usare solo il suono può sembrare limitante, poi scopri che puoi davvero fare di tutto, perché far bruciare il Villaggio di Babbo Rurale ti costa uguale a far camminare un tizio per strada. E questo ti dà una libertà pazzesca.

Invece per le sessioni di registrazione in che modo vi siete mossi?

L’idea era quella di ispirarci ai radiodrammi degli anni ’30, come “La guerra dei mondi” di Orson Welles, per cui chi suona e chi interpreta sono tutti all’interno della stessa stanza; è un po’ come se il microfono registrasse la magia che si crea in quel momento lì. Una volta riproducevano il rombo del tuono battendo su delle lastre di ferro, noi invece mandiamo delle tracce digitali per creare l’atmosfera che serve al racconto.

Con il Grande Nulla Agricolo abbiamo voluto fare questa cosa, anche se è assolutamente antieconomica, perché se sbagli, poi devi rifare tutto il blocco. Questo podcast è un investimento a perdere, ma ci guadagni in esperienza – un po’ come un dottorato.

La giornata tipo di registrazione è: arriviamo in studio (il salotto di Leonardo), montiamo l’attrezzatura, facciamo una prima lettura della puntata e creiamo la colonna sonora dell’episodio. A parte i suoni più ambientali, che vengono aggiunti in editing, tutte le musiche vengono eseguite dal vivo, per cui dopo tre o quattro ore in cui abbiamo deciso la scaletta dei pezzi si inizia a registrare. I tempi di registrazione sono lunghi e a questi si deve aggiungere anche l’editing che a sua volta richiede molto tempo, per questo facciamo 10 episodi a stagione e non 22 come volevamo all’inizio.

Essendo un’esperienza soltanto audio immagino che la composizione delle colonne sonore abbia un ruolo fondamentale per la buona riuscita del racconto, come fate a trovare i suoni giusti per ogni situazione?

Alla fine il podcast è un insieme di cose, sono le parole che coinvolgono le emozioni, ma la musica è una colla che fa stare tutto insieme, un po’ come il basso in una band che quando c’è non lo senti ma se manca te ne accorgi subito. Poi nessuno si ascolterebbe 40 minuti di registrazione senza musica.

E comunque la colonna sonora è una delle parti più complesse, perché va sempre a finire che dedichiamo una settimana, quando va bene, alla scrittura e Leo scopre di cosa parla la puntata solo il giorno della registrazione, quindi deve decidere in pochissimo tempo cosa suonare e a volte ha persino composto sul momento dei brani fighissimi. Una volta, ha fatto le musiche per 12 podcast in 48 ore, un tempo di composizione che neanche il giovane Mozart.

 I podcast nel lockdown: il fatto che non si potesse più andare a teatro, o comunque a vedere spettacoli dal vivo, può aver creato un momento di spinta anche per il podcast?

Il progetto in sé c’era anche prima della pandemia. Il termine “Grande Nulla Agricolo” lo ha coniato Nicolò cinque anni prima della pandemia ed era dal 2015 che aveva bozze di racconti legate a questo mondo. Inizialmente era uno spettacolo di stand up di 30 minuti ispirato a storie vere, e quindi mancava ancora la parte di fiction. La pandemia è stata un’occasione per dare il via a un progetto che ci stuzzicava da diverso tempo, perché quando lavori in teatro spesso hai un rapporto molto verticale con gli spettatori, dall’alto verso il basso senza ritorno, e a volte capita che il pubblico arrivi a vedere uno spettacolo non sapendo minimamente a cosa stia andando incontro. O meglio, se vai a vedere l’Amleto cerchi la trama su Wikipedia e arrivi immaginando cosa ti aspetta, ma non c’è il rapporto, ad esempio, che c’è invece tra il pubblico e i musicisti. Se segui una band prima conosci l’album e poi vai a sentirteli live. Col podcast si crea qualcosa di simile anche per lo spettacolo del vivo. La pandemia ha semplicemente accelerato i tempi per poterlo fare. Poi, il podcast, è un mezzo pazzesco.

Questa situazione ha permesso anche l’esplorazione di nuovi linguaggi. Spesso a teatro chi deve investire è molto prudente, ma con la pandemia ha dovuto approcciarsi a nuove forme e quindi ora, alla proposta di un podcast dal vivo, non storcono più il naso – come magari succedeva un paio di anni fa.

 Mentre i nomi Villamara e “il grande nulla agricolo” da dove nascono?

I nomi li ha inventati Nicolò e sono un tributo a Longastrino. Villamara deriva da “Valle Amara”, la valle in cui si trova Longastrino; l’espressione Grande Nulla Agricolo, invece, rappresenta molto bene il tipo di paesaggio che c’è in tutta la valle del Mezzano, una terra bonificata ora ricoperta di campi. Ma a parte i campi non c’è niente e quindi è a tutti gli effetti un grande, nulla, agricolo.

Poi c’è quella cosa magica e misteriosa che è la Subsidenza…

La subsidenza è un fenomeno geologico abbastanza presente nei nostri territori, per cui la terra tende a sprofondare.

Noi ci siamo voluti immaginare una zona in cui la bonifica non è mai stata terminata. Una zona protetta. Sì, ma perché è protetta? Ci stiamo proteggendo noi da quella zona o è la zona che deve essere protetta da noi? Questo luogo così denso di misteri è quell’anomalia che rende il paese così strano. Cioè, già il paese è strano perché la gente che ci abita non è normale, in più c’è questa area enorme che non si riesce a bonificare perché portatrice di superstizioni e fenomeni paranormali.

Abbiamo voluto creare due mondi: da un lato c’è la Subsidenza, un luogo pieno di leggende e misteri, e dall’altro c’è il paese, che cerca di fare i conti con la vita di tutti giorni.

In tutto ciò si inserisce il Consorzio di Bonifica che che funge da cerniera tra queste due realtà, tra il quotidiano della provincia e le assurdità della nostra “fantascienza rurale”.

Mi avete parlato del consorzio di bonifica, che è un ente importantissimo all’interno delle storie che succedono a Villamara, ma ci sono anche altre “istituzioni” che influiscono sulla vita di questa comunità. Quali sono e qual è il loro ruolo?

Il Consorzio di Bonifica è un elemento centrale all’interno della storia. È un po’ la nostra Area 51. Abbiamo avuto, anche di recente, un’esperienza con il consorzio di bonifica – quello vero – e in effetti ha sempre un che di misterioso. Lungo gli argini e i canali capita spesso di leggere cose tipo “attenzione, vietato oltrepassare la recinzione… Consorzio di Bonifica”.  È un ente piuttosto misterioso. Vedi i cartelli ma non le persone che li mettono. Sai che ha le mani in pasta un po’ ovunque, anche se però è difficile identificare quale sia la sua testa. Nel nostro mondo, il Consorzio di Bonifica si occupa di tutto tranne che di bonificare. È un ente che allo stesso tempo tutela e reprime, a metà strada tra una base segreta e una nota dolente nel bilancio comunale.

La Proloco, che è il secondo ente di Villamara, è invece un po’ “la massoneria del paese”. Questo nasce dal fatto che quando devi organizzare un evento per i fatti tuoi nei paesini di campagna, a un certo punto c’è la Proloco che deve mettersi di mezzo. E una volta non puoi perché i gazebo sono della Proloco, così come le griglie, le friggitrici e tutto ciò che serve per animare la vita di un paese. Da qui il nostro motto “Non si muove griglia che la Proloco non voglia”. Ci piaceva l’idea che la Proloco organizzasse eventi incredibili, a volte con il supporto di Agrotech, la nostra “spietata multinazionale dell’agroindustria”, che è un po’ la Monsanto di questo mondo, invischiata in strane ricerche sui prodotti ogm e che cerca continuamente di estendere la sua influenza sul Consorzio di Bonifica

Poi ci sono gli assessorati alle politiche varie ed eventuali, che rimandando a tutta la burocrazia tipica delle amministrazioni – che a volte ha dei tratti davvero fantascientifici.

I personaggi delle vostre storie sono davvero incredibili, ma anche terribilmente reali, penso che chiunque di noi possa dire di conoscere uno Zaf che si gasa con i pirupiri o una Milena che non ha mai smesso di “lottare”. Come siete stati ispirati?

Ci sono personaggi che sono modellati su persone realmente esistite o esistenti. Ad esempio Tanamadana, il cui nome è una bestemmia, è un tributo a una leggenda del bar di Longastrino.

Diciamo che siamo partiti da un serbatoio di persone che abbiamo conosciuto nei bar o in giro per il paese, anche perché ci piace creare personaggi che non siano mai dei vincenti o dei supereroi. I nostri personaggi hanno tutti un po’ di sfiga addosso. Anche quando vincono rimangono sempre dei perdenti. Non c’è un personaggio risolto.

A volte possono sembrare un po’ caricaturali, ma a fine puntata appaiono per quello che sono: esseri umani veri e propri. E ti accorgi che sono molto più simili a te di quanto immaginavi.

Ad esempio, un personaggio come Zaf viene presentato nella prima puntata come se lo si vedesse da lontano: il metallaro di trentacinque anni che è stato raccomandato dal padre all’anagrafe comunale e nel tempo libero dà la caccia ai fantasmi con il suo amico un po’ strano e la sua ragazza di diciotto anni con una situazione familiare complicata alle spalle. Se vedessi tre soggetti del genere a spasso per il paese, gli staresti alla larga. Ma poi arriva la puntata sei, e scopri che dietro a Zaf c’è una storia molto più  complessa.

Un altro personaggio è Folgore – che per noi è fortissimo. È un po’ il nostro Tom Hardy, ma rovinato dalle sostanze e fuori forma. Folgore è quello che crea i problemi e poi deve risolverli. Anche qui abbiamo attinto da una persona reale, ma gli facciamo fare cose che sono da galera. Questo è un procedimento che ci aiuta molto a creare i personaggi e a farli crescere nelle puntate. E il nostro format prevede che ogni episodio abbia un protagonista differente – giusto per complicarci la vita. Questo significa che per ogni puntata dobbiamo creare un personaggio che in qualche modo regga la storia.

L’esempio più assurdo è Goblin, il pizza boy, che nasce da un momento di crisi in cui non sapevamo cosa scrivere per la puntata, nel senso che avevamo scritto un’intera puntata e non funzionava, ma doveva assolutamente uscire. Una sera eravamo assieme e ci siamo detti “vabbè non riusciamo più a far niente, prendiamoci una pizza così almeno mangiamo” e quando è arrivato il tipo della pizza ci è venuta l’illuminazione di farlo diventare il protagonista della puntata. Poi è andata a finire che questo ragazzino che consegna le pizze, piano piano, nell’arco di alcune puntate, è diventato un personaggio centrale; perché nel suo essere una persona qualunque, le cose che gli accadono lo cambiano e lo mettono di fronte a diverse difficoltà.

Ci sono anche altri personaggi che crescono e acquisiscono importanza col procedere della storia, come ad esempio Marika, la fidanzata di Zaf, che è nata da “facciamo che il Gruppo di Investigazione Paranormale sia un trio e che una sia una ragazza”, poi quella ragazza diventa un personaggio complesso dal momento in cui si viene a conoscere tutta la sua storia familiare.  Oppure Madame, nata da un personaggio-funzione che doveva dare gli ordini a Folgore e si è rivelata poi una donna molto complessa che soffre di emicrania e ogni giorno lotta con l’incompetenza più totale e i ricatti politici in cui è invischiato il Consorzio.

Anche il personaggio di Sintesi nasce da una bella storia. È stato un nostro fan a proporci questo personaggio che lavora al Consorzio nel reparto ricerca e sviluppo; ci è piaciuto talmente tanto che abbiamo deciso di inserirlo facendolo doppiare a un nostro amico, Marcello Gobbi, ed è diventato uno dei personaggi più amati.

Il bello del Grande Nulla Agricolo è che è un mondo vivo che si alimenta per i fatti suoi. Infatti, siamo estremamente carichi per la seconda stagione, per vedere dove ci porteranno questi personaggi.

Il personaggio che più si inserisce nel contesto del nostro giornale non può che essere l’Astronauta, che è pure il personaggio più contorto della storia, riuscite a darmi una chiave di lettura per poterlo comprendere meglio?

L’Astronauta è un personaggio che abbiamo voluto fin da subito e che è diventato anche un po’ il logo del podcast. Nasce inizialmente come un tributo ad un progetto che avevamo per l’Arena delle balle di paglia, saltato a causa del Covid, che si chiamava Agronauti. Oltre al romanticismo insito in questo personaggio, la forza dell’Astronauta sta nell’essere un mistero dotato di volontà. A un certo punto, nella storia, si capisce che ha un obiettivo – non si capisce quale, ma ce l’ha. Lo vedi che si intrufola e che appare dove non dovrebbe, un personaggio che è totalmente fuori dal mondo e che allo stesso tempo è pienamente inserito nella realtà di quel piccolo paese. Certo, sarà pure un tipo che gira con delle parabole sopra il camper, e un casco da astronauta in testa, ma quando gioca l’Inter lui è sempre al bar. Ha quel tallone d’Achille che lo rende umano. L’astronauta è il nostro neo. È quella cosa che non torna, ma che dona bellezza al volto.

 

Il grande nulla agricolo però non è solo un podcast pazzesco, ma ha anche delle grafiche e dei gadget veramente belli. Federica, puoi dirmi un po’ da che cosa hai preso ispirazione per illustrare questo mondo incredibile?

L’idea era quella di fare un prodotto completo che avesse anche una una sua identità visiva per renderlo maggiormente riconoscibile, ed è quello che è successo. Tant’è che abbiamo deciso anche di fare una copertina diversa per ogni episodio, giusto per non complicarci la vita.

Per quel che riguarda i colori ci siamo un po’ discostati dai soliti colori tipici dell’horror contemporaneo per avvicinarci anche alla pazzia delle storie che vengono raccontate nel podcast. Sicuramente c’è un po’ quell’estetica fracassona tipica dei cartoni animati, ma anche dei vecchi Piccoli Brividi e delle copertine dei libri di Stephen King degli anni ’80/’90, per non parlare dei manifesti dei film horror anni ’50/’60 – che graficamente spaccavano. Ci sono quindi tanti mondi visivi che si uniscono. Poi attorno alle copertine si è anche sviluppata tutta una serie di gadgets per riuscire a finanziare in parte il progetto.

 

Le storie ambientate nel grande nulla agricolo sono soltanto un podcast?

Il progetto è nato con l’ambizione di diventare un live, e in questi giorni si sta trattando per fare sì che il grande nulla agricolo sia uno spettacolo dal vivo, in particolare abbiamo pronto il Villamara Drive-In.

Un drive-in che raccoglie tre episodi inediti del podcast “C’è vita nel Grande Nulla Agricolo”, dove i classici del cinema horror e di fantascienza incontrano l’assurda realtà di provincia di un piccolo paese romagnolo. Il progetto si concretizza in un podcast sonorizzato dal vivo, insieme a video-animazioni ispirate al mondo di Villamara, e sarà una scarrellata di radiodrammi tra sagre dei morti viventi, galline giganti e cocomeri venuti dallo spazio. L’unica data, per ora, in calendario è quella del 29 luglio all’Arena delle balle di paglia di Cotignola in cui, a seguire, si esibiranno sullo stesso palco anche Max Penombra e Ciccio-B in concerto.

 

E per la prossima stagione?

Innanzi tutto, dobbiamo mantenere la promessa fatta ai fan per i 10mila ascolti, e cioè fare uscire una puntata inedita del podcast in versione estiva; anche se ci fa piuttosto strano fare uscire una puntata in cui non ci sia la nebbia. L’estate che racconteremo non sarà però quella della riviera, dei patacca e del casino fino a tarda notte in riva al mare, ma l’estate dell’entroterra. Un’estate molto, molto afosa. Poi a ottobre tornerà la nebbia, e con la nebbia anche la nuova stagione.

 

 

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