Dal concerto inaugurale della stagione concertistica del “La Soffitta“, organizzata in collaborazione con l’Associazione culturale “Il Saggiatore musicale”, è passato neanche un giorno e con la musica e le note che aleggiano nella mente, mi appresto ad incontrare il Maestro Cosmin Boeru. L’appuntamento è in un Cafè del centro storico di Bologna. Passa poco dal nostro incontro e ci diamo subito del tu. Inizia a raccontarmi di sè.
«Sono un pianista di origini romene, la mia fortuna è stata quella di nascere in una famiglia di musicisti così, sin dall’età di tre anni, ho potuto vivere con la musica classica. Andavo a sentire tutti i concerti di mio padre – violino di spalla di un importante orchestra romena -, ricordo che sedevo in prima fila, a quell’età, naturalmente capivo poco, ma ero rimasto affascinato da questo mondo della musica e, naturalmente, concerto dopo concerto, cresceva in me il desiderio di essere, in futuro, presente su una scena analoga. Come da tradizione di famiglia, ho cominciato i miei studi con il violino; nonni violinisti, papà violinista, mamma violinista. Tre generazioni di violinisti. In Romania c’è questa forte tradizione del violino, e del violino zigano, che deriva anche dall’Ungheria, dove si suona la ciarda. Non poteva essere altrimenti, sono cresciuto con la musica classica in casa, mia madre era direttrice di coro e insegnava chitarra».
Deduco che i tuoi primi maestri sono stati i genitori. «Esatto. Considera che in Romania c’è una forte cultura e tradizione russa, di conseguenza anche l’insegnamento è molto rigido e già da giovane avvertivo l’esigenza di non volere che i miei genitori fossero i miei maestri – quando studiavo si alternavano nell’insegnamento, usciva uno dalla stanza ed entrava l’altro – e così, da quel momento, il pianoforte ha iniziato ad essere un’alternativa al violino, lo vedevo come uno svago e dopo neanche un anno non c’è stato verso, mi ha conquistato».
A che età hai iniziato a suonare il pianoforte? «Presto, all’età di cinque anni ho iniziato a suonare il violino e all’età di sei anni mi sono dedicato allo studio del pianoforte. In principio come scappatoia, perchè studiare il violino da giovane è molto duro, all’inizio non suona, ha tante corde libere; mentre il pianoforte andava, mi divertivo».
Devo farti i miei complimenti, nell’esecuzione di “Ondine”, il brano di Maurice Ravel, sei riuscito a trasporre la sensazione del “fluttuare nell’acqua”. «Grazie. Difatti Ondine è una sirena e si trattava del canto di una sirena accompagnato dalle onde dell’acqua. Tutto il pezzo dura sei minuti, l’acqua è raffigurata dalle cascate di note. La difficoltà nell’esecuzione non sta nel “miliardo” di note che si susseguono ma è nel come far suonare il pianoforte per rappresentare l’acqua e la natura; occorre il lavoro anni, 10, 20, 30 anni di studi».
Il programma è stato impegnativo, hai aperto il concerto con Ravel. «Sì, Ravel assorbe, ci vogliono molte energie. Difatti, dopo un concerto così la musica continua a ripetersi ininterrottamente nella mente, non riesci a staccare. Ripensi anche ai passi che non hai eseguito così come li avevi in mente. Perché ci lavori per mesi, quasi anni. Per esempio, questo di Ravel lo suono da 20 anni, l’ho ripreso adesso, con una grande pausa di 8-10 anni, ma quando lo riprendi fai tutto un lavoro nuovo».
E’ sempre un rinnovarsi, quindi. «Sì, tu cambi come persona, cresci, nella musica hai altre priorità». E tutto ciò ti fa sentire la musica diversamente rispetto al passato? «Si, assolutamente. Dai molto meno importanza a certe cose. Lo studio e la tecnica rimangono. Ora nell’esecuzione prevale il sentimento, la capacità espressiva».
A che età ti sei dedicato alla carriera concertistica? «Abbastanza presto. Ho fatto il mio primo recital a Timsoara all’età di 10 anni e li ho avuto come insegnate la più famosa ma anche la più severa della Romania. Ricordo ancora il mio debutto in una bellissima sala. Indossavo un frac azzurro fatto su misura e suonai Mozart. Del concerto fecero una registrazione in VHS, ero emozionatissimo, la spedii ai miei genitori che in quel momento si trovavano in Italia. Da li a poco li raggiunsi con mia sorella, era il 1991. Ora da 15 anni vivo a Colonia, dove insegno pianoforte nella Musikhochschule, il livello di preparazione degli studenti è altissimo. Prima di trasferirmi in Germania per studio sono stato a Valenzia per tre anni».
Un vero talento, “giramondo” e poliglotta immagino. «Per studio i sacrifici si fanno. Si, parlo 7 lingue: romeno, italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo e catalano. Girando tanti paesi è stato facile impararle e poi da noi, in Romania, leggevo molto in francese perchè nei circoli culturali si parlava in francese. L’italiano è facile, mia mamma amava molto l’italia, tant’è che poi si è trasferita per viverci».
Al concerto mi hai impressionata per la tecnica. «Per la tecnica devo ringraziare la mia insegnante, Christa Butzberger, che ho avuto tra i 12 ed i 19 anni, è una persona eccezionale, lavora tantissimo sul modo di suonare naturale il più possibile, senza creare nessun attrito, nessuno sforzo inutile “che sia tipo show”, il tutto focalizzato a risaltare il suono e quello che c’è in una partitura, utilizzando anche la tecnica naturale della forza di gravità. E questo ti consente di suonare senza lacuno sforzo ottenendo il massimo risultato».
Come nelle arti orientali? «Esatto, judo, zen, yoga, sinonimi di metodo e disciplina che mi hanno indirizzato le energie in senso costruttivo, permettendomi, così, di crescere; perchè poi il vero lavoro lo devi fare tu, è facile fuorviarsi soprattutto girando tanto e abitando in tanti paesi come ho fatto io per lavoro».
Programmi concertistici futuri? Dove ti porterà la musica? «In Germania faccio molta musica da camera, è una cosa che amo e che ho fatto sin da giovanissimo, accompagno spesso un paio di violinisti molto bravi. Ora sto seguendo un bel progetto in Toscana dove con un amico stiamo fondando un centro musicale nuovo e li sono vice direttore. In Italia manco oramai da 20 anni e mi piacerebbe riprendere il contatto e venire più spesso per suonare, per me è una seconda casa, ci sono cresciuto e qua vive la mia famiglia».
Il tuo compositore preferito? «Mozart, con la sua forza emotiva musicale, mi ricarica continuamente, potrei suonarlo per giorni».
Ci salutiamo con la promessa di rivederci presto. Anche perché un talento così, con il “cuore italiano”, avrà pure qualche difetto da poter essere raccontato.
Lara Congiu