Breve trattazione su come scorgere il movimento che rimandano le cose ferme.
Esistono grandi biografie. E altre piccolissime, stanziali, destinate a rimane nascoste sui davanzali, sulle ringhiere dei balconi, sulle mensole del soggiorno. Come la pietra nel fiume, che racconta la storia dell’acqua che l’ha modellata, dei fenomeni atmosferici che l’hanno movimentata e dei pesci che l’hanno sfiorata, ci sono elementi che ci circondano sui quali le nostre vite rimangono impresse come diari da sfogliare nei momenti di smemoratezza, come oracoli da consultare affinché ci indichino la via nei momenti oscuri. Questi elementi, di consolazione e resurrezione, vegetali e geografici, possono essere definiti piante.
Cactus_Cactacee
Sulle cicatrici.
Nei negozi Ikea, alla fine del percorso espositivo, c’è la zona verde e giardinaggio. Una stanza illuminata da luce artificiale nella quale stazionano vasi, cestini, fiori – veri ed in plastica. Avendo gli svedesi poca confidenza con l’arte del coltivare, può capitare che anche le piante vive abbiano un aspetto un poco fasullo, e che i vasi non siano dotati sul fondo del foro che permetterebbe all’acqua in eccesso di defluire. In questo tripudio di vegetali promesse difficili da mantenere, spiccano Cactus mignon, venduti in serie da tre. Poca terra, poco spazio, cura infinitesimale. E da lì, un giorno, è arrivato questo piccolo Cactus. Così discreto da diventare parte dell’arredamento, come cosa inanimata. Ha tenuto così tanto duro. Senza cibo, senza acqua, senza minerali, senza luce. Una vita di stenti. Per mesi il peso della battaglia ha piegato e rinsecchito l’immobile guerriero. Poi, qualcuno, l’ha visto. Per me era oramai brutto, una nota stonata, un rimprovero muto che raccontava della mia incapacità di fare attenzione. Il soccorritore l’ha posizionato al sole, in un vaso più grande e forato. Mi ha spronata ad avere fiducia. E dalle ferite asciutte e cicatrizzate è sbocciata una polpa nuova. Oggi guardo a quel punto strozzato sul fusto con ammirazione, consapevole alfine che una cicatrice può essere come la prima parola di un racconto, esultanza essiccata frutto di una vittoria ottenuta con una manciata di terra, un foro, un raggio, una goccia ed un passo.
scrittura ELENA SORBI
disegno ALICE SCARTAPACCHIO
Assonanza: Yoshiharu Tsuge, L’uomo senza talento https://www.doppiozero.com/rubriche/2603/201712/luomo-senza-talento-di-yoshiharu-tsuge