Mostre come questa, diciamolo pure, capitano di rado in Italia. Parliamo della personale di Teresa Margolles inaugurata al PAC di Milano lo scorso 28 marzo, tra gli eventi da non perdere della appena trascorsa art week milanese. Classe 1963, messicana, Teresa Margolles è un’artista concettuale la cui ricerca si muove tra video, fotografia e performance. Nella sua arte, con un crudo realismo e un’estrema puntualità che derivano dalla sua formazione da patologo forense, Teresa racconta l’orrore e la violenza del Messico, il dolore delle donne vittime di abusi, le conseguenze del machismo spinto oltre ogni limite. Un oggetto, un’immagine, un lieve sibilo. I suoi lavori sono piccoli indizi da seguire per scoprire una storia, un vita, un dolore. Ci si trova testimoni di un delitto, di una vita mancata, si soffre. Tanto. Ed è proprio l’empatia l’effetto più grande che Margolles riesce a ricreare e nel quale si coglie la grandezza della sua arte.
In Ya basta hijos de puta la sua attenzione è rivolta quasi esclusivamente su Ciudad Juárez, città messicana simbolo del femminicidio che al 1993 a oggi, vanta il triste primato per il cospicuo numero di giovani donne morte o scomparse nel nulla. Il grido d’allarme è chiaro fin dal principio della mostra. In Pistas de Baile (2016) l’immagine di decine di transessuali ritratti sulla pista da ballo (o quel che resta) di vecchi locali notturni oggi in disuso o demoliti, ci costringono a vedere l’anello debole di questo fenomeno, le transessuali la cui scomparsa non è nemmeno denunciata, corpi che nessuno reclama. Una denuncia che si ritrova anche in Karla, Hilario Reyes Gallegos (2016) installazione sonora in cui l’artista ricorda l’assassinio della transessuale che aveva conosciuto e ritratto cinque mesi prima avvenuto nella totale indifferenza. Il blocco di cemento, ai piedi della sua immagine, è lo strumento del suo martirio. Il secondo nome nel titolo, è quello di battesimo di Karla, ridandole così quella dignità di essere umano che la sua condizione le aveva negato.
In La busqueda (2014) otto pensiline, giganteschi objets trouvés prelevati dai bordi delle strade di Ciudad Juárez, espongono sui loro vetri sporchi i manifesti per le ricerche di alcune delle ragazzine scomparse nel nulla, che presto però si sono rivelati per quello che sono, ovvero degli strumenti inutili se non come pezzi di carta su cui scarabocchiare nell’attesa del tram che puntuale passa, con un rumore assordante e una vibrazione che ti coglie di sorpresa, metafora di quel “tutto scorre” che è l’essenza del nostro vivere quotidiano. Joyas è una macabra gioielleria in cui Margolles espone una collezione di preziosi – anelli, bracciali, ciondoli, orecchini – indossati dalle vittime e dai signori del narcotraffico sudamericano. Alla sua precedente attività di medico forense si legano fortemente lavori come 57 cuerpos (2010), un’installazione minimalista, un semplice filo lungo 21,9 metri, composto da 57 pezzi residui dei fili utilizzati per ricucire i corpi durante le autopsie, e ancora l’imponente Vaporización (2001- 2018), una sala avvolta dalla nebbia, acqua disinfettata e nebulizzata nella quale sono stati precedentemente immersi i lenzuoli usati per avvolgere persone morte in Italia nell’ultimo anno a causa di violenza.
Drammatica e lirica, Ya basta hijos de puta è di sicuro una mostra di cui rimarrà traccia.
Info, orari e costi: pacmilano.it/