Brevi note a partire da un poderoso volume di lettere, Fra me e te la verità, pubblicato da un piccolo editore illuminato.
«Negli ultimi anni di vita Nicola Chiaromonte ha intrattenuto una fitta corrispondenza con Melanie von Nagel Mussayassul (1908-2006), una monaca benedettina residente negli Stati Uniti che aveva ottenuto un permesso speciale dai suoi superiori per questo scambio epistolare. Si scrivevano in media tre volte alla settimana. È una corrispondenza affascinante: un agnostico dall’approccio critico nei confronti della Chiesa in quanto istituzione dialoga con una suora di argomenti che tutti e due ritengono fondamentali, argomenti allo stesso tempo ordinari e privati. Entrambi sono alla ricerca del senso e della verità»: così si apre la Premessa di Fra me e te la verità, volume che raccoglie una consistente (seppur parziale) selezione della corrispondenza tra Chiaromonte e Muska, «creatura di grazia venuta a me per grazia», intercorsa tra il 1967 e il 1972, anno della di lui morte.
Sono pagine dense, intrise di affetto e cultura, quelle che riportano le lettere di Chiaromonte (mentre le missive di lei sono, purtroppo, assenti da questa pubblicazione): una cultura incarnata, che permette la libertà di passare nel giro di una riga da un raffinatissimo riferimento teoretico al parlar di francobolli.
A noi è capitato di leggere Fra me e te la verità mentre accompagnavamo l’agonia e la morte di nostra madre. Al di là dell’aspetto più direttamente autobiografico, certo di ben scarso interesse per il lettore di queste povere righe, crediamo che questa occasione possa a suo modo fornire una possibile interpretazione a quelle pagine preziose.
Impegolati tra lamenti e attese, dosi di morfina da conquistare e dolori da lenire, queste lettere hanno costituito una prospettiva alta e altra attraverso cui guardare a ciò che stavamo attraversando con ulteriore vivezza.
Chiaromonte parla, letteralmente, di tutto. E lo fa con una tenerezza e una precisione affatto commoventi: ci hanno fatto muovere con lui, queste pagine, con il suo vagare e divagare fra pensieri e attimi, saperi e occasioni.
Tra i moltissimi fili che si potrebbero tirare in questo felice groviglio uno di quelli che ci è parso maggiormente in evidenza è quello della riflessione sul linguaggio, sulla sua esattezza e funzione: «La parola non si può trattare come una “cosa” (che si può spostare da un punto all’altro dello spazio senza mutar forma)».
Un’attenzione relazionale alle parole-mondo, dunque: «L’uomo si ingentilisce quando vive a contatto con ciò che lo sorpassa e non ne è schiacciato, ossia diventa capace di pensarlo e ornarlo con parole e segni – di alludervi con ritmi e armonie».
Non si pensi a esercizi di stile fini a sé stessi, appunto, ma a una lingua che si fa, come per i poeti antichi, ponte fra sé e il mondo, fra la propria anima e quella del mondo: «L’anima – il principio vitale: il soffio che agita ogni impressione e ogni visione. In sostanza, che cos’è: è il mondo vissuto alla prima persona – con tutta l’incertezza e, insieme, lo slancio che viene dal sentirsi al centro di un mondo e, al tempo stesso, solo nell’immensità di un universo che affascina e non risponde».
Uno degli aspetti evidenti di queste lettere è, appunto, il progressivo e pervicace disvelamento di sé, l’offrirsi senza pudore: «Ancora una volta ho provato quel sentimento “tolstoiano” d’amore per un mio simile – che non si può esprimere – e consiste in un certo traboccare del cuore».
Ma, ancora e ancora, ciò non faccia pensare a un dire ripiegato su sé stesso, a un auto-riferito -seppur colto e ben formulato- parlarsi addosso: «È soltanto attraverso gli altri e con gli altri che il mondo è – altrimenti diventiamo “ombre vane” prima del tempo».
Tanto altro si potrebbe e forse dovrebbe aggiungere, per far minimamente giustizia di tanta sapiente grazia, di tale leggiadro spessore.
Ma ci fermeremo qui, con gratitudine estrema per avere incontrato questo libro nutriente e per coloro che l’hanno fatto esistere: «Insomma, non bisogna aspettarsi mai più di quello che viene – e accoglierlo».
Ricevere.
Porre attenzione.
Esserci.
E dire grazie, almeno.
«Ma non credi che il vero sforzo sia di rintracciare il fondo dell’essere nei volti dei nostri compagni di vita, travolti e oscurati come sono? E non solo nei volti – ma nei passi, nei modi d’essere, nelle parole – il cercare di misurare la distanza che separa noi e loro da una possibile verità, dalla “realtà vera”?».
MICHELE PASCARELLA
Nicola Chiaromonte, Fra me e te la verità. Lettere a Muska – Edizioni Una Città, 2013, € 18 – info: unacitta.it
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