Festival Sorelle di Corpo, una storia di successo

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Novembre, 2019. Una giornata come tante altre: uno scroll della home di Instagram, una manciata di immagini dalle tinta rosa pastello. Nasce allora un’idea, una piccola scintilla di quel che poi si sarebbe trasformato in un progetto molto più ambizioso: il Festival Sorelle di Corpo. «Con una ricerca Veronica [Bassani] ha scoperto che queste immagini erano state realizzate da una ragazza ligure di nome Valentina Botta. Le sono piaciute talmente tanto da prendere subito contatto con lei per portarla a Faenza, la sua città», racconta Angela Molari, dell’associazione culturale Fatti d’Arte e collaboratrice di Veronica nella realizzazione del Festival. «L’occasione è stata doppia, perché proprio in quei giorni usciva un bando della Regione Emilia-Romagna per le Pari Opportunità denominato “Parità nella differenza”. Veronica ha deciso di partecipare in collaborazione con l’associazione SOS Donna, proponendo di organizzare a Faenza una mostra con le fotografie di Valentina Botta».

La semplice esposizione si è però ben presto evoluta, grazie anche al contesto culturale che una città come Faenza è in grado di offrire. «Faenza è una realtà culturale e associativa molto viva: esistono numerose associazioni gestite da donne o che presentano al loro interno una forte componente femminile. Abbiamo iniziato a prendere contatto con loro che si sono mostrate subito molto entusiaste di poter dare una mano. Da qui è nato tutto il progetto Sorelle di Corpo nella sua forma più estesa». La singola mostra fotografica di Valentina Botta si è affiancata ad altri tre nuovi progetti espositivi, a ciascuno dei quali è stata assegnata una stanza di Palazzo delle Esposizioni. Il primo coinvolge Valentina Crasto, un’artista bolognese che «ha offerto al nostro progetto una serie di tele, intitolate “Opera: primo studio”, che mostrano delle figure femminili intessute con fili di cotone multicolore che sembrano quasi danzare». Il secondo vede come protagonisti i giovani fotografi dell’associazione faentina ​Gruppo Fotografia Aula 21, chiamati ad allestire autonomamente una propria esposizione fotografica, nata da una ricerca sul corpo in età adolescenziale che ha preso il nome di “RitrovarSì”. L’ultimo progetto è Dress Again con il quale un negozio vintage di Faenza ha invitato un gruppo di donne, provenienti da situazioni di disagio familiare o in fuga da paesi del terzo mondo, a realizzare una serie di abiti adatti a qualsiasi taglia e fisicità.

Dall’8 al 27 marzo avrebbe dovuto prendere vita un fitto programma di talk, conferenze, eventi e performance in grado di sviluppare nella maniera più completa possibile il tema della donna. La violenza sulle donne, il concetto di bellezza femminile, i canoni di un sano stile di vita e di una corretta alimentazione, l’odio e il sessismo online, le donne nel mondo del lavoro sarebbero stati alcuni dei temi di discussione, guidati da diverse associazioni quali SOS Donna e Farsi Prossimo, Filò, il circolo Arci Prometeo di Faenza, la milanese Women in Business and Finance. Ma quell’8 marzo la grande inaugurazione non ha avuto luogo a causa dell’emergenza coronavirus. Tuttavia, non tutto è andato perduto. «Io e Veronica ci siamo allora organizzate: abbiamo contattato un web master, Enrico Pasi, e abbiamo iniziato a trasformare tutto online, soprattutto utilizzando la piattaforma Zoom. Questo ci ha permesso di arrivare a un pubblico ben oltre i confini di Faenza. È stato molto bello poter coinvolgere anche persone che altrimenti non sarebbero mai riuscite a seguire il Festival». La sua trasformazione dal vivo all’online ha permesso anche di introdurre delle novità all’interno della programmazione, coinvolgendo nuovi protagonisti come «l’avvocata Cathy La Torre, che il 4 aprile ha tenuto un talk intorno al tema dell’odio e del sessismo online. La cosa interessante è che questo talk si è svolto proprio nel giorno in cui è scoppiato lo scandalo del gruppo Telegram di revenge porn. Lei ce ne ha parlato in questa occasione, sottolineando come sia in realtà una problematica molto diffusa, ma molto sconosciuta. Poi abbiamo parlato anche con Giulia Blasi, autrice di “Manuale per ragazze rivoluzionarie”, sull’importanza di svecchiare un po’ il termine femminismo che fa paura a molti, pur essendo in realtà un cammino che deve riguardare tutti, donne e uomini. L’ultimo dialogo filosofico si è tenuto il 5 aprile ed è stato un’occasione per tirare le fila intorno al messaggio del Festival e per confrontarsi con le persone che hanno partecipato, dando loro la possibilità di prendere parola, scambiarsi idee e opinioni».

Nella difficoltà dunque sono emersi anche degli aspetti positivi…

«Sì. Noi all’inizio avevamo paura perché eravamo consapevoli di toccare dei temi piuttosto delicati e di una certa urgenza sociale. Temevamo che trasformandolo online si perdesse quella possibilità di confronto. Il nostro timore era anche che online le persone ascoltassero in maniera più distratta o che comunque fosse più difficile passare il messaggio che volevamo lanciare. In realtà, il pubblico si è mostrato molto partecipe e anche molto interessato e disposto ad accogliere il nostro messaggio anche da casa, in un contesto dove di solito non ci si trova quando si affrontano tematiche di questo tipo. Ci siamo accorte che, nonostante tutto, c’è stata molta risposta e molto accoglimento».

Affrontare una riflessione sul corpo attraverso mezzi digitali che sostanzialmente lo negano ha portato al nascere di nuove riflessioni a cui non si era pensato inizialmente?

«Sì, in un certo senso sì. Ormai i social e internet sono uno dei mezzi principali con cui una persona si vende e si mostra agli altri. Le foto e i video sono diventate un po’ il nostro biglietto da visita e il nostro corpo arriva prima virtualmente che fisicamente. Ci siamo accorte che trattare queste tematiche virtualmente in realtà ti permette di affrontare un tema che è molto contemporaneo ma ancora poco affrontato, cioè tutte le problematiche che ci possono essere nel mostrarsi e nel mostrare il proprio corpo virtualmente. Partendo dal caso più eclatante che è il revenge porn su internet per arrivare poi alla discussione intorno al concetto di bellezza che abbiamo fatto con l’associazione Filò, intorno al cortometraggio di Anna Ginsburg “What is Beauty?”, una sorta di excursus dell’evoluzione del concetto di bellezza nel corso degli anni, dalla preistoria fino ad arrivare ai giorni nostri. Ci siamo accorte che in realtà ormai c’è questa dualità dentro ogni persona: il corpo fisico e quello online. Il nostro festival, trasformandosi in virtuale, ci ha permesso di ampliare e riflettere su questa seconda parte che ognuno di noi, soprattutto chi utilizza molto i social, possiede. Ovvio poi che la parte fisica del festival ci è mancata. Ci sono delle cose che quando le fai dal vivo hanno sempre un impatto e una presa diversa. Ma è stato importante anche questo per accorgercene e riflettere sull’importanza di vivere la cultura dal vivo».

Ad oggi il Festival si è ormai concluso, ma non la possibilità di trasmettere il suo messaggio: il canale YouTube ad esso dedicato si è infatti trasformato in una sorta di archivio e di biblioteca virtuale dove è stato raccolto tutto il materiale prodotto.