Tre punti.
Uno.
Di chi stiamo parlando.
Romeo Castellucci nasce nel 1960 a Cesena. Si diploma in Pittura e Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 1981 insieme a Claudia Castellucci e a Chiara Guidi fonda la Socìetas Raffaello Sanzio. Da allora realizza numerosi spettacoli come autore, regista e creatore delle scene, delle luci e dei costumi. Noto in tutto il mondo -i suoi lavori sono stati presentati in più di cinquanta nazioni- come autore di un teatro «fondato sulla totalità delle arti e rivolto a una percezione integrale», ha anche scritto diversi saggi di teoria della messa in scena, che percorrono il cammino del suo teatro. Le sue regie propongono «linee drammatiche non soggette al primato della letteratura», facendo del teatro un’arte plastica, complessa, ricca di visioni. Il suo lavoro è regolarmente invitato e prodotto dai più prestigiosi teatri di prosa, teatri d’Opera e Festival di tutto il mondo.
Due.
Di cosa stiamo parlando.
La democrazia in America, liberamente ispirato all’omonimo saggio pubblicato nel 1835 dal francese Alexis de Tocqueville, considerato il padre della sociologia moderna. Sulla scia delle impressioni raccolte durante un viaggio che lo stesso de Tocqueville compì nel “nuovo” continente, La democrazia in America è diventato un testo classico della riflessione politica moderna e contemporanea, nel quale emergono luci e ombre della forma di governo che vede il popolo sovrano e rappresentato dai suoi eletti; un modello che nacque nell’antica Grecia, di cui Tocqueville preconizza persino gli sviluppi più nefasti. «Questo lavoro -dichiara il regista- è composto di una serie d’immagini eterogenee, solo apparentemente unite dal tema che, per differenza, le ispira: la democrazia della razza umana. Va subito detto, però, che lo spettacolo non vuole essere una riflessione sulla politica quanto, semmai, una sua conclusione».
Tre.
Commento.
«Scansati abitudinario del teatro», scriveva Claudia Castellucci nel testo-manifesto Santa sofia. Teatro khmer un quarto di secolo fa. «Qui non ci sono immagini per te».
Detto altrimenti: prova a guardare a questa opera non per quel che vuole dire, non per il messaggio che eventualmente porta, ma come forma che vale in quanto tale, «macchina di significanti puri».
E non c’è niente da capire, cantava Francesco De Gregori.
Detto questo.
Democrazia in America è uno spettacolo che propone ciò che da Romeo Castellucci ci si aspetta: immagini perturbanti e riferimenti meta-linguistici.
Tutto decisamente ben costruito.
Ma nulla di nuovo.
Le immagini che Romeo Castellucci crea in questo spettacolo sono molto belle, si potrebbe obiettare.
È vero. Ma considerando il “livello produttivo” di Democrazia in America (spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio realizzato in coproduzione con partner di mezzo mondo: deSingel International Artcampus, Wiener Festwochen, Festival Printemps des Comédiens à Montpellier, National Taichung Theatre in Taichung a Taiwan, Holland Festival Amsterdam, Schaubühne-Berlin, MC93 – Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis à Bobigny con Festival d’Automne à Paris, Le Manège – Scène nationale de Maubeuge, Teatro Arriaga Antzokia di Bilbao, São Luiz Teatro Municipal di Lisbona, Peak Performances Montclair State University – NJ-USA e con la partecipazione di Théâtre de Vidy-Lausanne e Athens and Epidaurus Festival) forse non basta.
È come dire: se ho una Fiat Panda vecchia di quindici anni sono già contento se si accende. Se ho una Ferrari nuova di zecca il fatto che vada in moto non è sufficiente.
Dunque: vedere uno dei grandissimi nomi della ricerca teatrale mondiale riproporre modi e mondi che di lui già conosciamo, per quanto ben fatti, è un po’ una delusione.
Il rischio del manierismo è dietro l’angolo.
Detto questo, chi non ha mai visto gli spettacoli di Romeo Castellucci se può vada, e di corsa: come salutare esercizio di libertà.
MICHELE PASCARELLA
Visto all’Arena del Sole di Bologna l’11 maggio 2017 – info: arenadelsole.it