Edizione numero 44 per la storica manifestazione trentina, con una proposta che intreccia diverse discipline. Ne abbiamo parlato con la Direttrice Artistica Carla Esperanza Tommasini.
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Il claim da voi scelto per queste edizione del Festival, la comunità e le sue connessioni globali, problematizza, credo, almeno tre questioni fondamentali: il rapporto con l’altro da sé, la comunicazione interpersonale e l’esperienza del tempo (lentezza vs velocità). In quali modi ciò che lo spettatore vivrà incarna questi temi?
Certamente il rapporto con l’altro e la comunicazione personale. Per quanto riguarda la terza questione direi che si tratta più della dicotomia vicino-lontano e la relazione che c’è con la diffusione delle informazioni. Viviamo una dimensione interconnessa, un rapporto con le informazioni che è bulimico: alcune notizie ci arrivano in quantità altre, non arrivano mai e spesso ciò che risulta determinante nella selezione dei media è proprio la distanza. Un lavoro come Tierras del Sud di Azkona & Toloza, per esempio, ci mette davanti una questione molto grande come l’impatto delle multinazionali sui popoli nativi della Patagonia, ma molti di noi non ne sanno nulla.
Rispetto alle modalità direi che ne abbiamo di molto diverse tra loro. In alcuni casi lo spettatore assiste a spettacoli in modo più tradizionale, in altri è coinvolto in prima persona: giochi urbani, progetti di partecipazione, un trekking urbano. Sono progetti che a volte integrano la dimensione prettamente artistica e diventano delle vere e proprie esperienze di comunità. Viviamo la dimensione di una piccola città e ritengo fondamentale i rapporti che si intrecciano sul territorio. Questo approccio guida anche la grande sfida sull’inclusività e l’accessibilità al pubblico disabile, che realizziamo grazie a progetti specifici in collaborazione con le varie realtà associative che li rappresentano.
«La scelta artistica è indirizzata alla ricerca di spettacoli capaci di mescolare i linguaggi: immagini, testi, suoni, corpi e oggetti in movimento», si legge nel vostro comunicato stampa. Perché l’ibridazione è un valore, nella vostra visione?
L’obiettivo di essere un Festival è secondo noi quello di rappresentare uno strumento per veicolare modalità innovative, che non troverebbero spazio in una stagione teatrale. Si tratta spesso di progetti che non hanno un contesto vero e proprio e per noi è importante crearlo.
Un Festival è uno spazio speciale, dove si può rischiare, dove ci si può concedere la sperimentazione. Se non qui, dove?
Il programma affianca nomi piuttosto noti e artisti emergenti. Secondo quali principi e modalità operative è avvenuta la scelta dei soggetti da inserire in cartellone?
A guidare la scelta sono una serie di fattori che contribuiscono a creare una drammaturgia del Festival, un percorso di senso.
Nel dettaglio poi abbiamo alcuni strumenti come il bando OPEN e Supernova. Supernova è una novità di quest’anno, uno strumento di scouting dedicato agli artisti emergenti italiani.
OPEN invece è alla sua ottava edizione e quest’anno abbiamo voluto creare una rete di supporto nazionale composta da Zona K (Milano), In\Visible Cities (Gorizia) e/o Contaminazioni digitali (Cormons) e Indisciplinarte/Ternifestival (Terni) ed è aperto ad artisti che operano in Italia e in Europa che abbiano un forte focus sullo spazio urbano.
C’è poi una progettualità triennale, legata al Ministero, che guida anche le mie scelte sulle realtà da andare a conoscere anche all’estero o gli spettacoli da vedere per poi fare la selezione per il programma. Questo non vuole diventare per noi un limite tematico, piuttosto la determinazione di un indirizzo rispetto agli interessi del Festival. Certamente sono più adatti a noi, per il mio modo di intendere questo lavoro, progetti site specific, di partecipazione, di lavoro con il contesto che ci circonda. Inoltre, questo ci dà occasione per trasformare un tema di grande attualità come quello dell’audience deveolopment in qualcosa di estremamente concreto. In programma quest’anno abbiamo per esempio Amour, un inedito pezzo del collettivo romano Dynamis che ha coinvolto amatori del territorio, che unisce qualità artistica alla dimensione partecipativa.
Infine è per noi importante portare qui spettacoli e Compagnie che altrimenti il pubblico non potrebbe vedere.
Puoi suggerire tre titoli per lo spettatore interessato prioritariamente alle storie, ai testi, alla drammaturgia?
Azkona & Toloza con Tierras del Sud, uno spettacolo dal rigore documentaristico che racconta una storia dolorosa che arriva dalla Patagonia. Oh, little man di Giovanni Ortoleva che parla di economia e di come essa sia entrata nelle intenzioni delle persone e dei governi in modo prepotente. Lo fa in modo grottesco, ma certamente fedele. E infine Giuliana Musso, con il suo ultimo lavoro La Scimmia, che arriva in anteprima il 12 luglio.
E tre appuntamenti per gli appassionati di musica e movimento del corpo?
Rispetto alla musica Étouffe, un lavoro del trio Berlanda, Jasinska e Sowa nato dalla volontà di esplorare le potenzialità della musica contemporanea in ambito performativo, collocandosi tra le nuove sperimentazioni di teatro strumentale. Ma anche i più noti Viaggio al termine della notte con Teho Teardo e Elio Germano e Calcinculo di Babilonia Teatri.
Per quanto riguarda il corpo invece Giselda Ranieri, giovane coreografa selezionata quest’anno dalla “Vetrina della giovane danza d’autore” con T.I.N.A., un interessante lavoro che unisce corpo e voce. Infine lo spettacolo di Dante Antonelli, che ha avuto la collaborazione di Salvo Lombardo sulle coreografie, e che propone, oltre a una drammaturgia ispirata ai testi di Mishima, una ricerca dal punto di vista corporeo.
Dal 2012 proponete il progetto No Limits. Di cosa si tratta?
È un progetto nato per garantire accessibilità e inclusione a persone con disabilità sia fisica che sensoriale, realizzato grazie alla collaborazione di diverse realtà associative e cooperative che operano nel campo della disabilità. Durante i giorni di Festival sono messi a disposizione servizi gratuiti per persone con bisogni particolari e diverse abilità. Le possibilità sono diverse: l’accesso al trasporto prima e dopo lo spettacolo, l’audiodescrizione o audiointroduzione per ciechi e ipovedenti, sottotitoli o servizio di interpretariato della Lingua dei Segni Italiana per persone sorde.
C’è un “desiderio progettuale” che non sei ancora riuscita a realizzare, ma che potrà forse vedere la luce in un prossimo futuro?
Mi piacerebbe approfondire quel che già stiamo facendo sul lavoro in urbana. Mi piacerebbe che ci aprissimo anche oltre la città, fondendo le pratiche artistiche con forme di esplorazione del territorio. E infine… immagino una grande parata che coinvolga la comunità.
Per concludere: un buon motivo per uno spettatore curioso per mettersi in viaggio e venire fino a Pergine Valsugana, nei giorni del Festival.
Credo ci siano più di un buon motivo. I primi due che mi vengono in mente: una natura offerta dal territorio di cui approfittare e una programmazione artistica di qualità!
MICHELE PASCARELLA
Pergine Valsugana (TN) – fino al 13 luglio – info: perginefestival.it