Kunsten festival des arts> Bruxelles 2017 # 2. The Absent Museum

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Oscar Murillo

 

All’interno del Kunst Festivaldesarts ho avuto il piacere di rientrare nel centro d’Arte Contemporanea Wiels, col quale collaboro di tanto in tanto e che si trova nel quartiere verde di Forest. Un antico birrificio di 6 piani. Ad ogni piano una sala espositiva. Da tempo si parla di progetti di ristrutturazione e riconversione ad uso culturale di edifici di archeologia industriale. Un filone che mi ha da sempre appassionato, portandomi a visitare innumerevoli edifici di questo genere, e devo dire che il Wiels stupisce per il rigore della ristrutturazione che ha conservato per lo più la struttura del birrificio. Un luogo vivace frequentato da artisti, studenti di belle arti e famiglie. Un luogo che è sì un museo, ma che è soprattutto un vivace centro di attività culturali rivolte a pubblici differenti. Un museo dall’aria amichevole, dove si può sostare a tempo indeterminato nel bar ristorante, senza per forza visitare la mostra, e consumare una birra a soli 3 euro. Il Wiels è inoltre propulsore e ideatore di progetti che escono dalle sale espositive per invadere la città. Come nel caso del bellissimo festival dal nome bizzarro e straniante Super mouche, che ogni anno organizza nel parco adiacente di Forest. In occasione del festival questo enorme parco viene letteralmente invaso da circa 200 artisti contemporanei che vengono invitati a mettersi al livello dei bambini, proponendo laboratori, atelier, performance itineranti per un’intera giornata. Sistema di relazioni dunque come dovrebbe essere ogni luogo dove si vuole praticare la cultura.

Dunque in occasione del Kunst, il Wiels ha deciso di interrogarsi sul suo futuro e per farlo ha invitato artisti che gli sono legati, provenienti da tutta Europa. Il risultato è  un’esposizione dal titolo The absent museum che interroga il ruolo dei musei nel panorama attuale della cultura. Malgrado il fatto che i Musei, e soprattutto quelli dedicati all’arte contemporanea, restano sorprendentemente assenti dal dibattito pubblico, essi propongono comunque questioni di grande attualità a Bruxelles come nella maggior parte delle altre capitali europee. Le discussioni intorno alla creazione di un nuovo museo si concentrano generalmente sugli edifici da realizzare o ristrutturare (contenitori) o sulle collezioni, ma evitano le questioni fondamentali. Cosa fare all’interno del contenitore-museo? Quale contenuto e quali conoscenze un museo deve trasmettere? Perché il Wiels che non ha affatto lo statuto di museo, è comunemente designato come il museo Wiels? Nel corso dell’ultimo decennio si è costruito una buona reputazione grazie al suo programma impegnato e critico. Ecco perché per festeggiare il suo decimo compleanno,  elabora un’esposizione temporanea sulla prefigurazione di un futuro Museo d’Arte Contemporanea per la capitale d’Europa. In questa esposizione speculativa vi sono opere preesistenti e nuove produzioni di artisti contemporanei che sono stati chiamati a cartografare le sfide alle quali i musei sono chiamati a rispondere. Dunque quali questioni pressanti un museo dovrebbe porre all’attenzione del pubblico? Quali lacune nelle collezioni museali dovrebbero essere colmate? Quale storia nuova, alternativa dovrebbe essere raccontata? Quali identità meriterebbero di essere rappresentate? I 47 artisti in mostra che cercano di rispondere a questi interrogativi, sono stati scelti da una regione ipotetica che si estende intorno a Bruxelles che va da Amsterdam a Parigi, passando per Colonia, Dusseldorf e Londra.

 

Marlene Dumas

 

Come mi capita spesso, quando visito una mostra, ho percorso l’esposizione lasciandomi condurre dal mio intuito, ovvero concentrandomi solo su alcuni artisti che hanno catturato il mio sguardo e sedotto la mia immaginazione. Il primo della lista è Oscar Murillo, un giovane artista colombiano che abita a Londra. Nelle sue opere le idee e i materiali cambiano e si evolvono da un progetto all’altro ponendo delle domande sul ruolo dell’artista, sull’importanza della tecnica e delle competenze. Leggo nella sua presentazione che questa particolarità risale ai primi giorni della sua attività, quando egli installò una tela sul suolo del suo atelier, organizzò una festa presentando poi le tracce lasciate durante questa serata come una pittura su tela. Il suo approccio espansivo permette alle altre persone, spesso membri della sua famiglia allargata, di prendere parte al suo processo creativo. La sua filosofia dell’ospitalità è indissociabile dal suo interesse per la formazione dei gruppi sociali e la divisione del lavoro. Per The absent museum Murillo presenta la sua installazione Risorse umane: una serie di personaggi vestiti di tutto punto a grandezza naturale con teste in cartapesta. Ricordano i pupazzi fabbricati in occasione delle fiere popolari o delle processioni che poi vengono bruciati. Abbigliati come operai, questi personaggi si ritrovano seduti su delle gradinate faccia a faccia con il pubblico. Questa installazione evoca uno spazio di discussione, un luogo di assemblee sindacali e il pubblico è invitato a prendere la parola. Leggo sull’opuscolo di presentazione che durante l’esposizione un testo sarà letto, riprendendo le parole del padre dell’artista, che racconta la sua esperienza come delegato sindacale in Colombia, come prigioniero a Panama e come richiedente asilo a Londra. La lettura del testo verrà fatta in più lingue in modo da sottolineare l’universalità del tema esplorato. L’intento di questa opera è quello di  connettere le esperienze personali del padre ai movimenti e alle lotte più allargate.

Sammy Baloj, è invece un artista di origine congolese, nel corso dell’ultimo decennio è diventato uno dei principali osservatori e porta parola dei cambiamenti nella società e nell’arte dell’Africa subsahariana. La serie Memoria si compone di montaggi di immagini dove i differenti episodi di un processo storico appaiono simultaneamente in un’unica fotografia. L’epoca coloniale con la dominazione dei bianchi e la sottomissione delle popolazioni nere indigene, il declino economico dopo l’indipendenza e il rinnovamento industriale attuale sotto il controllo neocoloniale dei paesi europei sono i temi trattati da questo artista. Le rovine industriali che appaiono nei suoi lavori, sono state fotografate a Lubumbashi luogo di nascita di Baloj e capitale della provincia di Katanga nella Repubblica Democratica del Congo. Nel corso del periodo coloniale, il Katanga era una delle province più ricche e più industrializzata del Congo Belga. Questa industria è in gran parte di scomparsa, ma le tracce ne sono ancora visibili dappertutto. Le fotografie anonime di questi edifici industriali, che sono state il punto di partenza di questa serie, provengono da archivi di fabbriche, imprese, organizzazioni e sono i soli documenti che testimoniano dell’esistenza e del destino dei lavoratori congolesi. Baloj le inserisce nelle sue opere, mettendo così in discussione l’ideale razionalista del Progresso.

Marlene Dumas, nata a Capetown in Sud Africa vive e lavora ad Amsterdam. Nel suo lavoro pone l’attenzione sulle persone marginalizzate o escluse e più in generale sul tema della discriminazione e dell’esclusione sociale, del disadattamento e dell’impossibilità di soddisfare le attese della società. Questi temi li affronta piuttosto in maniera indiretta che provocatoria, costruendo scene quasi realiste e immagini tratte dalla memoria collettiva. The widow è ispirato a una fotografia di Pauline Lumumba, la vedova del Primo Ministro assassinato della Repubblica Democratica del Congo, foto scattata in occasione dei funerali, di quest’ultimo nel 1961. La visione di questa donna a petto nudo in mezzo a un gruppo di uomini in divisa, combina la forza drammatica con una tensione tragica.

Alcuni anni prima di dipingere questa tela la Dumas aveva evidenziato il passaggio nell’autobiografia di Simone De Beauvoir che menzionava l’eccezionale apparizione di questa donna e il modo denigratorio, in cui essa era stata rappresentata dai media occidentali.

 

VANESSA SORRENTINO

 

The absent museum, visto domenica 14 maggio 2017 a Wiels di Bruxelles – info: kfda.be