Art City: intervista a Silvia Fanti curatrice di Oplà

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Silvia Fanti

In occasione di Art City che fino al 4 febbraio invade la città di Bologna, abbiamo intervistato Silvia Fanti, direttrice di Xing e curatrice del progetto speciale dedicato alle performing art Oplà performing Activities, parte del programma di Arte Fiera 2019 sotto la direzione artistica di Simone Menegoi. La sezione dedicata alle live arts presenta quattro progetti caratterizzati da una particolare rilettura degli spazi interni e adiacenti la fiera e dalla lunga durata. Si potranno confidare le proprie esperienze erotiche e amorose davanti a un drink offerto dall’artista Alex Cecchetti, fare un giro sulla Fiat 127 Camaleonte di Cristian Chironi e dialogare con lui sul concetto di abitare intorno alla figura di Le Corbusier, vincere una “caccia all’opera d’arte” su Instagram con Nico Vascellari e portarsi a casa un’opera d’arte in cambio di un’idea creativa partecipando alla bizzarra asta di Cesare Pietroiusti.

Quest’anno il programma di Arte Fiera dimostra una stretta sinergia con gli operatori di Bologna e un particolare programma di azioni performative che sei stata chiamata a curare. Come è nata questa collaborazione?

Mi ha fatto piacere, è in effetti un riconoscimento all’attività che pratico da 30 anni a Bologna nell’ambito delle live arts. Si è subito presentato il dubbio su quanto una fiera possa essere luogo per la performance: ci siamo posti dei problemi che per quest’anno abbiamo risolto tentando di introdurre possibilità altre, partendo dal concetto di durata, e non decorazione.  La riorganizzazione e gli intenti a monte di questa rinnovata edizione di Artcity e Arte fiera hanno reso tutto ciò possibile. Non si tratta di fare ulteriori ricerche ma di scegliere, anche – perché no- rispetto al budget, su quali questioni intervenire e cosa voler dire. Ci sarebbe piaciuto inaugurare un’azione ancor più vasta ed esemplare ma tempi ed economie ridotte ci hanno portato a optare per un programma ridotto ma ricco di senso. Dopotutto, le fiere non sono preparate a raccogliere l’arte dal vivo, e credo che il mio know how, sia a livello di professionalità che di conoscenza del territorio bolognese, sia stato molto utile: in qualche modo, lavorando ormai da anni con Xing a una offerta culturale di questo genere, mi sento garante di un rapporto effettuale con la città e un certo pubblico che segue le live arts e che forse non sarebbe andato spontaneamente a vedere la fiera che ha invece per natura un altro tipo di impostazione. Per ora si tratta di un lavoro che ritengo positivo, credo che tutto ciò debba crescere.

Inserire le live arts in questo contesto di mercato, all’interno di una fiera che punta molto sul rapporto con i galleristi e forse meno alla fruizione “aperta” a tutta la collettività, forse risulta essere un’azione con un pizzico di provocatorietà, al limite del paradosso…

L’arte che cerco e propongo lascia dei buchi, tiene in sospensione e pone delle domande. Il titolo stesso del progetto “Oplà. Performing Activities” è chiaro: mi interessa cosa l’arte fa, non cosa è. Voglio scoprire che tipo di reazione mette in moto. Credo che la provocazione sia un gesto molto diretto, forse anche passato di moda: c’è stato il punk, negli anni ’70 abbiamo avuto artisti che hanno voluto lavorare in maniera provocatoria da un punto di vista ideologico, sì. Qui si tratta di mettere in rilievo altri strumenti di lettura, creazione e disegni della realtà.

In tutti e 4 i progetti emerge l’elemento del coinvolgimento anche emotivo, strettamente personale dei visitatori e un lasciarsi accompagnare (letteralmente nel caso di Chironi e Cecchetti) dall’artista, un elemento che comunque caratterizza gran parte della storia della performance da 40 anni a oggi

Coinvolgimento è una parola ambigua. Ci sono pratiche di artisti come Rimini Protokoll che lavorano su un coinvolgimento disegnato nel dispositivo dello spettacolo o spesso di natura documentaria. In Oplà credo si tratti più di avvicinamento tra artista e pubblico, accostamento forse. Si trovano sullo stesso livello, anche fisicamente: in chiacchiere davanti a un drink con Alex Cecchietti, uno accanto all’altro sulla 127 di Cristian Chironi o in dialogo con Cesare Pietroiusti in cui il visitatore se cercare di essere creativo al punto da convincere l’artista – che in quel momento è il suo pubblico – a vendergli un’opera in cambio di un’idea. Sono certa che questo avviene anche nella caccia “all’opera” di Nico Vascellari: per lui è molto importante la ricerca del singolare, del proprio intuito e identità. In ognuna delle performance c’è una sorta di de-eroizzazione del ruolo dell’artista e uno spazio di scambio e apertura rispetto al fruitore. Si tratta spesso della soggettività della persona che è immersa nell’ambiente, lo legge e lo fa suo, mentre gli artisti non appaiono come leader ma come macchine complesse messe a disposizione, che possono funzionare o meno, lasciando un largo margine di libertà.

Cosa credi sia cambiato nella coscienza degli artisti italiani che lavorano nell’ambito della performance, o forse meglio cosa pensi dovrebbe cambiare o manca rispetto alla scena europea?

La sezione live arts di Arte fiera presenta quest’anno artisti che hanno una formazione visiva e che nel corso della carriera hanno vissuto come un limite rimanere all’interno dei media classici, scegliendo quindi di esprimersi anche attraverso il mezzo fisico. Ciascuno rappresenta una direzione a loro modo esemplare. Per formazione, sono molto vicina al mondo del teatro e danza, che col tempo si è aperto e trasformato in qualcosa che è difficilmente nominabile ma che per comodità chiamiamo performance. In questo caso, le velocità e approcci sono molto diversi: esiste ancora un gap tra le azioni performative inquadrate nel campo delle arti visive e quelle invece riconosciute dal mondo della danza o del teatro. Sarebbe interessante se ci fosse un maggiore intreccio. Con Xing ci occupiamo di visione, presenza e suono, ovvero gli elementi performativi performanti e l’esperienza mi porta a far emergere la problematica dell’assenza di luoghi dove poter praticare questo scambio e incontro tra artisti provenienti da diverse discipline e proporre un palinsesto che possa far cadere definitivamente queste scissioni. Credo siano necessari, in Italia come altrove, luoghi anche informali dove praticare questa vicinanza delle arti dal vivo. Forse, questo gap di contesti è meno marcato all’estero, e forse è dovuto al fatto che in Italia la danza è quella che più fatica a rinnovarsi mentre in città europee come Bruxelles, ricche di strutture che lavorano sull’innovazione, coreografi e danzatori con un certo tipo di formazione prendono molti più rischi allontanandosi dalla loro formazione primaria. In Italia forse bisognerebbe avere più coraggio di sperimentare e sganciarsi da un linguaggio precostituito. 

In quali altri eventi di Art City sarai coinvolta?

Con Arte fiera sto lavorando come Silvia Fanti che chiaramente viene da un’esperienza di curatrice, mentre per Art City e grazie al positivo dialogo con Lorenzo Balbi (Museo Mambo) presento con Xing due progetti. Il primo si svolge in uno spazio poco conosciuto, l’atrio monumentale della Facoltà di Ingegneria. Una singolare architettura del ventennio fascista dai volumi molto ampi farà da contenitore a una forma di teatro immateriale a cura di Florian Hecker, sound artist, scienziato e musicista di computational music. Con un sistema a nove speaker creerà una scultura del suono e sarà interessante spostarsi in questo ambiente che apre la dimensione acusmatica, quindi di ascolto, e in cui l’occhio può nutrirsi dell’architettura e del particolare design della stessa tecnologia usata Sarà presente l’1 in tre fasce orarie (h 12, 19.30, 21.30)
La seconda proposta nasce già due anni fa, selezionato dal Progetto Internazionale Italian Council, e vede protagonista Patrick Tuttofuoco con una scultura luminosa itinerante, esposta prima a Rimini e Berlino e ora a Bologna su Porta San Donato. Una mano di neon verde rappresenta una sorta di “pugno debole”, che è lo stesso dell’artista, e a seconda della collocazione ha voluto dire cose diverse. In questo caso abbiamo deciso di interpretarla come varco e apertura, come semaforo verde che invita al passaggio, contestualizzandola in una città aperta e cosmopolita.

di Alice Murtas

Da venerdì 1 a lunedì 4 gennaio, Arte Fiera Bologna – info: artefiera.it