La “città vuota” di Mina, città affollata ma deserta perché la cantante è privata del suo amore, ha poco a che fare con quanto i fotoreporter stanno documentando in questi giorni, e in tutto il mondo. Perché le città sono vuote per davvero: scenografie metafisiche uscite da quadri di De Chirico dove solo gli animali, come spaesati, si trovano ad occupare un ambiente generalmente ostile.
Ero al primo anno all’università di architettura di Ferrara, dove mi sono laureato. Il preside e i professori della neonata facoltà presero la decisione anticonformistica di far studiare storia dell’architettura contemporanea fin dal primo quadrimestre. La scelta era supportata dal fatto che il quadrimestre successivo avremmo dovuto affrontare il primo esame di progettazione e si invitavano quindi gli studenti a produrre “modernità”. Per me che arrivavo dal Liceo Scientifico di Faenza, l’architettura del xx secolo era davvero bizzarra, per non dire assurda. Capisco quindi bene un certo scetticismo ancora ben radicato in un paese classico come il nostro.
Quando affrontai alcuni maestri indiscussi dell’architettura mondiale del secolo scorso, ne riconobbi come ovvio la genialità ma, al tempo stesso, mi parve che l’equilibrio e la perfezione fossero tali che qualsiasi presenza umana li avrebbe compromessi. Lo penso ancora oggi. Le architetture fotografate nelle riviste e condivise dai social sono quelle appena concluse, non ancora abitate: viene controllata l’inquadratura ed eliminato ogni elemento rivelatore della presenza umana, non solo il corpo fisico ma anche quello che ne definisce la quotidianità.
L’osservazione mi ha spinto a riflettere ancora una volta su una cosa: lo spazio architettonico e a maggior ragione quello urbano e metropolitano nascono per l’essere umano e per essere abitati, e le grandi architetture sono tali solo a questa condizione. Ecco perché in questi giorni chiunque percepisce la strana separazione tra gli spazi urbani, come siamo abituati a viverli, e quello che sono adesso. Il tutto ci attraversa emotivamente, non intellettivamente. La Piazza di San Pietro è la stessa di prima, il Papa pure, ma l’immagine, fortissima, del Santo Padre che da solo parla di fronte alla Piazza vuota, arriva a tutti. E’ la mancanza dell’uomo che sancisce lo straniamento; in questo caso dei fedeli.
Le case e le città non sono fatte per il silenzio. Ma forse prima di ripensare le città che saranno “dopo” bisogna ripensarci come uomini, adesso.