Sono tempi oscuri, pandemici, e ognuno di noi vive nel terrore di essere contagiato. La malattia attraversa confini, continenti, classi sociali e generazioni. Il Coronavirus è democratico, ci avvicina tutti a un metro di distanza, in famiglia come al supermercato. È necessario, per beffare la morte, restare a un metro da chiunque, che sia l’amore della tua vita o il benzinaio di Bevano Est. È l’empatia centimetrica, bellezza. In tutto ciò molti vedono una nuova speranza, è tutto un fiorire di “andrà tutto bene”, di iniziative di solidarietà, di commozione dilagante. Come in un brutto film hollywoodiano, quando l’Apocalisse fa l’occhiolino, l’Umanità si scopre unita. E là, dove s’intuisce l’inizio di una nuova Era per quasi tutti, una sola persona (perché possono essere milioni ma sono sempre e solo una persona sola), vive il momento come un’autentica offesa personale, come un affronto al proprio mondo, al suo modo di essere: l’Ipocondriaco. Il triste figuro vede il proprio mondo sgretolarsi. Gente che non sa quante ossa ci siano nel corpo umano e ora disserta di terapie intensive; marmaglie che ignorano l’esistenza dell’Amigdala che si dilettano di statistica sanitaria; masse, ignare della causa di morte del poeta Dino Campana (setticemia scaturita da una ferita allo scroto), ora argomentano sull’efficacia di un farmaco somministrato per l’artrite reumatoide, non conoscendo, va da sé, l’origine autoimmune della stessa.
La pandemia è il vero inferno dell’Ipocondriaco, l’Apocalisse è la sua nemesi. Se tutti possono ammalarsi, se tutti hanno paura di morire, che senso ha essere ipocondriaci? Cos’è servito sopravvivere all’Ebola, convivere con un Non-Hodgking scambiato dal medico di base per una frusta dermatite atopica, aver speso migliaia di euro in terapie psicologiche per dimostrare al mondo di soffrire della rarissima sindrome di Munchausen per procura, se poi ci si arrende a un banale accidente virale? L’Ipocondriaco conosce tutte le malattie ma non vuole curarle e un medico è semplicemente un ipocondriaco che non ce l’ha fatta; l’Ipocondriaco sa che il Principe Azzurro deve essere ricoverato immediatamente per una grave intossicazione da metalli pesanti; l’Ipocondriaco non ha paura di morire, è semplicemente terrorizzato dal non poter leggere il referto della sua autopsia.
Così, in questi tempi grami, l’Ipocondriaco si rifugia nella fantasia e sogna affezioni che nessuno, neppure l’Apocalisse, potrà mai e poi mai, portargli via.
Noi di Gagarin, con cadenza saltuaria e con alcuni gesti scaramantici, pubblicheremo le peggiori malattie, frutto dei migliori sogni dell’Ipocondriaco.
La sindrome di Mitsubishi
Sindrome descritta per la prima volta dall’insigne clinico Isuzu Mitsubishi nel 1927, scaturisce da una malformazione del tronco encefalico e ha ripercussioni sulle capacità di coordinazione e di orientamento spazio temporale del paziente. Spesso asintomatica, nella fase acuta impedisce al malato di utilizzare correttamente gli arti destri del corpo. Il sintomo principale consiste nella totale incapacità di inserire la seconda marcia e di premere adeguatamente il pedale dell’acceleratore. La letteratura medica riporta che i decessi avvengono nella loro totalità per tamponamento sulle autostrade o, nelle metropoli, per linciaggio ai semafori. In una nota al suo celeberrimo articolo, Isuzu Mitsubishi osservava: “questa rara affezione pare essere sconosciuta, o non ancora descritta, nei paesi del Commonwealth”.