Il nuovo, bellissimo spettacolo del gruppo faentino è stato preparato ad hoc per la preziosa manifestazione romagnola: una moltiplicazione di senso che fa ben sperare.
Buone notizie (e il cielo sa quanto ce ne sia bisogno, in questo tempo di chiusure e ottusità): il Teatro Due Mondi di Faenza ha preparato ad hoc, per la decima edizione della ruspante manifestazione organizzata da “quelli di Primola” con la regia impossibile di Mario Baldini, C’è ancora un mondo magico?.
Come da programma, abbiamo seguito lo spettacolo in bicicletta partendo dal centro di Cotignola, dalla casa W Nenni e il Socialismo, per arrivare in campagna, fuori dal paese, alla casa dei giusti d’Gigì d’Canavè, luogo che durante il nazi-fascismo fu rifugio di ebrei e altri sfollati.
C’è ancora un mondo magico? è a suo modo uno spettacolo-summa di temi e stilemi del battagliero ensemble: valigie di cartone, fisarmonica, canti corali di matrice popolare (qui interpretati dalle persone del laboratorio Senza Confini), testi in cui la tematica sociale e politica risuona esplicita in voci che li declamano con forza e un’attitudine dichiarativa che si fa Manifesto di un modo di intendere il teatro e, soprattutto, il mondo. Ancora: un solidissimo, rigoroso lavoro d’attore (qui: un frammento dello spettacolo Quelle ragazze ribelli, con l’attrice Maria Regosa a interpretare con piena vitalità la figura di una divertente e commovente staffetta partigiana), l’utilizzo delle musiche a enfatizzare i momenti drammatici, la presenza di migranti e rifugiati di origine africana che in maniera diretta porgono frammenti delle loro biografie come schegge di materiale drammaturgico, l’uso simbolico di materiali poveri (qui: un lungo filo teso a unire le individualità degli spettatori in cerchio e la sagoma dell’Italia composta da valigie di cartone).
Proprio quest’ultima immagine può forse sintetizzare il peculiare segno dello spettacolo: l’intreccio del così lontano e del così vicino suggerendo e rilanciando, come un prisma, una quantità di rifrazioni di passato e presente, che si compenetrano ed illuminano reciprocamente.
Attingendo a piene mani da due libri di Riccardo Ciavolella, L’etnologo e il popolo di questo mondo e soprattutto Non sarà mica la fine del mondo, lo spettacolo prende le mosse da una vicenda poco conosciuta: la presenza a Cotignola per un anno abbondante, dal ’43 al ‘44, proprio nella casa W Nenni e il Socialismo da cui lo spettacolo è partito, di Ernesto de Martino, autorevolissimo antropologo napoletano giunto in Romagna per star vicino alla moglie, di padre ebreo, e per lavorare con tranquillità a uno dei suoi studi più importanti, Il mondo magico. Poi, come è noto, tutto cambia: Linea Gotica sfondata, Cotignola che diventa la “Cassino del nord” e il professore che scappa attraverso un buco nel muro, in bicicletta. Per qualche tempo si rifugia nella casa dei giusti d’Gigì d’Canavè, poi la sua fuga continua.
Dopo alcune intense letture e un canto in mezzo a una radura, quando in bicicletta giungiamo nell’aia della casa ad attenderci ci sono Malik Sy Savane, Toure Chamwill, Ismael Fousseni, Jan Noel Lessou, Ladji Traore, Sissoko Mohamed, Konate Mamodu, Mounirou Souane e Ibrahim Fanny, non-attori migranti con cui il Teatro Due Mondi da tempo lavora in diversi progetti e azioni.
La loro presenza gioiosa, i loro racconti diretti e netti, il loro darsi al lavoro pongono una fonda e ineludibile questione allo sguardo dei presenti, investiti di un’inaspettata responsabilità nel gioco dei ruoli oppressi/oppressori che si pone alla base di questa relazione teatrale: facile condannare i “nazi-fascisti cattivi” che settant’anni fa perseguitavano gli ebrei, meno facile porsi, oggi, in una postura di reale accoglienza dei nuovi sfollati, dei nuovi perseguitati.
Il limpido, feroce, geniale parallelo istituito dal regista Alberto Grilli è la vera cifra estetica dello spettacolo: questo aggettivo, etimologicamente, viene ora usato come opposto di anestetico, non di inestetico. Esperienza estetica, come l’origine filosofica della disciplina vorrebbe, da intendersi come accadimento che sveglia, non come qualcosa “bello da vedere” (e sappiamo quanto scivolosamente soggettivo sia, il termine “bello”).
Detto altrimenti: da anni alla crisi dei saperi istituzionali rispondono scrittori, giornalisti e sociologi reporter, che si pongono con attitudine da «storici immediati del reale», ad essi da tempo si aggiungono i teatranti (come non pensare al Living Theatre?), ad intrecciare la cronaca alle identità dei performer, ricavando da tali «riporti teatrali del vivere» orizzonti di conoscenza da esplorare e condividere.
Con attitudine pasoliniana (coniugando visione poetica, lucidità concettuale e acquisizione del reale così com’è: facce, corpi, periferie e cose), lo spettacolo del Teatro Due Mondi elabora narrativamente e in senso performativo sineddochi concrete del mondo reale.
Sineddoche: una parte per il tutto. Cioè il mondo. Cioè la nostra responsabilità verso di esso.
Il Teatro Due Mondi, con visionario rigore, ancora una volta ci indica una strada possibile.
Dire grazie, almeno.
MICHELE PASCARELLA
PS per alcune nozioni qui utilizzate sono debitore a Gerardo Guccini, storico del teatro dell’Università di Bologna, e alla sua lieta sapienza.
PPS la decima edizione dell’Arena delle Balle di Paglia continua fino al 24 luglio. Tra le molte meraviglie di questi giorni: i mille colori della Classica Orchestra Afrobeat, il rap colto e potente di Murubutu e di Moder, i musei sentimentali di Antonio Catalano e il nuovo magnetico spettacolo di Dewey Dell. Siamo fortunati.
Visto all’Arena delle Balle di Paglia di Cotignola (RA) il 19 luglio 2018 – info: teatroduemondi.it, primolacotignola.it