“Il senso della vita di Emma” di Fausto Paravidino

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Fausto Paravidino (autore del testo, regista ed attore) definisce la sua opera come un romanzo teatrale in due parti. Del romanzo ha sia l’ampiezza della vicenda narrata (la storia di una famiglia, dai tardi anni Sessanta ai giorni nostri, vista attraverso la figura di Emma, una ragazza misteriosamente scomparsa), quanto il ritmo lento del racconto (lo spettacolo ha una durata di circa tre ore, equamente divise nelle sue due parti).

La prima scena è ambientata ai giorni nostri. Siamo all’inaugurazione di una mostra di arte contemporanea. Tra le opere esposte spicca il ritratto di una giovane donna. È lo stesso che, entrando nel teatro, abbiamo visto raffigurato nelle locandine dello spettacolo. Capiamo subito che si tratta del ritratto di Emma. Alcune persone, ritratte con toni caricaturali (l’esperto di arte, con spiccato accento napoletano, una signora dai modi aristocratici, una giovane intenta ad immortalarsi in fugaci selfie) si interrogano sul significato dell’arte contemporanea e, più nello specifico, su questo ritratto. La domanda con cui si chiude il prologo è: “Quanto dobbiamo sapere del soggetto per apprezzare l’opera?”.

Di questo soggetto parla l’intero spettacolo. Durante la prima parte Emma è continuamente evocata, ma di lei quello che appare è solo il mistero della sua scomparsa. Con continui salti temporale dall’oggi al passato e con toni lievi ed ironici, viene ricostruita la storia della sua famiglia (a fare da spalla, gli amici che poi costituiranno una seconda famiglia). Due ragazzi si incontrano negli anni ’60: lei è l’intellettuale, studia all’università e diventerà un’insegnante, lui vive alla giornata, appassionato di caccia e diventerà un tassidermista. Un po’ casualmente si mettono assieme e lei, quasi subito, rimane incinta.

Il contesto è quello degli ideali e delle illusioni rivoluzionarie del periodo. Il comunismo, e poi la critica da sinistra al partito comunista, si respira nell’aria. Con la nascita dei figli, inizia l’epoca delle disillusioni. Che coincide anche con la fatica, sempre più pesante, di portare avanti una vita diversa da quella desiderata, anche se resta vivo l’affetto per il proprio compagno e per i figli. Questa fatica è condensata metaforicamente in un episodio, attorno al quale è costruita l’intera prima parte: Emma sta per nascere, e la madre, poco prima del parto, abbandona il marito e gli altri due figli e trova rifugio dagli amici.

La seconda parte dello spettacolo racconta il periodo successivo alla nascita di Emma. Qui il motivo conduttore è la sua misteriosa fuga. Emerge il ritratto di una ragazza inquieta e fragile che, in un clima culturale e politico di riflusso, continua rabbiosamente a contestare l’ordine delle cose, in particolare impegnandosi nelle battaglie per la difesa dell’ambiente, fino a perdersi in una deriva autodistruttiva (che ricorda, per alcuni versi, la vicenda raccontata da Philip Roth in Pastorale americana). In questa seconda parte il racconto perde l’efficacia e la capacità di coinvolgere il pubblico che invece aveva la prima parte. Anche gli attori che impersonano alcuni dei nuovi personaggi risultano meno brillanti, anche se va comunque segnalato l’apprezzabile volontà di coinvolgere alcuni attori alle loro prime esperienze (ad affiancare Paravidino in scena, vi sono anche alcuni attori della Compagnia Regionale 2017, iniziativa del Teatro Stabile di Bolzano che ha prodotto lo spettacolo, il Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento e il Coordinamento Teatrale Trentino, volta a dare vita ad una compagnia teatrale professionale della regione Trentino Alto Adige). Nell’insieme quindi il progetto ambizioso ed impegnativo dell’attore e regista ligure non può dirsi pienamente riuscito. Anche se gli va riconosciuto un merito, quello di offrire al pubblico delle diverse generazioni la possibilità di riflettere (anche con molti elementi di immedesimazione) su alcuni passaggi della nostra storia collettiva di questi ultimi decenni.

Infine, da segnalare il convincente minimalismo delle scenografie: i personaggi si portano dietro sedie e altri pochi oggetti, quali semplici elementi di scena per organizzare una scenografia mobile. Fanno parziale eccezione a questa impostazione, le ampie strutture per l’ambientazione della galleria d’arte contemporanea nelle scene a prologo delle due parti e ad epilogo dello spettacolo.

di Dario Zanuso e Aldo Zoppo

Visto al Teatro Bonci di Cesena il 4 febbraio 2018