Il film è stato presentato all’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia, dove ha vinto il Premio speciale della Giuria. Esce il 15 aprile su diverse piattaforme streaming (tra queste IWONDERFULL.IT, disponibile su MYmovies, ma anche quella del circuito #iorestoinSALA).
L’ambientazione iniziale ricorda molto quella di un altro film messicano, passato sempre a Venezia (La zona, del 2007), che ci mostrava un lussuoso quartiere residenziale nella periferia di Città del Messico, circondato da rioni popolari e bidonville e quindi protetto da un sistema di altissime muraglie, reticolati, telecamere e squadre di vigilanti privati. Uno dei tanti luoghi fortificati che in Messico, e in altri paesi del terzo mondo o comunque caratterizzati da forti disuguaglianze sociali, garantiscono sicurezza e tranquillità alle minoranze privilegiate, isolandole dalla massa dei diseredati.
Qui siamo in una villa lussuosa, dove sta per iniziare la festa del matrimonio che unisce i rampolli di due ricchissime famiglie di Città del Messico. Tra amici e parenti a ritrovarsi è la crema dell’aristocrazia politica e finanziaria del paese. Quella che si garantisce il controllo delle risorse del paese anche grazie ad un ben collaudato scambio di favori. Una aristocrazia servita e riverita da numerosi ed ossequiosi servitori, per lo più di origine india.
All’improvviso dai rubinetti della villa comincia ad uscire acqua tinta di verde. È il segnale convenuto, che fa esplodere la rivolta sociale. Le masse popolari oppresse ed escluse hanno scelto proprio quel giorno per dare avvio alla rivoluzione. Nella villa, e nel resto del paese, i servitori e i sottoposti smettono di obbedire e con una violenza cieca e distruttiva saccheggiano, depredano e uccidono i dominatori. La rivoluzione non si propone di costituire un nuovo ordine sociale, più giusto ed equo. Mira semplicemente alla vendetta e all’appropriazione immediata di beni materiali.
Scatta immediatamente la reazione, ad opera dell’esercito. I militari con un colpo di stato prendono il potere, impongono misure di eccezione rigidissime e instaurano un nuovo ordine autoritario. Un ordine che, come quello precedente, consente ai nuovi despoti di arraffare tutte le risorse disponibili, anche a danno della precedente aristocrazia borghese, ma con metodi ancora più brutali. Una violenza spontanea e devastatrice produce una nuova forma di potere, che si regge su una violenza istituzionalizzata ancora più brutale.
Nuevo ordem è un film corale, con scene di massa che vedono la presenza di migliaia di comparse. In questo scenario si stagliano le storie di alcune persone, provenienti dalla due classi sociali rappresentate. Ma la loro personalità è appena abbozzata, in modo piuttosto elementare. Sono le semplici pedine di una rappresentazione che sempre più si concentra sulla dimensione collettiva.
Nelle dichiarazioni del regista il film si propone di riflettere sulle condizioni sociali e politiche del nostro tempo, caratterizzato dalle fortissime disuguaglianze sociali. Qua siamo in Messico, ma potrebbe trattarsi di qualsiasi paese dell’America latina. Più in generale ci racconta di quell’atteggiamento di risentimento da parte delle classi sociali emarginate o impoverite che caratterizza anche i paesi più avanzati e che ha dato origine alle varie forme di populismo che si sono affermate negli ultimi anni (da Trump degli States, a Bolsonaro in Brasile, fino ai vari movimenti populisti dell’Europa occidentale). Un risentimento ed una rabbia che la sfiducia e il disincanto rispetto alla politica non riesce a trasformare in progetto di cambiamento sociale. Che quindi, sembra volerci dire il regista, può tramutarsi in violenza cieca e distruttiva (qualcosa di simile è accaduto anche in Francia con il movimento dei gilet gialli), capace di travolgere l’ordine esistente. Non è poi detto, come vediamo nel film, che il nuovo ordine determini un miglioramento delle condizioni sociali, può anzi essere peggiore.
Se queste sono le intenzioni alla base del film, il suo sviluppo narrativo, le storie che racconta, ci dicono qualcosa di davvero significativo sulla nostra epoca e sulle sue contraddizioni? O queste non rappresentano piuttosto un semplice pretesto sul quale, con una rappresentazione piuttosto schematica, sviluppare un racconto apocalittico, quasi fantascientifico, che utilizza un po’ strumentalmente alcuni elementi del nostro contesto storico. Un racconto che esibisce una violenza diffusa e sempre più estrema, a tratti quasi insostenibile. Una violenza che sembra richiamare altra violenza, in un crescendo senza fine e che tutto finisce per sovrastare.
di Dario Zanuso e Aldo Zoppo