Le macchine desideranti di Valter Malosti e Michela Lucenti

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Shakespeare | Sonetti - foto di Umberto Favretto

 

La Stagione dei Teatri di Ravenna ha ospitato, all’Alighieri, Shakespeare | Sonetti, un quintetto di attori e danzatori orchestrato con artigianale, visionaria sapienza.

L’accoglimento della pazzia come elemento ineludibile, anzi vitalistico del mondo è forse il fulcro degli universi di Shakespeare, autore che forse più di ogni altro ha indagato lo sconfinamento in ciò che è altro dalla norma come punctum dell’essere umano: questo assunto elementare pare aver dato origine al magnetico Shakespeare | Sonetti di Valter Malosti, regista, attore e maestro d’attori  che insieme a Fabrizio Sinisi ha adattato per la scena parte dei 154 sonetti del Bardo, dando voce a quelli che più direttamente attraversano i temi dello scorrere del tempo, dell’amore, della bellezza e del desiderio.

Inteso come pulsione di natura emozionale che spinge l’essere vivente alla ricerca di quanto possa soddisfare un bisogno fisico o spirituale, il desiderio presenta una dimensione sfuggente, difficile da definire e misurare. La stessa etimologia del termine – dal latino de-, e sidus, “stella”, letteralmente, “cessare di contemplare le stelle a scopo augurale”, nel senso di trarne gli auspici e quindi bramare – allude più alla distanza tra il soggetto e l’oggetto di desiderio, e al moto dell’animo che li lega, che alla natura dell’oggetto stesso. Ed è proprio l’(incolmabile) interstizio fra il maturo, carnale, clownesco (ma di una clownerie feroce, finanche spietata) Malosti e l’efebico, silente, leggiadro Marcello Spinetta il fil rouge di questo allestimento composto per via scultorea, in sottrazione, in cui i vuoti tra le Figure significano tanto quanto il loro affaccendarsi.

 

Shakespeare | Sonetti – foto di Umberto Favretto

 

I testi sono suggeriti “a vista” via auricolare da Elena Serra, abbigliata e mascherata come la tradizione ci ha tramandato l’icona del Bardo, e restituiti al pubblico da Malosti mediante un microfono “a gelato”: una messa in evidenza del dispositivo e dei cliché normalmente associabili al celeberrimo autore tesa, pare di poter sintetizzare, a raffreddare un contenuto che potrebbe altrimenti risultare eccessivamente “partecipato”.

Vincolato al registro del piacere e del dolore, ciascun individuo tende ad appagare le esigenze primarie e a costruirsi un proprio universo di significati che rimandano alla dialettica natura-cultura: è forse leggibile in prospettiva dionisiaca la possente presenza danzante di Michela Lucenti e Maurizio Camilli, anime del collettivo nomade Balletto Civile. Non nuovi a collaborazioni con Malosti, in Shakespeare | Sonetti danno carne, letteralmente, a testi che guidano, più che evocare, il fare dei corpi. Memorabili un frammento coreografico in cui Lucenti (s)compone lo spazio attorno a sé mediante una precisa, minimale partitura di braccia e polsi e un duetto tra Camilli e il “non danzatore” Spinetta (o meglio: una sequenza coreografica nella quale il primo agisce sul/il secondo) sopra e attorno a un letto calato dall’alto: sincroni e leve, prese ed estensioni, sollevamenti e spinte a suggerire amplessi, desideri, voluttà.

Lo spettacolo è intriso di intelligente, salvifica ironia, termine da intendere, in questo caso, non tanto nell’accezione comune, quanto in quella propriamente socratica di porre una distanza, invero finanche agghiacciante in questo caso, fra il sé che si (rap)presenta e il discorso, in senso lato, che pronuncia. In tal senso vale citare, a mo’ di sineddoche, la lancinante sequenza di brevi risate registrate che punteggia alcuni sonetti particolarmente appassionati che la Figura dedica al giovane (br)amato: patetiche e poetiche pulsioni di «macchine desideranti», seguendo la cristallina definizione coniata da Gilles Deleuze e Félix Guattari quasi mezzo secolo fa.

 

Shakespeare | Sonetti – foto di Umberto Favretto

 

Malosti propone una sintesi squisitamente teatrale dei Sonetti shakespeariani, in una direzione che pare profondamente, anticamente rispettosa dell’autore: «là dove il moderno» citiamo dagli Scritti sul teatro di Nicola Chiaromonte «per nutrire le sue trame mette immagini cinematiche o altri effetti violentemente realistici (i quali invece di condurre la mente verso l’essenziale, la riconducono verso la dispersione quotidiana), Shakespeare mette puramente e semplicemente il vigore della parola poetica».

Una parola-corpo affatto generante, a partire dalla quale lo spettacolo propone un radicale ribaltamento, pienamente antiromantico, letteralmente antiespressivo: «Sii ciò che sembri», incoraggia.

Qui si fa finta, sembrano dire i lustrini del costume da clown, prima indossato e poi tenuto in mano come fosse uno straccio. L’abnorme ciuffo posticcio. Il microfono, i suggerimenti a vista, i parallelepipedi di ferro in fondo scena.

La rappresentazione vince sul rappresentato, il percepito sul sentito: non per annichilire l’identità, ma alla ricerca di un’identità altra.

«Sii ciò che sembri».

Perfetto.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Shakespeare | Sonetti – visto al Teatro Alighieri di Ravenna il 13 febbraio 2019 – info: teatrodidioniso.it, fondazionetpe.it, ravennateatro.com