Anche se tutti pensiamo subito alla pioggia, dovrebbe bastare la palese etimologia della parola ombrello a farci capire la funzione originaria. L’ombrello è stato usato fin dall’antichità, ma non nasce per la pioggia, bensì per fare ombra, come parasole…
Se ne hanno tracce in Cina dal XII secolo a.C. In Egitto Nut, la dea del cielo, era rappresentata sotto forma di parasole, in posizione ricurva, per proteggere la terra.
Del resto, in tutto l’Estremo Oriente, l’ombrello era principalmente un segno distintivo di nobiltà: il suo uso era consentito solo ai reali e ai dignitari di corte. In Giappone, addirittura, era appannaggio esclusivo dell’Imperatore, e successivamente dei Samurai, tanto da diventarne il simbolo. Nell’antica Grecia era portato dalle Baccanti, le sacerdotesse di Dioniso.
Durante l’Impero Romano il parasole entrò nell’universo femminile, e fu adoperato come accessorio vezzoso e seducente dalle donne più ricche. E successivamente entrò nell’iconografia pontificia come oggetto di pertinenza del Papa…
Insomma, fino al ’700 l’ombrello era usato per tutto, fuorché per ripararsi dalla pioggia, ed era usato solo dalle classi abbienti (spesso portato da un servitore), in segno di distinzione sociale.
E per proteggersi dalla pioggia? Si usavano mantelli e cappucci. Solo nel XVIII secolo, finalmente, divenne parapioggia, ma soprattutto irrinunciabile accessorio di moda femminile, al pari del cappello o delle scarpe. Un caso interessante: nel 2011 la Sécurité francese fece costruire un ombrello in kevlar per proteggere da eventuali attacchi il Presidente Sarkozy. Fu battezzato Para Pactum e costò più di diecimila sterline. Ma non era un’idea nuova: nel 1902 il Daily Mirror aveva pubblicato un articolo che spiegava alle donne come difendersi dai malintenzionati utilizzando ombrelli e parasole…
Infine, il più costoso: certamente è quello prodotto in Italia dal miliardario Flavio Briatore, in collaborazione col designer Angelo Galasso. È realizzato in pregiata pelle di coccodrillo e potete acquistarlo online per 50.000 dollari.
Pensate a me, che lo dimentico sempre in treno…
Roberto Ossani, docente di Design della Comunicazione – ISIA Faenza