Si è appena conclusa, sulle colline bolognesi, la sesta stagione di laboratori e spettacoli a cura dell’Associazione Baba Jaga. Qualche riflessione con la Direttrice Artistica.
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Innanzi tutto, a favore di chi non conosce la vostra realtà: cos’è Ca’ Colmello?
Ca’ Colmello è un antico casolare tra le colline dell’appennino in provincia di Bologna, precisamente vicino alla frazione di Sassoleone, e da otto anni sede della nostra associazione, nonché nostra abitazione.
È un luogo speciale, amato.
Abbiamo adattato e ristrutturato gli spazi senza snaturarne l’estetica: una sala di lavoro, un grande camino davanti cui leggere e scambiare parole, un anfiteatro nel calanco. E tanto silenzio, verde e cielo.
È un nido capace di accogliere, è un crocevia di incontri e scambi, è respiro e ricerca.
Un luogo in cui sia adulti che piccini si sentono subito a casa.
Ed è gioia questo attraversare e vivere gli spazi da parte di chi è giunto per uno spettacolo, un workshop o una residenza.
I passi, le voci e i corpi riecheggiano ancora per un po’, quando Ca’ Colmello torna ad essere solo la nostra casa.
Mi piace immaginarla come uno strano polmone che si dilata fino ad ospitare 100 persone, e poi 15 e poi 3… e così via.
Pulsa di vita, sempre. Non solo quella umana, ma anche quella vegetale e animale.
Qui è tutto così vicino e intrecciato.
La natura dona riflessi preziosi per l’ascolto di sé.
Secondo un approccio propriamente elementare, potresti tentare una sintetica definizione dei tre termini che compongono il titolo della rassegna la cui sesta edizione è appena terminata: sottili, innesti e amorevoli?
S.I.A. – Sottili Innesti Amorevoli: questo nome è nato in un periodo di pensamenti e fragilità, in un momento in cui si era prospettata all’orizzonte la possibilità di non proseguire, date le numerose difficoltà, tutt’ora presenti, per sostenere questa rassegna e la nostra realtà.
Poi dentro, interrogandoci, una notte è giunta la risposta… e SIA!
Hanno subito risuonato queste parole: “Sottili”, come qualcosa che si può insinuare, come un filo che nella sua leggerezza può cambiare forma ma cuce, unisce, quindi è forte. Sottili come le relazioni, come qualcosa a cui si deve stare attenti per coglierlo nella sua interezza.
“Innesti” rimanda in parte ad un’immagine rurale, gli innesti degli alberi per crearne di nuovi e farli fruttificare: da due specie diverse ne nasce un’altra: è un’immagine di per sé meravigliosa la compenetrazione, il fondere linfa. Una delle specificità di questa rassegna, giunta alla sesta edizione, è proprio l’eterogeneità delle proposte: dal teatro alla fotografia, dalla danza alla pittura, dalla musica ai racconti di fiabe per bambini nel bosco. Ciò che è sensibile risuona e si contamina su più livelli.
“Amorevoli”: un incontro umano, nella sua meravigliosa diversità, se non si apre all’amore in senso ampio, all’amore dell’ascolto, della ricerca, della contemplazione, dell’offrirsi allo sguardo altrui, lasciando cadere ogni sovrastruttura, non troverà mai scintille luminose. Questo vale, credo, in ogni ambito della vita, nell’arte come nel quotidiano.
Fornire opportunità per superare i dati culturali di partenza e produrre esperienza reale: è corretto sintetizzare in questo modo la vostra pervicace azione culturale?
Il qui e ora, l’esserci perché lo si è scelto e voluto.
Si è desiderato giungere fin quassù, per seguire la ricerca di un determinato artista, o immergersi in uno spettacolo, si sono percorse curve e curve, quasi a perdersi tra orizzonti verdi…
Poi si arriva.
E tutto viene amplificato, dal luogo stesso.
Esiste una forma di resistenza culturale ed etica in questa nostra proposta: nell’esperienza reale accade che i punti di vista e le angolazioni mutino, accade che un sottile scandagliare diventi il rimedio dell’andare stesso, accade che il seminare visioni porti a raccogliere frutti d’invisibile che vibra. Qui sta la meraviglia.
Ancora una volta ti sei assunta la responsabilità di instaurare ciò che Jacques Rancière definisce «regime del sensibile»: un modo di organizzazione delle evidenze che determina il rapporto fra ciò che, in una data epoca o in un determinato contesto (in questo caso: ciò che è avvenuto a Ca’ Colmello nell’estate 2018) è sensibile e ciò che non è sensibile, fra ciò che è visibile e ciò che resta invisibile e -di conseguenza- fra ciò che è enunciabile e ciò che non lo è. Per chiarezza (e per esempio): a Ca’ Colmello il mese scorso si è visto lo spettacolo di Milòn Mèla. Se ne è potuto parlare perché hai deciso di invitarlo. Se così non fosse stato, il gruppo indiano non avrebbe potuto fare il proprio discorso e noi non avremmo avuto modo di dir la nostra sul suo dire. Secondo quale principi o occasioni hai individuato e selezionato i discorsi, artistici e culturali, che hanno composto il programma di quest’anno?
Come sempre mi lascio guidare.
Seguo una bussola sensibile che mi fa seguire tracce, annusare percezioni.
Incontri di vita o desiderati da tempo, incastri di fiducia reciproca e sguardo.
Così si delinea la rassegna.
Per quanto riguarda la programmazione di questa estate, qualche artista lo conoscevo personalmente da vari anni, come Ewa Benesz (attrice del parateatro di Jerzy Grotowski) e la sua ricerca che indaga le pratiche vocali, Chiara Guidi della Societas e il suo teatro sperimentale per l’infanzia, la compagnia indiana Milòn Mèla, il danzatore e maestro di danza butoh Masaki Iwana, l’attore Andrea Lupo del Teatro delle Temperie…
Altri li seguivo da lontano (per esempio la danzatrice Raffaella Giordano di Sosta Palmizi, la fotoreporter Monika Bulaj, l’illustratrice polacca Joanna Concejo, le cantanti As Madalenas, …): nel desiderio di averli ospiti, è accaduta l’epifania dell’incontro.
Per dirla rapidamente e sinteticamente: sembra che il tuo lavoro curatoriale, qui, abbia a che fare con il corpo, da un lato, e con lo spirito (o anima) dall’altro. È così?
Si, sicuramente è stato colto questo aspetto.
Come tenere separate le parti, come obbligarle a un non-dialogo?
Impossibile.
Siamo impastati di anima e corpo, fino al midollo, siamo così fragili e forti nello stesso tempo. Quale membrana li separa, nel tremolio di una responsabilità alla presenza?
Sperimentiamo, scaviamo, tracciamo mappe per destreggiarci, poi le sostituiamo.
La cura nelle azioni e la delicatezza, possono far sì che l’arte incarni la potestà di essere.
Forse è una via possibile.
MICHELE PASCARELLA
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