La grande comicità si nasconde dietro una semplice mimica del volto e il sorriso che ne consegue può nascere all’interno delle situazioni più drammatiche. Questo sembra voler essere l’insegnamento dell’ultimo film di Gabriele Salvatores, Tutto il mio folle amore.
Una storia di riscoperte, di se stessi, degli altri e della bellezza della vita. Una storia che parla di una malattia, l’autismo, della difficoltà di una madre di accettare il proprio figlio e se stessa, di un padre spaventato, perduto e ritrovato, e di un compagno di vita che incarna perfettamente l’attante greimasiano dell’aiutante che accompagna e, terminato il suo compito, lascia andare. Ognuno di loro partirà, alla ricerca della propria strada, guidati da un canto e da un particolare spirito, lo stesso che anima le parole delle canzoni di Domenico Modugno, vero collante del film in grado di unire tutti gli opposti.
Tutto il mio folle amore si regge sulla recitazione impeccabile di quattro grandissimi attori: la grande espressività di Claudio Santamaria, la drammaticità di Valeria Golino, la comicità di Diego Abatantuono e l’infinita profondità di Giulio Pranno. Recitazione e montaggio insieme danno un ritmo al film che oscilla tra pillole veloci ed improvvise di ilarità e momenti di profonda riflessione.
Un film che resiste al difficile equilibrio tra i concetti di normalità e confine. Chi si può chiamare “normale” e chi no? Chi sta “di qua” e chi si trova “di là”? Chi sono i buoni e chi i cattivi? Un equilibrio che rischia di rompersi da un momento all’altro, come quello tra comicità e drammaticità, e che invece regge fino all’ultima inquadratura.