Sole. Come sempre. Nuvole di uccelli enormi e la loro cacca ovunque. Non gli si può neppure urlare contro che ti arrestano. Luce elettrica pochissima, un’ora al giorno, due ore la domenica. La casa del mio vicino morto è diventata un ufficio della Guardia Nazionale Naturalistica, dipinta di verde scuro. Hanno anche una mitragliatrice in giardino, una vecchia Breda scovata chissà dove. I militari che l’hanno occupata sono giovanissimi e annoiati: è una strada praticamente deserta e le auto mitragliate negli ultimi 30 giorni si contano su una mano. Sono gentili, li saluto dal balcone di casa e mi sorridono. Mi concedono di stare all’aperto anche più di quanto il decreto, per la nostra sacrosanta incolumità, impone. Ieri credo di essere rimasto addirittura venti minuti oltre il limite prestabilito e ho fumato una rarissima Winston rimasta nel fondo di un armadio. Mia moglie non c’è più e posso fumare. L’infezione alla mano, in seguito al brutto incidente col gabbiano che le ha strappato via tre dita, si è propagata per tutto il corpo fino ad ucciderla. Ci manca molto la nostra donnina di casa, ma adesso posso fumare tranquillamente senza nascondermi. La nuova regola ci offre di introdurre, nella nostra dieta a base di niente, un vasetto di patè di fegato alla settimana. Non mi interessa sapere come e con cosa lo preparino, è parecchio buono ed è gratis. Prima di questo mondo completamente nuovo, i francesi, mi stavano sul cazzo. Poi ho cambiato idea. Nessun altro governo prima d’ora ha mai regalato vasetti da 400 grammi di cremoso patè ai suoi cittadini. Me l’ero vista brutta attorno ai giorni 989/1000, ero deperito tantissimo e non riuscivo più ad alzarmi dal divano. O meglio da ciò che rimane del nostro divano: un giaciglio di stracci, nero di grasso e curvato sotto il peso di un continuo riposo forzato. Mio figlio mi aveva quasi convinto a farmi sparare da lui un colpo sotto il mento con la sua .22. Poi arrivò la citofonata, salvifica. Era una guardia del Fronte Nazionale Naturalista, puntuale come un miracolo: in fondo alla nostra via, in prossimità dell’incrocio dove una volta sorgeva il chiosco di “Evelina maga della piadina”, era morto un elefante per cause naturali (dal giorno 921 circolano tutti i tipi di animali in totale libertà) e servivano volontari armati di machete e motosega per sgomberare la strada. Misi un paio di pantaloni da lavoro, la mascherina, dei guanti di gomma, la sega da arbusti e corsi giù con una vitalità che credevo ormai sepolta. Mio figlio ci rimase un po’ male. Non si aspettava di certo un mio così improvviso recupero psico-fisico. Abbassò il cane del suo piccolo revolver e lo ripose nel mobiletto dei medicinali del bagno. Scannammo l’elefante in un batter d’occhio. Eravamo 6 o 7 persone, inzuppate di rosso, come se fosse una vendemmia, una festa pagana. Ero debolissimo ma trovai comunque la forza di segare via una gamba e un orecchio. “Avete due ore per farlo a pezzi e portarvi a casa quello che volete. Non voglio che rimanga neppure il sangue su questa strada!”, aveva urlato al megafono il tenente. Non è stata un’impresa facile, ma sono riuscito a riempire la casa di pezzi di elefante. Poi ci fu il problema del mantenimento di tutta quella carne, senza frigorifero era impossibile. Arrivarono le mosche e le locuste, alcune grosse come il telecomando della tv. Una storia lunga che non ho voglia di raccontare. Comunque sono qui, ancora vivo. Mio figlio è partito per una missione due settimane fa e non è più tornato. Non so nulla di lui, non c’è modo di comunicare e i telefoni sono tutti disattivati dal giorno 264. Però c’è il sole, tanto, anche di notte. Ci occupa i sogni, di continuo. Sognamo il sole che brucia gli occhi e ci tocca star svegli per vedere un po’ di buio fuori dalla finestra. Mi è scaduto l’abbonamento della televisione, non la posso più vedere. Pazienza, ormai era un continuo di repliche di film di Fast & Furious. E’ ancora in buono stato, però. Proverò a barattarla con dell’insalata liofilizzata.