“Imagine”, il docufilm di John Lennon e Yoko Ono

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E’ tornato nelle sale cinematografiche, rimasterizzato e remixato, “Imagine”, il film-documentario fortemente voluto da John Lennon e Yoko Ono. Pellicola che, a vedere quanto il pubblico nei tre giorni di proiezione fosse assortito, non ha smosso solo nostalgici ex ‘generazione scarafaggi’!

Realizzato in autoproduzione nel 1971 (ma pubblicato l’anno successivo) da una delle
coppie che resta tra quelle più discusse, ancora oggi riesce a dividere gli spettatori
alimentando dibattiti. Pensato per fare da sfondo all’indimenticabile album del beatle meno convenzionale ed a quello, l’assolutamente incredibile “Fly”, della sua consorte, il film sfugge a qualsiasi classificazione. Già l’assenza d’una trama disorienta; i prestigiosi ospiti che vi partecipano con piccoli cameo sembrano lì un po’ per caso; alcune scelte creative
possono risultare stranianti se non…lisergiche; non fosse per la musica, in platea qualche momento di disagio lo si è proprio sentito, e non solo dov’ero io che c’ero.

Eppure trovare una chiave di lettura, indossare l’abito mentale per capirci qualcosa, si può. Al di là dell’aspetto visivo spesso lussureggiante e barocco, insomma un po’ sburone, delle parti girate dentro e fuori la loro villa, John & Yoko creano situazioni sia reali sia oniriche;
queste ultime somigliano ad happening (la preistoria delle odierne ‘installazioni’) d’arte
contemporanea e sono tutt’ora efficaci. La giapponesina, non dimentichiamolo, è da
sempre attivissima artista visuale capace di sfornare idee originali. Curate sia le
ambientazioni sia le messe in scena, precisi i riferimenti simbolici all’attualità del tempo, evidenti i richiami alla fase travagliata di post-scioglimento dei Fab Four. Quindi, prima di far commenti servirebbe ricordare com’era la situazione allora, e poi aver visto qualche altro film dei Beatles per entrare nel loro mood: Lennon conservava comunque un DNA ‘beat’ oltre all’impronta musicale straordinaria tutta sua. Alla regia, l’aspetto tecnico è firmato da Steve Gebhardt.

Le pellicole “Eight days a week” di Ron Howard (2016) e “Sg.t Peppers and beyond” di Alan Parker (2017) aiutano a comprendere “Imagine” chi lo vede avendo meno di 60 anni. Oppure, senza troppa fatica, lo si può pensare come un gran collage di paleo-videoclip. Con una notevole ‘coda’ di backstage inediti in studio di registrazione dove sono musicisti
degli Stones e degli Yes oltre ad un grandioso George Harrison.

Monica Andreucci

“Imagine” -Cinema Eliseo, Cesena 10 ottobre 2018