La decima edizione del Festival voluto e curato con pervicace entusiasmo da Kronoteatro ha declinato in varie forme sceniche un’attitudine anti-trionfalistica affatto contemporanea, ben distante dalla concezione romantica dell’artista come «essere eccezionale». Brevi note, pensando a Luigi Ghirri.
Un linguaggio basso, discreto, quotidiano -per significare vicende spesso tutt’altro che nobili o eroiche- ha unito le proteiformi proposizioni che Kronoteatro ha deciso di inserire nel programma di Terreni Creativi 2019, ad Albenga.
Tomorrow: è il titolo della decima edizione. Un domani che, pare di poter affermare, marcia parallelo a un oggi anti-glorioso (e antigrazioso, direbbe Boccioni): questo, come quello, è guardato con disincantato realismo.
È un paesaggio fragile e dolente, quello tracciato dal programma di Terreni Creativi, privo di riferimenti assoluti, scenario di abbandono (certamente di ideologie, forse anche di speranze): attraversarlo, per artisti e spettatori, è parso il modo di addentrarsi in una forma di pensiero che nella totale instabilità dei luoghi e dei vissuti raccontati ha trovato metaforica conferma della mobilità e della variabilità del proprio incedere.
Un po’ come nel lavoro del fotografo Luigi Ghirri (1943-1992), ciò che è stato dato a vedere a Albenga pare aver privilegiato una dimensione e una concezione di arte come esperienza, rispetto a una meramente formale, oggettuale.
«Fotografare è soprattutto rinnovare lo stupore» scrisse l’artista emiliano nel celebre Niente di antico sotto il sole: arte come concreta occasione, per chi fa e chi guarda, di immergersi nel qui e ora del mondo.
Arte come possibilità di relazione con la comunità: basti ricordare, a mo’ di sineddoche di questa in-tensione, che con sforzo immane rispetto alle ridotte economie di cui dispone il Festival viene ogni anno realizzato in diverse aziende ortofrutticole e vivaistiche della zona: ci sono la pazienza e la fiducia del giardiniere, in questa donchisciottesca e al contempo schiva avventura d’arte o, meglio, di umanità.
Una dolente e asciutta quotidianità intride il tragico smisurato evocato nel bellissimo progetto tripartito Se questo è Levi di Fanny & Alexander, in cui la straniante ferialità di una chiamata Skype è occasione di racconto di vissuti purtroppo meno lontani di quanto si vorrebbe e un eloquio affatto anti-teatrale, puntellato dalle normali pause ed esitazioni dell’autore (ascoltate in cuffia e riprodotte dal protagonista con devota cura) danno corpo e voce alla banalità del male.
La banalità del male, si potrebbe dire per stare ancora un attimo con Hannah Arendt, sarebbe un sottotitolo forse appropriato per la più recente produzione di Kronoteatro, Sporco negro, per il quale vale riportare un frammento del piccolo, prezioso saggio Lo sguardo della gallina dello storico dell’arte Simone Azzoni: «Kitsch è ciò che resta della sospensione del giudizio, dell’analisi, della conoscenza. Kitsch è il gusto che ha sostituito e surrogato la complessità. Kitsch è la semplificazione superficiale la riduzione a feticcio di ciò che non si può possedere. Ma Kitsch è anche contaminazione di alto e basso incrocio di discipline ed elisione ironica della cornice che separa arte e non-arte». Arte e non-arte, vita e non-vita. Significante e significato, «il medium è il messaggio»: tra paccottiglia da supermercato e luoghi comuni, studi televisivi e night club, sguaiatezze e distanziante ironia Sporco negro tende a presentare (più che a rappresentare – Kounellis docet) la ridda di cliché che, normalmente e quotidianamente, fioriscono attorno al tema immigrazione.
Un Outdoor Dance Floor è quello costruito da Salvo Lombardo: introdotto da un’elementare coreografia composta da reiterate linee rette (nello spazio e nel movimento degli arti) e sinuosità (di schiena e bacino), al suono di orecchiabilissime musiche dal sapore sudamericano la proposizione evolve in un «invito al ballo» in cui gli spettatori divengono protagonisti. Come in una normale discoteca, appunto.
Nomen omen: mentre molti artisti urlano ed enfatizzano la propria presenza in scena, con opportuno ed efficace “fuori moda” i Quotidiana.com anche nel nuovissimo Il racconto delle cose mai accadute rilanciano un parlare sommesso, sfumato, non appariscente. Accorta composizione ritmica di consistenze vocali e minimali partite fisiche, lo spettacolo dà forma al consueto intreccio dei monologhi interiori delle due maschere (etimologicamente, dunque, persone) in scena, in questo caso evocanti altrettante Figure note ai più, Cyrano e Nikita. Una ridda di ironiche citazioni anche cinematografiche e sfumati doppi sensi concorre a creare, in una partitura intrisa di controtempi e sincopi eseguiti con precisa asciuttezza, «un delicato equilibrio tra sarcasmo e pathos».
Com’è giusto che sia, l’arte serve anche a scompaginare il già noto: ciò che è consolidato.
Se è vero (ed è vero) che la curatela di un Festival è in tutto e per tutto un gesto artistico e poetico (dunque creatore), il salutare dissesto del fil rouge di quotidiana normalità che ci è parso unire le diverse proposizioni dell’edizione 2019 è stato offerto da Pitecus, storico assolo di e con Antonio Rezza. Sideralmente distante da ogni prevedibilità, questo genialissimo trickster mette in evidenza, per poi far saltare, qualsivoglia ovvietà del consistere comune: con libertà, peculiarità e maestria.
Libertà, peculiarità e maestria: parole appropriate anche a suggerire il lavorio, irragionevole e luminoso, di chi da dieci anni dà luogo ad Albenga a questi discorsi, sul-al-col mondo.
Dire grazie, almeno.
MICHELE PASCARELLA
Terreni Creativi Festival -X edizione – visto a Albenga (SV) dal 9 all’11 agosto 2019 – info: terrenicreativi.it