SCOMPARSO L’ARTISTA GIOVANNI PINI, I VERSI DEL SILENZIO

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Purtroppo ieri è venuto a mancare Giovanni Pini. Ripubblichiamo in suo omaggio un’intervista realizzata l’anno scorso per Gagarin da Roberto Ossani, suo allievo, graphic designer e insegnante di comunicazione visiva all’Isia di Faenza.

Io li chiamo i miei supereroi. Sono quelle persone che, per combinazioni del destino, ho avuto la fortuna di incontrare nella vita, e a cui dovrei ogni giorno dire grazie, per quanto mi hanno insegnato, perché è bello frequentarli e perché il mio mondo è migliore grazie a loro.

Il professor Giovanni Pini, classe 1929, nato a Bologna, faentino di adozione, ora residente nelle campagne di Solarolo, è uno dei miei supereroi.

Quindi è con un po’ di emozione che vado ad incontrarlo oggi, insieme alla mia amica Carla (anche lei sua ex-allieva), nella casa vicino al Ponte di Felisio. Ed è una risata che ci strappa subito lui, quando ci accoglie per questa specie di intervista e allargando le braccia dice Ma ragazzi, c’è così poco, da dire, su di me…

Il suo studio-laboratorio deve averglielo affittato l’apprendista stregone di Paul Dukas. Al piano alto di un ex granaio, così pieno di finestre che la luce ti cinge d’assedio e ti isola dal mondo: decine e decine di tele ma soprattutto migliaia di disegni, schizzi, collage. E silenzio. Luce e silenzio. Ecco.

Il tono di voce è la prima cosa che si nota nelle pitture di Pini: è la voce della poesia. Vediamo opere silenziose, che non hanno bisogno di strillare, il ché le rende preziose. Del resto, anche lui è silenzioso: di carattere schivo e riservato, sembra agli antipodi della cacofonia mediatica che caratterizza il nostro tempo e – ahimè – gran parte dell’arte contemporanea. È un artista autodidatta, lui. Non lo puoi incasellare in un movimento o in un cliché. Non subisce il peso della tradizione né delle tendenze e – vi assicuro – non è minimamente interessato al mercato dell’arte. Dipinge liberamente.

Nei suoi quadri Giovanni Pini racconta le pianure romagnole, racconta le vecchie case e le colline, qualche volta il mare o le capanne sul canale, sempre riducendone la composizione all’essenziale e filtrandone le atmosfere con una gamma cromatica tenue, leggera, silenziosa. Case, alberi, strade, fossi, a cui la sottrazione dei dettagli ha permesso di raccontare l’anima. Le sue pitture sembrano dire Silenzio: è il tempo della poesia.

Giovanni Pini, "Inverno in collina"
Giovanni Pini, “Inverno in collina”

Non ha mai inserito figure umane, nei suoi quadri. Perché, professore? – Semplicemente, non mi interessano, dice, accompagnandosi con un gesto della mano che sembra cancellare l’idea nell’aria. Suo figlio Paolo poi mi dirà che, in realtà, qualche ritratto alle nipotine, lui l’ha fatto…

Ah, non troverete matite, nel suo studio: troverete vasi pieni di polveri e sabbie colorate, ottenute macinando pietre e sassi. Troverete i gessetti che l’artista si modella da solo. Natura con cui Pini dipinge la natura.

Troverete carte e cartoni raccolti dalla strada dopo essere stati martoriati dal traffico, dal sole e dalla pioggia, che per Pini sono preziosissima materia prima per meravigliosi collage.

Ci racconta che ha cominciato a disegnare da bambino (il suo sguardo si illumina in una risata quando ricorda di avere decorato a otto anni, ad insaputa dei genitori, le pareti di casa, appena imbiancate…) e di non avere mai smesso. Dice che non c’è stato giorno della sua vita, in cui non abbia disegnato.

Naturalmente ha ricevuto premi e riconoscimenti importanti, ma quando gliene chiediamo, dice di non ricordarseli…

Però il greco antico se lo ricorda benissimo, perché quella dell’arte è solo una delle vite del professore (quello del c’è poco da dire su di me…). Giovanni Pini è anche un ellenista, uno studioso della lingua e della cultura dell’antica Grecia, di livello internazionale.

La passione per il greco gli venne al ginnasio, e anche questa lo ha accompagnato negli anni.

Fu il primo a tradurre gli Stromateis di Clemente Alessandrino, teologo, filosofo, e scrittore cristiano del II secolo. Stromateis significa miscellanea: si trattava di una serie di appunti su argomenti vari, come l’importanza della filosofia nella ricerca della conoscenza cristiana o la relazione fra filosofia e rivelazione. È peraltro il più completo dei testi di Clemente, e le Edizioni Paoline lo pubblicarono nel 1985. Non erano ancora diffusi i computer in quegli anni, e la composizione del testo in greco e italiano era così difficile che una suora della casa editrice, dopo la millesima correzione richiesta da Pini, disse Adesso basta. Ci facciamo il segno della croce e lo mandiamo in stampa!

Successivamente gli fu chiesto di tradurre il Panarion di Epifanio di Salamina, un vescovo e scrittore greco del IV secolo, venerato come santo e Padre della chiesa. L’opera era un enorme compendio delle eresie diffuse al suo tempo; il titolo Panarion indicava la cassetta di pronto soccorso con le medicine contro il veleno dei serpenti…

Si trattava di un’opera monumentale. Pini ci racconta che, prima di assegnargli l’incarico, un dirigente della casa editrice gli chiese Professore, quanti anni ha? Pini rispose Settanta, e l’altro ­Allora si può fare!

Pini ci lavorò dieci anni, e la Casa Editrice Morcelliana di Brescia pubblicò i tre libri di Epifanio per un totale di 2.576 pagine!

E poi c’è la terza vita di Giovanni Pini (sempre quello del c’è poco da dire su di me…), per la quale lui sarà sempre, per noi, il professore. Ci racconta che, dopo l’università, insegnò greco e latino nei licei di Fermo, Cesena e finalmente, per molti anni Faenza.

Il Liceo Evangelista Torricelli di Faenza era l’approdo naturale per un professore di talento come lui, con la passione per la cultura classica e soprattutto la naturale capacità di trasmettere quella passione ai ragazzi, che seguivano ipnotizzati le sue lezioni. Lui entrava in aula piano piano, quasi in punta di piedi, sbrigava rapidamente l’appello e le cose formali, poi iniziava la lezione e in poco tempo i suoi occhi si illuminavano, le braccia si allungavano nell’aria come un direttore d’orchestra, e lui sembrava perdersi nei versi dei lirici greci, Saffo, Alceo, Anacreonte, Alcmane, Stesicoro, Ibico, Bacchilide, Simonide, Pindaro…

Le sue valutazioni sui compiti erano bizzarre. Ci racconta di una volta che a una studentessa assegnò, come voto, un aggettivo: fedifraga! Il professore aveva predisposto a mano la matrice con la versione di greco da tradurre nel compito in classe. Ma, accidenti, aveva dimenticato un inciso, una frase fra parentesi. Per non dover rifare il lavoro, considerò trascurabile quella parte, e alcuni giorni dopo diede le copie (realizzate da un bidello col ciclostile) ai ragazzi. Ma alla fine dell’esercitazione, la studentessa in questione consegnò la traduzione in italiano completa. Cioè: l’inciso che non era nella versione greca, era presente nella traduzione in italiano! Evidentemente la ragazza aveva barato! Aveva scoperto il compito in anticipo e aveva copiato la traduzione da un testo. Il voto fedifraga! non l’aveva mai avuto nessuno, prima. Dopo quarant’anni, raccontando questa storia, il professor Pini si arrabbia ancora un po’…

Il pomeriggio è passato velocemente, Carla ed io ci alziamo per congedarci, salutiamo il professore e sua moglie Lina. Si sono conosciuti sessant’anni fa, per caso, in una cartoleria dove lei, insegnante di scuola materna, cercava una barba finta per il bambino che doveva impersonare San Giuseppe nel presepe vivente. Le dissero di cercare in un altro negozio; lei non sapeva dove, e il giovane Pini si offrì di accompagnarcela. Pochi anni dopo si sposarono.

Sua moglie Lina non lo abbandona mai. Si ricorda le cose che lui ha dimenticato, e quando, parlando, con la mano gli sfiora il ginocchio, tu capisci cos’è l’amore, accidenti, e ti verrebbe un po’ da piangere per l’emozione.

Se credete che i supereroi non esistano, vi sbagliate.