Diplomata all’accademia d’arte drammatica “Paolo Grassi” di Milano, Roberta è un’attrice e stand-up comedian, attiva in teatro e nell’audiovisivo italiano dal 2012. Artista eclettica, ha affiancato Dario Fo nelle sue ultime due produzioni, collaborato con Emilia Romagna Teatro e fondato la compagnia “Le Brugole &co.” con Annagaia Marchioro. Tra i suoi ultimi lavori, troviamo “After Miss Julie”, spettacolo nel quale ha recitato al fianco di Gabriella Pession e Lino Guanciale, e “Di Grazia”, di cui è coautrice e interprete.
Nel titolo del brano, “Iodecidio”, sono contenute tre parole importanti, ce ne parli?
IO – DECIDO – DIO. È un gioco di parole che pronunciato ad alta voce, rimanda alla parola femminicidio, il tema del brano.
Per un essere umano, la libertà di decidere della propria vita coincide col fare le proprie scelte, senza condizionamenti dettati dalla propria razza-orientamento religioso-sessuale o dal proprio ceto di appartenenza. La libertà sul – e con – il proprio corpo (voce-anima) è una condizione vitale alla quale non si può rinunciare. È un titolo che parla a tuttə, che si schiera dalla parte dei “vinti”, e spesso da questa parte vi sono le donne, alle quali a volte si addebitano certi peccati soltanto per il fatto di avere un corpo. “Questo corpo è mio/ è il mio unico Dio/ l’ho deciso io”: c’è un atto di volontà in queste parole, che non dà per scontato l’essere “incar-nate in un corpo”, e non si riduce al mero possedere un corpo, ma ri-afferma il corpo e lo erige a tempio pagano, a fortino aperto, sconfinato, ma non per questo senza confini.
Sei riuscita ad affrontare una tematica forte come il femminicidio con un tono ironico e provocatorio. È stata più una scelta o un’esigenza?
È difficile dividere le scelte dalle esigenze… come dicevo prima, la libertà di scegliere è proprio un’esigenza del corpo, dell’anima, della psiche. Riguardo al tono devo dire che io non potrei e non saprei fare altrimenti! Questo è il tono della mia scrittura, a cui abbino, in questo caso, un tono musicale che lavora in contrasto con la drammaticità dei temi trattati…che genera un forte straniamento ironico, che può risultare stridente e poco rassicurante. Cerco davvero di guardare le cose con una luce solare e lunare al tempo stesso, ma sempre in modo luminoso.
Il linguaggio è uno strumento potentissimo per la decostruzione di stereotipi e pregiudizi di genere, eppure accade ancora troppo spesso che chi è vittima di violenza debba fare i conti con un’ulteriore violenza, quella linguistica, con la quale vengono narrati i fatti. Cosa ne pensi?
Penso che tu abbia ragione…infatti da poco esiste un collettivo di attrici attiviste, che si chiama “amlet_a”, di cui ho la fortuna di far parte, che si pone, tra i vari obiettivi, proprio quello di utilizzare un linguaggio più inclusivo e rispettoso della diversità, sia nel nostro campo ma di conseguenza anche in altri campi, perché come sappiamo il teatro ha la grande responsabilità di parlare ad un grande uditorio, rendendo agili e sintetici certi sillogismi che, nella quotidianità, ci vorrebbe una vita per imparare. Dunque sì: l’emancipazione passa anche e soprattutto dal linguaggio, ma anche proprio attraverso la lingua, la grammatica…insomma le parole influenzano la realtà e viceversa. Se ti riferisci poi alla violenza di certe narrazioni, dici bene: commettono un’ulteriore violenza, non riconoscono alla vittima il ruolo di vittima e al carnefice il ruolo di carnefice, quando invece i fatti sono molto chiari ed evidenti. In questo caso si tratta di vittimizzazione secondaria, ad esempio la manipolazione compiuta da certə giornalistə, quando – scrivendo – si prendono la licenza di esprimere un’opinione che tende ad assolvere e/o ad attenuare i gesti barbari degli assassini delle loro mogli, fidanzate o compagne. Vedi il caso Genovese su tutti, dove il direttore di una testata nazionale che non nomino, perché non è incline al mio gusto, descrive il violentatore aguzzino come un ”inarrestabile imprenditore bloccato nel pieno della sua produttività”; quasi come se andare in galera per aver seviziato e violentato una donna, fosse uno stupido contrattempo nella vita dell’uomo in carriera, a causa dell’ “eccessiva disponibilità” di una sprovveduta diciottenne un po’…”facile”, per usare un eufemismo, un incidente di percorso come un altro, un po’ come aver forato una gomma, dai. Non è così che si tratta un caso tanto grave. È inaccettabile, e questo è solo un esempio.
L’amore è libertà. Per quanto ancora ci sarà bisogno di sottolinearlo?
Temo sempre. L’essere umano è la più pericolosa delle specie, mi sembra ne parlasse la scrittrice Michela Murgia qualche giorno fa…il senso del possesso, l’invidia, la gelosia, il rancore, generano violenza, anche involontariamente, anche solo in termini di inquinamento energetico. Noi non possediamo nulla e nessuno, neanche noi stessi, neanche le nostre idee. Meglio introiettarla subito questa cosa. Certo, sappiamo distinguere quando siamo tristi e quando felici! Ma sento sempre più chiaramente nella mia vita, che la felicità è il mezzo, non il fine; io posso farmi “mezzo” poetico-politico, nel senso di “medium” disponibile, di membrana di passaggio di contenuti ed emozioni; e non è questa forse un’altissima forma d’Amore?
“Iodecidio” è il primo singolo di un concept album di prossima uscita. Negli altri brani tratterai altri argomenti “scomodi”? Puoi anticiparci qualcosa?
Certo, senza spoilerare… l’album si chiama “STEREO-TIPE”, e come suggerisce direi il titolo, tratterà proprio queste tematiche. A marzo uscirà il secondo singolo dell’album e il titolo è “TUTT@”. Sono 9 brani più una sorpresa, sullo stile di “IODECIDIO”, pop senza perdere la melodia e la ballabilità; siamo statə fermə così tanto, che abbiamo bisogno di muoverci fisicamente, di ballare…ho una nostalgia delle discoteche, dei club, mi sembra un’altra era! Spero davvero di non dover rinunciare a tutto ciò, e che questo momento passi presto. Intanto farò 9 brani per 10 mesi. Voglio fare quello che mi piace con calma e cura, con la mia squadra bellissima con cui mi sento tranquilla, compresa e libera, che mi supporta e sopporta.
Attrice, autrice, cantante, musicista… dopo un primo momento di – immagino – rabbia e sconforto, ora come vivi, da artista, questo periodo di infinita incertezza?
Sono una teatrante e non credo nel teatro in streaming, non mi prende diciamo…poi a mali estremi…estremi rimedi. Se si usa il video, pur avendo pochi mezzi, preferisco guardare lavori concepiti per essere fatti in video, anche installazioni, o qualcosa che ha a che fare con le arti visive; poi se si tratta di ungere un ingranaggio economico e di far lavorare professionistə, lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, ben venga. Ma, in molti casi, il virus ha esasperato le forti discrepanze nel sistema dello “spettacolo dal vivo” che oggi – non potendo contare sul pubblico pagante – sopravvive solo coi fondi pubblici. E tutto il resto del “mondo”? Trovo molto ingiusto tutto ciò, molta gente valida ha perso il lavoro e moltissima, anche la “motivazione”. Per questo mi sono unita ad un bellissimo gruppo di artistə che si chiama “Atlantide” (come l’isola sommersa), di cui sentirete presto parlare. Dal canto mio, preferisco non pensare alle stagioni rimandate, o al fatto che avrei dovuto essere in Francia, in due scene nazionali (Annecy, Chambery e anche a Parigi) e probabilmente salterà tutto di nuovo. È tutto instabile e le cose si capiscono all’ultimo secondo…preferisco non pensarci appunto, perché altrimenti vado fuori di testa. Cerco di stare nel qui e ora; per fortuna ho un po’ di altri miei progetti, uno a cui tengo particolarmente, che debutterà a giugno al “Napoli teatro festival”. Penso, programmo, ripenso e riprogrammo. Stiamo in ascolto e non perdiamoci d’animo.