E’ carnevale e Bologna si veste e traveste a festa. Luci, colori, musiche e balli nei palazzi, nelle case degli amici di amici e party a tema nelle residenze storiche che rievocano gli anni ’20 piuttosto che i gran balli in costume della tradizione veneziana. Coriandoli, mascherine, trucco e parrucco per trasformarsi in un personaggio storico, in un super eroe o semplicemente per trasgredire alla monotonia del dress code imposto dalla quotidianità.
In questa settimana dove tutto è permesso, noi di Gagarin abbiamo trovato un modo del tutto originale per “trasgredire” e siamo andati sulle orme de La Signora in dolce, prima però conosciamola un po’.
Chi è La Signora in dolce?
Tiziana Di Masi, Cilentana di nascita, vive tra Bologna e Milano e di entrambe le città non le sfugge niente, soprattutto le sfumature in dolce.
«Come ogni artista o chissà – esordisce Tiziana – mi piace essere e non solo interpretare persone diverse e, dallo scorso giugno, ho avuto la possibilità di far emergere la mia seconda anima. La mia prima anima è quella più conosciuta di attrice sociale, da un ventina d’anni faccio teatro di impegno civile e giro l’Italia, ho portato in scena tematiche importanti come “l’antimafia sociale”, “il consumo consapevole” e sulla contraffazione, di cui sono anche referente per il MISE – Ministero dello Sviluppo Economico. L’ultimo mio spettacolo è sul mondo del volontariato – prosegue – dove racconto l’Italia bella, quella che si impegna».
Una carriera improntata all’impegno civile, ma…?
«…ma anche le cose belle ed impegnate hanno bisogno dopo un po’ di trovare uno sbocco che le acquieti e le ammorbidisca, come dire, come un cuscino morbido su cui riposare. E’ da qui che prende vita La Signora in dolce, è la mia seconda anima, il mio alter ego ed è la rappresentante più forte e più credibile della mia passione per i dolci. In ogni città dove mi trovo, già che sono in tourné, nel pomeriggio La Signora in dolce subentra, prende il sopravvento e va alla scoperta per vie, vicoli e grandi strade alla ricerca della migliore pasticceria e del miglior pasticciere di quella città, e quindi nomi famosi che ho già incontrato e nuovi talenti che vado a scoprire e mi incantano con la loro poetica e filosofia di vita».
La Signora in dolce è un’investigatrice.
«Esattamente, indossa il suo trench rosa fosforescente e inforca sempre una lente, in quanto investigatrice deve verificare, andare nei laboratori e vedere come si cucina un dolce. Non cucina e non cucinerà mai, non preparerà mai dolci, ma dopo aver assaggiato il dolce, averlo annusato, sezionato e valutato ne farà una recensione che raccoglierà nel suo taccuino per poi restituire all’umanità queste piccole perle di dolcezza».
Come scopri i nuovi talenti?
«Alcune volte mi vengono segnalati, perché sono nomi famosi, poi considera sempre che sono una grande golosa, ho iniziato a mangiare i dolci da quando avevo 3 anni, quindi, prima ancora che il mio alter ego emergesse così prepotentemente, avevo già una specie di addiction, di dipendenza nei confronti dei dolci. In ogni città entravo nelle pasticcerie e assaggiavo un dolce tipico. Altre pasticcerie invece le trovo girando per le vie seguendo anche i profumi che tipicamente emanano i laboratori. Ad Asti, per dire, scoprii così un laboratorio che sfornava degli irresistibili Baci di dama».
Quali i criteri investigativi nelle missioni?
«Devo dire che il dolce – prosegue parlando come degustatrice, ancor prima che Signora in dolce -, non lo analizzo troppo dal punto di vista tecnico, certo, la scelta della materia prima è fondamentale altrimenti il dolce non sarà mai di qualità, però guardo a tutto l’universo del dolce, a tutto quello che mi comunica, il dolce è davvero una grandissima medicina. Se hai un dolce in mano non puoi che scivere una poesia, è fantasia, immaginazione, sogno. Per me ogni dolce rappresenta un’emozione e mi proietta in una visione del mondo, ecco perché il motto della Signora in dolce è: “Chi mangia il dolce scorda l’amaro“. E quindi ogni giorno dobbiamo mangiare qualcosa di dolce perchè la vita assume una visione diversa, è un modo per addolcire gli aspetti della vita».
Il dolce affranca lo spirito ma occorre tenere a bada le quantità. E’ questo il segreto della Signora in dolce?
«Il segreto va svelato – precisa – perché alla fine è quella la magia. Il dolce non va mai mangiato in grandi quantità e nemmeno a fine pasto. Come fai a degustare un dolce dopo aver mangiato a sazietà? Non potrai mai arrivare alla sua essenza, percepire tutti gli aromi, l’equilibrio, il mix perfetto degli ingredienti che si incontrano e restituiscono un dolce che diventa il coronamento di una cena. Consiglio di mangiarlo fuori pasto, nel pomeriggio o la mattina».
Non solo pasticcerie quindi?
«La Signora in dolce non va solo per pasticcerie ma anche per ristoranti di buona qualità e di grandi chef, e a fine pasto l’attenzione ovviamente va sul dolce e valuta come il grande chef finisce una cena, e qui, devo dire, riescono sempre a trovare la perfetta fine. Eseguire la magia di un dolce non è semplice, il dolce non è mai mera composizione di zuccheri e di grassi, dev’essere una vera e propria elaborazione, una creazione artistica dai profumi che sublimano i sensi. E solo un grande pasticcere può fare un dolce in quel determinato modo».
Come si riconosce un dolce di qualità?
«Non è semplice. Nonostante si parli tanto di eccellenza e di pasticceria di qualità, le persone non sono abituate a mangiare dolci di quaità perchè non sono in grado di distinguere la qualità delle materie prime e queste fanno tutto. Sono tanti gli elementi da considerare – precisa -, ogni dolce richiede un metro di valutazione diversa, bisogna distinguere se si mangia un cannolo o una cassata da una ciambella o un plum cake anche perchè ogni dolce ha un’origine, una provvenienza e una storia diversa».
Estetica e bontà, come si coniugano?
«La bontà e semplicità nel dolce non sempre si sposa con l’estetica, per raggiungerla si deve veramente puntare tutto sull’eccellenza dei prodotti, solo così si arriva a quei dolci un po’ proustiani, che hanno la capacità di rievocare i bei momenti, l’infanzia. E poi, attenzione, del dolce occorre farne “buon uso”, il dolce non deve mai compensare una mancanza, semmai aggiungere bellezza. Il dolce di qualità riesce a proiettarti in una visione più bella del mondo, perchè ti connette ad un mondo di sensazioni, profumi, colori, sapori, il gusto. Io dico che i dolci sono gli unici capaci ad elevare i sensi, di esaltarli e poi di riportarti alla pace. E’ per questo che muovo una critica – aggiunge – i pasticceri forse per paura di far emergere davvero chi sono tendono spesso a realizzare dolci che sono perfetti però esteticamente tutti uguali. Non va bene, siamo italiani, prendiamoci la responsabilità di fare dolci che veramente ci rappresentano, in ogni pasticcere ed in ogni pasticceria devi sapere riscontrare la grande cifra stilistica, la sua identità».
Siamo a Bologna, è carnevale, trasgrediamo. Quali i dolci scoperti in missione?
«Sono partita dalle Sfrappole, le trovo deliziose, sono friabili, croccanti, leggerissime, le amo alla follia. E’ un dolce divertente, si sbriciola, con la sfrappola puoi giocare, sei con gli amici ti passi una sfrappola e ti cade lo zucchero a velo e intanto mentre la mangi ti inzuccheri il naso, cadono le briciole, è davvero il dolce di carnevale. Altro dolce carnevalesco sono le Castagnole, palline dorate, piccoli gioielli, ripieni di crema o semplici, e poi ci sono i Tortelli, richiamano il tortellino bolognese e sono ripieni di crema. Qui la sfoglia dev’essere davvero molto sottile altrimenti si rischia che nell’addentare il dolce il palato debba fare troppa strada per arrivare al cuore di crema pasticcera o cioccolato. Poi ci sono le Frittelle, che per la verità non sono bolognesi ma venete, e non si può immaginare la soddisfazione che danno quando le addenti e tanta è quella crema che ti cola dalla bocca. Ecco – apre una parentesi -, la frittella di certo non è il dolce da proporre se si vuole fare una perfetta figura e ci si vuole dare un tono, con la frittella si rischia di crollare un po’ come questa crema che sgorga».
Il dolce che in generale rappresenta più Bologna?
«Ce ne sono vari, a marzo per esempio nelle vetrine dei fornai trovi scritto ” Marzo il mese della Raviola” ed ho capito il perché, perché marzo è la festa del papà e anticamente per tradizione contadina le Raviole, meravigliosi fazzoletti di pasta frolla riempiti di mostarda o marmellata, venivano fatte per celebrare la festività ed esposte lungo le siepi e offerte ai contadini che finivano il raccolto nei campi. E poi c’è la Zuppa inglese – prosegue –, nelle mie missioni in noti ristoranti della città e dell’Appennino ho avuto il piacere di assaggiare questo dolce tipico in due rielaborazioni diversissime e indubbiamente eccellenti entrambe: cremosissima ai limiti della scioglievolezza e del fiabesco l’una, più pulita come gusto e coloratissima come un piccolo quadro impressionista l’altra».
Qual’è il dolce da passeggio bolognese?
Essendo una grande appassionata di biscotti non posso che consigliarlo. Possiamo azzardare con uno Zuccherino, anche se tipico di Porretta, oppure entrare in una pasticceria o in un fornaio e farci tentare dai biscottini di pastafrolla. La spesa ahimè non è sempre a buon mercato, in questi casi consiglio sempre di non eccedere con le quantità ma di privilegiare la qualità. Dirò di più – aggiunge – La Signora in dolce ha la sua teoria sul biscottino: “se hai mangiato tantissimo, come spesso accade durante le festività, puoi finire e asciugare il pasto con un biscottino, secco, di pastafrolla o di mais, purché sia di qualità”».
La Signora in dolce ha anche i suoi segreti, l’altra sua passione è quella, a fine pasto o a sera tarda, di bere rum, fumare un sigaro e accompagnare questo rito con un biscotto, una crostatina o del cioccolato.
A questo punto lasciamoci tentare anche noi e immergiamoci nella sweet experience della Signora in dolce.