Lo spettacolo dal vivo, si sa, è oggetto tanto sfuggente quanto complesso: spesso ciò che è mostrato al pubblico è solo “la punta dell’iceberg” di un progetto articolato, i cui elementi sono spesso imperscrutabili ai più. Nel caso del dittico prodotto dal Teatro Comunale di Bologna pare opportuno sottolineare la luminosa intuizione che ha intrecciato la tragédie lyrique La voix humaine (musica di Francis Poulenc su libretto di Jean Cocteau) e il celeberrimo melodramma Cavalleria Rusticana (musica di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci dal dramma omonimo di Giovanni Verga).
La regia di questo dittico “della gelosia” è stata affidata a Emma Dante, artista che ha impresso all’insieme una progressione lineare: da contenimento a piena espressione degli stati d’animo, da immobilità a frenesia cinetica, da lacerazioni interiori a grandi drammi collettivi. E, da un punto di vista linguistico, da naturalismo a stilizzazione.
Le scene di Carmine Maringola e i costumi di Vanessa Sannino hanno fornito un appropriato contrappunto a questa gradualità, muovendo da un dispositivo scenico freddo a uno caldo, aggettivi qui utilizzati nell’accezione proposta da Marshall McLuhan: vale forse ricordare che per il sociologo e filosofo canadese “freddi” sono i medium a “bassa definizione” (che richiedono una “alta partecipazione” dell’utente per riempire, completare le informazioni non trasmesse), mentre “caldi” sono quelli caratterizzati da un’alta definizione e di conseguenza da una scarsa partecipazione richiesta/necessaria. Un’articolazione che ha caratterizzato, appunto, il dittico bolognese.
Ne La voix humaine, sia detto per chi non se ne intende, una donna intrattiene, tra molte interferenze, una dolorosa conversazione telefonica con il proprio amante (di cui non si ode la voce). Anna Caterina Antonacci gestisce la complessità di questo ruolo (per dire: al cinema nel 1948 c’è voluta niente meno che Anna Magnani diretta da Roberto Rossellini, per essere all’altezza di questa figura) con precisa misura e elegante equilibrio vocale e interpretativo tra detto e non detto, espresso e trattenuto, vissuto e immaginato. Emma Dante la sostiene, in questo senso, contornandola di attori con funzione straniante e narrativa, simbolica e descrittiva: coppie danzanti, infermiere glaciali e medici ammalianti fanno da correlativo oggettivo, per dirla con Eliot, al progressivo sprofondamento nella follia della protagonista.
In Cavalleria Rusticana, la cui vicenda come è noto si svolge nella piazza principale di un paesino siciliano nel giorno di Pasqua, Emma Dante dà corpo a un immaginario che evidentemente le si confà. Decisamente espressivi gli spostamenti collettivi delle decine di corpi in scena (coreografie di Manuela Lo Sicco), a evocare le vicende di Turiddu, Lola, Alfio e Santuzza. L’allestimento è intessuto di rimandi al mondo del cinema, Pasolini in primis. Se si considera la citazione l’inserimento di elementi esterni in un proprio discorso, allo scopo di nutrirlo e rinnovarlo, pare perfettamente sintetica la riflessione dell’estetologo José Jiménez: «L’esperienza artistica è qualcosa di totalmente individuale, come l’amore o la solitudine. Una freccia che l’individuo scaglia mettendo in pratica una proposta, e che arriva al suo obiettivo solo se alcuni dei suoi significati raggiungono un altro individuo, che si appropria di essi e li ricrea. Solo allora il colpo va a bersaglio».
A giudicare dal caloroso apprezzamento del pubblico in sala Emma Dante ha fatto centro, ancora una volta. E, con lei, tutto il Comunale.
MICHELE PASCARELLA
Visto al Teatro Comunale di Bologna il 9 aprile 2017 – info: tcbo.it