Dei tanti film italiani visti alla Mostra del Cinema di Venezia Assandira, presentato nella sezione Fuori concorso, è forse quello che più ci ha colpiti.
Il film, attualmente in programmazione nelle sale cinematografiche, si regge sulla straordinaria interpretazione di Gavino Ledda. Forse i lettori più giovani non sanno chi sia. È stato l’autore del romanzo autobiografico Padre padrone, pubblicato dall’editore Feltrinelli nel 1975 e dal quale i fratelli Taviani ricavarono, nel 1977, l’omonimo film. Sia il romanzo che il film ebbero all’epoca un grande successo, il film vinse anche la palma d’oro al festival di Cannes. Racconta la Sardegna rurale dell’immediato secondo dopoguerra, un mondo ancora basato sulle tradizioni secolari della pastorizia e non ancora toccato della modernizzazione a tappe forzata favorita prima dall’industrializzazione e poi dal diffondersi del turismo di massa. È in particolare la storia di un lungo percorso di emancipazione da quelle tradizioni da parte del protagonista (interpretato nel film, tra gli altri, dallo stesso Gavino Ledda). È anche la storia di un conflitto con il padre, che di quel mondo arcaico e delle sue tradizioni immutabili è la personificazione. Il padre toglie il figlio, ancora un bambino, dalla scuola, per destinarlo al lavoro nei campi e alla custodia del gregge di pecore. Gavino sembra quindi avviato ad un destino di ignoranza e analfabetismo. Eppure grazie ad una straordinaria tenacia riuscirà ad avviare un percorso di emancipazione, personale e culturale, scontrandosi apertamente con il padre. Un percorso che lo porterà a laurearsi e a diventare uno studioso della lingua italiana e sarda.
Il film di Salvatore Mereu è stato tratto dal romanzo omonimo di Giulio Angioni, pubblicato da Sellerio nel 2004. Con un radicale rovesciamento di prospettiva rispetto a Padre padrone, Gavino Ledda interpreta ora la figura del padre (Costantino Saru), di nuovo in conflitto con il figlio (Mario). Anche qui il padre è l’interprete della tradizione, del mondo pre-industriale pastorale. Siamo in un’epoca non del tutto precisata, si direbbe negli anni Ottanta o Novanta del secolo scorso. Il figlio, emigrato in Germania, torna nel paese natio con la moglie tedesca. Coltiva un progetto: trasformare la casa colonica familiare in un agriturismo, nel quale ospitare viaggiatori del nord Europa, ai quali “vendere”, oltre alla bellezza della natura e dei paesaggi, anche una sorta di esperienza diretta del bel mondo antico, o meglio una sua riproduzione mercificata (la mungitura delle pecore, l’accoppiamento tra cavalli, ecc.). Un progetto che il padre non riesce a comprendere ma nel quale, anche se con forte riluttanza, finirà per venire coinvolto. Una storia tragica, quella raccontata da Mereu, il cui esito ci viene mostrato già nelle prime inquadrature. Una notte piovosa, illuminata degli ultimi bagliori del devastante incendio che ha distrutto Assandira e ucciso Mario. Costantino si aggira attorno ai resti dell’agriturismo e al corpo inanimato del figlio, con la faccia impietrita, mentre la sua voce, fuori campo, inizia il racconto della tragedia e di come tutto sia iniziato. Una voce ipnotica, fortemente evocativa, dominata dal senso di colpa, per non essere riuscito a salvare il figlio e dalla vergogna, per le cose indicibili di cui è stato testimone e alle quali non ha saputo dire di no. Il dialogo con il magistrato che accorre sul luogo dell’incendio per indagare sulle sue cause diventa, più che un semplice interrogatorio, una resa dei conti con la propria coscienza.
Se Padre padrone era la storia di un percorso di liberazione da una cultura arcaica, attraverso gli strumenti della cultura, Assandira è un racconto tragico che evoca il tema pasoliniano sulla mutazione antropologica prodotta dall’avvento della cultura di massa e sulle forme di corruzione prodotte dal consumismo. Racconta quindi, con una radicalità insolita per l’attuale cinema italiano, dei disastri prodotti da un progresso economico e materiale non accompagnato da un adeguato sviluppo culturale.
Il film si regge grazie alla incredibile forza scenica di Gavino Ledda. Risente invece negativamente di una caratterizzazione quasi macchiettistica di alcuni personaggi (in particolare di Grete, la moglie tedesca di Mario), e di alcuni eccessi nella rappresentazione di quello che Mario e Grete hanno fatto di Assandira.
Assandira, di Salvatore Mereu, Italia 2020
di Dario Zanuso e Aldo Zoppo